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ECCEZIONI AL PRINCIPIO GENERALE

In tale eccezioni vi è una grande distanza tra coloro che rischiano e coloro che hanno il

potere gestionale.

Esse sono:

• società aperte: si tratta di società che fanno ricorso al mercato del capitale

di rischio. Sono imprese collettive di grande dimensioni in cui

per via del frazionamento del capitale sociale tra una

miriade di investitori totalmente disinteressati all’aspetto

gestionale e il potere di gestione viene esercitata non da

chi per la maggior parte sta affrontando il rischio d’impresa,

ma a coloro che hanno una piccola percentuale ma sono

interessati ad acquisire il potere gestionale – pensate ad

esempio alle grandi società quotate o alle grandi banche –

Telecom, UniCredit, Enel, ENI etc. – e si accordano pur

avendo una minoranza 20%/25% rispetto al complessivo

rischio d’impresa per la maggior parte frazionato fra una

miriadi di investitori.

In questo caso vi è uno scollamento tra il potere gestionale e la responsabilità, ossia

sopportazione del rischio d’impresa.

• Gruppi di società anche qui vi è uno scollamento tra potere di gestione e

responsabilità.

Si tratta di una costellazione di società dove vi è una

capogruppo che ha il potere di dirigere in maniera unitaria il

gruppo pur avendo talvolta delle partecipazioni minime e il

gruppo talvolta si può costituire senza rischiare niente.

Ad esempio un gruppo in cui fra le società non vi è un collegamento di tipo societario

(società A che ha la maggioranza della società B) ma per esempio la società A ha

dato una licenza di brevetto alla società B e per questo la società B è totalmente

succube della volontà di A e se la società A decide di revocare quella licenza di

brevetto, B non saprebbe che fare in quanto si trova in una situazione di passività, di

sudditanza rispetto ad A e subisce le scelte della capogruppo, ossia è sottomessa

alla sua direzione.

Due esempi in cui il binomio potere-responsabilità, si perdono.

• Imprenditore occulto Domanda:l’attività d’impresa viene imputata secondo un c

criterio, formale o sostanziale?

Cioè l’attività d’impresa viene imputata a colui il cui nome

viene speso nel compimento dell’atto o dell’attività –

criterio formale (spendita del nome) – oppure l’attività

d’impresa viene imputata al reale interessato - criterio

sostanziale?

Per esempio Tizio è ricco e non vuole esporre a rischio il suo patrimonio personale in

un’impresa notoriamente rischiosa.

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Per questo pur mettendo lui il capitale iniziale necessario fa in modo che l’attività d’impresa

venga esercitata da Caio nulla tenente, il quale seguirà le sue direttive ma di fronte ai terzi

apparirà lui e agirà in nome proprio e per conto ossia nell’interesse di Tizio se pur non

palesemente.

In questo caso i debiti verranno imputati a Caio nel cui nome viene esercitata l’attività

d’impresa o a Tizio che riceve tutti i vantaggi? Per un senso di giustizia sarebbe più giusto

applicare il criterio sostanziale. Per questo dentro la teoria dell’imprenditore occulto vi è

una avversione nei confronti del criterio formale che lascerebbe tranquillo l’imprenditore

occulto.

Prima di vedere come viene risolto dal legislatore e dagli interpreti questo dilemma, occorre

dire che le motivazioni che spingono un soggetto ad avvalersi di altri per schermare la

propria attività di impresa non sono solo quelli di proteggere il patrimonio, ma anche:

• Per esempio per riciclare danaro: un soggetto che svolge attività delinquenziale si

avvale di un soggetto pulito e di fiducia per impiegare il suo danaro derivante da

attività illecita in un’attività dove figura il soggetto pulito e di fiducia.

• Oppure si può avere un soggetto che non può esercitare attività di impresa perché si

trova in una situazione di incompatibilità con il lavoro da dipendente pubblico, poiché

ai dipendenti pubblici è preclusa l’attività d’impresa – vincoli legali.

• Oppure un soggetto che ha dei vincoli sulla sua attività perché per esempio ha firmato

un divieto di concorrenza con il soggetto a cui ha venduto la sua azienda – vincolo

contrattuale.

Nella teoria dell’imprenditore occulto abbiamo una sorta di rappresentanza indiretta , dove

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i terzi non sono assolutamente a conoscenza del rappresentante – in questo caso

l’imprenditore occulto.

Soluzione del dilemma: il criterio giusto dal punto di vista dell’ordinamento è il criterio

formale, ossia il criterio della spendita del nome.

Significa che tutti gli effetti dell’attività d’impresa vengono indirizzati nella persona il cui nome

viene espresso.

Nel caso dell’imprenditore occulto avremo quindi una responsabilità del prestanome e non

dell’imprenditore occulto.

Qual è la logica sottostante?

Qual è la ragione sostanziale ad una così brutale soluzione del problema?

Perché non c’è un affidamento da tutelare, in quanto i terzi che hanno contrattato con il

prestanome al momento della contrattazione cui potevano fare affidamento sul patrimonio

dell’imprenditore occulto in quanto non sapevano della sua esistenza e quindi avrebbero

dovuto fare una verifica circa le reali capacità patrimoniali del prestanome ossia della loro

controparte contrattuale.

Se il prestanome non ha un patrimonio sufficiente a soddisfare i creditori, è colpa di coloro

che hanno fatto sorgere questo credito e anche se i terzi scoprissero l’esistenza

dell’imprenditore occulto non potrebbero rifarsi sul patrimonio di questo, in quanto non c’è

nessun affidamento da tutelare, ossia non c’è nessuno da proteggere.

1 Rappresentanza diretta = il rappresentante agisce in nome e per conto del preponente e gli effetti

sostanziali dell’atto che egli sta eseguendo, ricadano su questo.

2 Rappresentanza indiretta = il rappresentante agisce in nome proprio ma per conto del preponente,

cioè nell’interesse del preponente.

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Quindi si può dire: da una parte è giusto che risponde chi ha il potere di direzione, oppure è

giusto che risponda colui che appare.

Ci troviamo di fronte a 2 ragioni equilibrate che vanno entrambe bene.

Domanda: perché il legislatore ha voluto privilegiare la soluzione formale- la spendita del

nome?

N.B. Il legislatore con tale scelta ha voluto garantire la certezza del traffico

giuridico, nel senso che non si può pensare che dopo aver concluso il contratto si apre uno

scenario inimmaginario .

Quindi per la certezza e sicurezza del traffico giuridico, che è un valore in se, le parti di un

contratto sanno che di quel contratto rispondono solo loro e sono liberi di stipularlo oppure

no.

Se non fosse così nessuno si sentirebbe più sicuro e il traffico giuridico sarebbe fortemente

compromesso.

STORIA DELL’IMPRENDITORE OCCULTO

L’imprenditore occulto ha avuto una storia lunga e travagliata e ha costituito causa di diatriba

giurisprudenziale e dottrinale nella seconda metà del secolo scorso.

In particolare la teoria dell’imprenditore occulto si deve a uno dei padri del diritto

commerciale italiano Walter Bigiavi che è stata poi bocciata.

In quel periodo si cercava di trovare le ragioni che potessero giustificare l’attribuzione di una

responsabilità all’imprenditore occulto.

Vediamo il percorso.

Secondo Bigiavi, l’imprenditore occulto doveva rispondere in quanto in base all’art. 147 l.f. 4°

comma prima era il 2° comma, prevede che, se dopo il fallimento di una società con soci

illimitatamente responsabili, si scopre l’esistenza dei un socio occulto, oltre a singoli soci non

occulti , fallisce anche il socio occulto – criterio sostanziale – della società palese.

Inoltre sempre la legge fallimentare prevede che se fallisce un imprenditore individuale ma

successivamente al fallimento si scopre che questo non esercitava singolarmente ma in

forma societaria, in modo da costituire una società occulta, viene dichiarato il fallimento della

società occulta e quindi non fallisce solo imprenditore individuale palese di società occulta,

ma falliscono anche tutti gli altri soggetti che stanno dietro la società occulta - criterio

sostanziale.

Sulla base di queste norme secondo Bigiavi anche l’imprenditore occulto deve essere

responsabile personalmente dei debiti dell’imprenditore palese, ossia del prestanome, ciò

perché dove ricorre la medesima ratio deve applicarsi la medesima norma e quindi

l’imprenditore occulto deve seguire la stessa sorte dell’imprenditore palese, come il socio

occulto seguiva la sorte degli altri soci palesi e come i soci di società occulta seguono la

stessa sorte dell’imprenditore individuale di società occulta.

Quindi perché l’imprenditore occulto viene applicato il criterio formale e per gli altri 2 casi il

criterio sostanziale?

Secondo Bigiavi il legislatore aveva utilizzato il criterio sbagliato.

La teoria di Bigiavi viene stravolta in questi termini e questa teoria rappresenta la soluzione

applicata attualmente.

Vediamola.

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Nel primo caso dell’art. 147 comma l.f. il socio occulto di società palese

illimitatamente responsabile fallisce perché emerge il vincolo societario

che lo lega alla società e non per il fatto che è occulto.

La società si è mostrata all’esterno non nella sua completezza e per il

fatto che riemerge il vincolo societario che esiste, il socio occulto fallisce,

perché in realtà è un socio e viene ricostituito il vincolo societario.

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Nel secondo caso dell’art. 147 comma l.f. non si ha una sanzione nei confronti di coloro che

hanno approfittato, i soci occulti della società occulta falliscono a causa della scoperta del

vincolo societario che gli lega

Nel caso dell’imprenditore occulto, questo non svolge nessuna attività d’impresa che invece

viene svolta dal prestanome.

L’imprenditore occulto è solo il beneficiario dell’attività d’impresa, è colui

che ha fornito i mezzi e non vi è nessun vicolo societario fra lui e il

prestanome e se pure vi fosse un esercizio in comune dell’attività

d’impresa saremmo fuori dal perimetro dell’imprenditore occulto e

rientreremmo nel perimetro della società occulta.

Per tale motivo nel caso dell&r

Dettagli
A.A. 2015-2016
18 pagine
SSD Scienze giuridiche IUS/04 Diritto commerciale

I contenuti di questa pagina costituiscono rielaborazioni personali del Publisher imported_francy-1-votailprof di informazioni apprese con la frequenza delle lezioni di Diritto commerciale e studio autonomo di eventuali libri di riferimento in preparazione dell'esame finale o della tesi. Non devono intendersi come materiale ufficiale dell'università Università degli Studi di Cagliari o del prof Dionigi Scano.