Riassunto esame Diritto Civile, prof. Capobianco, libro consigliato Autonomia negoziale e autonomia contrattuale, Criscuolo
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Gli accordi sull’indirizzo della vita familiare presentano gli aspetti propri di ogni atto di autonomia, e
cioè la vincolatività, specialità e innovatività. Tipiche manifestazioni di autonomia a contenuto non
patrimoniale si rinvengono anche negli atti con i quali si esercitano i diritti della persona (salute,
privacy). Si è sempre affermata la non negoziabilità di tali interessi, in ragione della loro stretta
inerenza alla persona del loro titolare, dunque della loro indisponibilità. Ad un certo punto, si è capito
che il dato economico interferiva sul momento esistenziale, mettendo in crisi l’idea che i diritti in
questione fossero a totale contenuto non patrimoniale, ad esempio la commercializzazione
dell’immagine e dei dati personali sensibili. Si allude alle forme di circolazione delle informazioni
personali ogni volta esse si svolgano sulla base di un atto dispositivo circostanziato dall’interessato.
Tale regolamentazione si fonda su un importante elemento riferibile esclusivamente al soggetto che
autorizza, il quale, con un proprio atto decisionale, determina il contenuto regolativo della
circolazione. A questa stregua il termine “consenso” avrebbe così una “comunicazione soltanto
apparente”, rappresentando una formula verbale di stampo contrattualistico, idonea a cogliere
l’unilateralità del sistema.
Gli atti di esercizio di tale potere non vincolano definitivamente il soggetto che si autodetermina, il
quale, in ogni momento, può dettare condizioni diverse senza che il proprio interlocutore abbia
strumenti per richiamarlo all’osservanza di precisi accordi.
Si è insomma innanzi ad una manifestazione di supremazia del titolare dei dati, giustificata da un
potere di autodeterminazione.
9. Il contratto come fonte.
È evidente l’importanza del contratto nel mercato concorrenziale, come strumento di regolamentazione
delle relazioni economiche.
L’indissolubilità tra il concetto di contratto ed il mercato si coglie nell’operatività dei meccanismi sui
quali lo scambio si fonda: primo fra tutti il prezzo, quale punto d’incontro tra domanda e offerta.
Il problema he lo studioso deve affrontare è come rimediare alle asimmetrie di potere che spesso si
riversano sui soggetti economicamente più deboli. Il contratto svolge effetti non solo per coloro i quali
prestano il proprio consenso; non è indispensabile che gli autori della regola coincidano con i
destinatari degli effetti della regola medesima.
Se il contratto è fonte, esso è fonte tra le fonti, nel senso che il mercato necessita di un garante
esterno: di una regola eteronoma, che nel rispetto di quelle istanze di corrispettività e di giustizia
retributiva che nel mercato si realizza, impedisca insicurezza e sopraffazioni, restituendo al diritto un
ruolo promozionale e di governo delle strutture economiche.
10. Le fonti del contratto.
L’esercizio del potere di autonomia deve conformarsi agli obiettivi primari di una data comunità
giuridica.
Il fondamento di una norma va rinvenuto in un’altra norma; ciò che si condivide è che l’autonomia
trova in sé stessa la propria “giustificazione”.
Si distinguono “fonti di produzione” e “fonti di validità”, descrivendo la prima nozione in termini di
manifestazione della regola giuridica e la seconda quale formula appropriata ad indicare il concetto di
coerenza sistematica dl contenuto della regola, la quale sarà valida solo se conforme ai principi propri
delle fonti superiori.
La Costituzione, le fonti comunitari, la legge, l’autonomia dei privati, sono tutte fonti normative,
ordinate secondo una gerarchia corrispondente ai vari livelli d’identità e sistematici di riferimento,
ognuno segnato dai propri limiti intrinseci e formali; e tutte concorreranno alla qualificazione dei fatti
umani, alla ricerca del superamento dei conflitti e della realizzazione dell’eguaglianza sostanziale.
Affermare l’unitarietà dell’ordinamento non esclude la pluralità delle fonti del diritto. Le componenti
fondamentali di questo sistema sono tre: il codice, le leggi speciali, la Costituzione; da qualche
decennio, il sistema si è arricchito con le fonti comunitarie, sovraordinate alle disposizioni ordinarie.
11. La gerarchia delle fonti. La sovranità della Costituzione. Fatto e regola. Il mercato mondiale ed
il diritto democratico.
In uno stato democratico di diritto, con una gerarchia di fonti di produzione al vertice della quale si
pone come una Costituzione rigida, non si può negare l’esistenza di un progetto di giustizia,
espressione di valori non solo costituenti imperativi morali, sebbene precetti di ordine pubblico
direttamente efficaci nelle sfere giuridiche dei singoli.
Dalla Costituzione in poi, lo Stato non può più essere considerato un fine, ma uno strumento di
promozione dei valori dell’uomo, sia nella sua forma individuale quanto come parte di aggregazioni,
nella quale si manifesta l’istanza partecipativa, volta all’eguaglianza sostanziale.
A questo progetto di giustizia sono scarsamente sensibili le dinamiche interne dell’economia, le quali
si informano a logiche di massimizzazione del profitto e di concentrazione della ricchezza, che
possono anche generare in asservimento e sfruttamento della persona umana.
Per governare queste logiche è necessario che il diritto prenda posizione, potendo giovarsi di strumenti
di coazione e funzionalizzazione delle condotte dei singoli al conseguimento di obiettivi irrinunciabili.
Sovranità della Costituzione significa che neppure lo Stato possa sacrificare questi valori, che ogni
legge dello Stato collidente con questo progetto di giustizia non trova spazio nell’ordinamento.
La Costituzione è garanzia di libertà essendo in essa presente una difesa, fondata su ragioni politiche
ed economiche.
Ma perché l’iniziativa privata sia davvero libera e non in contrasto con l’utilità sociale, è necessario
che non rechino danno alla sicurezza, alla libertà e dignità umana. Il monopolio non è meritevole
quando distorce il mercato in danno di altre imprese e dei consumatori.
Capitolo II: La disciplina italo-comunitaria dei contratti.
1. L’abuso di posizione dominante nella legge cd antitrust. Criteri per l’individuazione della
posizione dominante: criteri strutturali e comportamentali. I comportamenti abusivi nella
giurisprudenza della Corte di Giustizia. Insoddisfazione nei confronti di criteri mercantili per
l’individuazione delle condotte abusive.
Volendo avviare una ricognizione degli interventi normativi di matrice comunitaria sulla disciplina dei
contratti, è opportuno partire dalla Legge 10/10/90 n° 287 (cd Legge Antitrust) nella parte nella quale
vieta l’abuso di posizione dominante e le intese restrittive della concorrenza.
Le normative antitrust perseguono le finalità di controllare le condotte d’impresa che tendono a
limitare in modo ingiustificato l’attività dei concorrenti, creando, rafforzando e sfruttando situazioni di
mercato che consentono, direttamente o indirettamente, la pratica di prezzi o altre condizioni
contrattuali, non rispettando le condizioni previste nel mercato concorrenziale.
Tra le finalità delle norme antitrust sono da indicare: la tutela della struttura concorrenziale del
mercato, l’efficienza economica ed il benessere sociale. In una economia di mercato la concorrenza,
oltre a razionalizzare l’allocazione delle risorse, a favorire l’accesso ai mercati di nuovi operatori ed
evitare le concentrazioni permanenti di potere economico, spinge le imprese ad un continuo aumento
della quantità, varietà, qualità ed innovazione di prodotti e servizi e ad un costante ribasso dei prezzi
verso il prezzo di costo, accrescendo la possibilità di scelta dei consumatori. La concorrenza si
configura come uno strumento di “democrazia economica”, oltreché di salvaguardia degli interessi
generali dei consumatori.
L’abuso di posizione dominante presuppone la presenza sul mercato di un’impresa in grado di tenere
comportamenti “alquanto indipendenti” da quello dei concorrenti.
Ad essere vietata non sarebbe la posizione dominante in quanto tale, ma solo l’eventuale abuso di tale
potere da parte del titolare. Il legislatore non fornisce una definizione di posizione dominante, ma la
possiamo detrarre dall’art. 66 del Trattato CECA nel quale si afferma che tale è l’azione che porta ad
agire senza tenere in considerazione la reazione dei suoi concorrenti.
I criteri utilizzati dalla giurisprudenza per verificare se l’impresa sia o meno in posizione dominante,
hanno carattere strutturale, quali la quota di mercato, e quanto questa sia detenuta nel tempo.
Devono poi segnalarsi i criteri comportamentali. Il dominio del mercato non può essere unicamente
definito partendo dalla quota di mercato che detiene un’impresa; sono gli strumenti di azione dei quali
l’impresa dispone, il potere che ha di esercitare forte influenza sul mercato, a caratterizzare il dominio,
più che gli elementi strutturali.
Secondo la Corte di Giustizia, vi sarà abuso ogni qualvolta il comportamento sia idoneo ad influire
sulle strutture del mercato, quando risulti improprio e quando non sia motivato da giustificazioni
obiettive, nonché quelle che hanno l’effetto di ostacolare il mantenimento o la crescita della
concorrenza nei mercati secondari.
2. I contratti negoziati fuori dai locali commerciali. Le leggi francese e tedesca. La direttiva
88/577/CE. Il D.Lgs n° 50/1992. Obblighi d’informazione, forme vincolate e jus poenitendi.
Gli artt. 45 ss. del Codice del Consumo.
Il primo intervento operato dal legislatore comunitario in tema di contratto dei consumatori, si è avuto
con la direttiva n° 85/577/CEE, recepita dal legislatore italiano con il D.Lgs n° 50/1992, dedicato ai
contratti negoziati fuori dai locali commerciali. Le novità della direttiva consistono nella delimitazione
della disciplina ai rapporti tra consumatori e professionisti e nella previsione del diritto di recesso, in
caso di “effetto sorpresa”, in favore dei consumatori. Alcuni paesi dell’Unione Europea hanno
precorso la sostanza della direttiva.
La Legge francese (n° 72/1137) preoccupata dell’incidenza della previsione dello jus poenitendi non
tanto sul principio della “forza di legge” del contratto, quanto su quello consensualistico e
dell’efficacia traslativa immediata della vendita, sembrerebbe assoggettare l’efficacia reale del negozio
ad un termine sospensivo entro il quale è concesso al consumatore di sciogliersi dal vincolo
obbligatorio senza alcuna conseguenza sul suo patrimonio. Per di più, prima del decorso del termine, il
professionista non può percepire il prezzo e ricevere effetti in pagamento dell’ordine d’acquisto.
Inoltre la legge introduce vincoli formali rigidissimi in relazione ad obblighi d’informazione essenziali
sia sulle qualità del prodotto che su quelle del venditore.
Anche la Legge tedesca ha preceduto la direttiva, con delle differenze rispetto alla Francia. La tutela
del consumatore si sostanzia nel diritto di revocare per iscritto, entro 7 gg, la proposta diretta alla
conclusione del contratto. L’unico obiettivo essenziale d’informazione è quello relativo all’esistenza
del diritto di revoca.
Comune ai due sistemi si mostra l’ambito soggettivo di applicazione della normativa, mentre più
ampio appare il novero delle fattispecie contemplato dal legislatore tedesco (non solo vendite porta a
porta, ma anche nei luoghi pubblici). Il testo definitivo della direttiva appare maggiormente
influenzato dal modello tedesco.
Il D.Lgs n° 50/1992 considera due ipotesi non previste nella direttiva, cioè quella dei contratti
negoziati sulla base di offerte effettuate al pubblico tramite il mezzo televisivo e quella dei contratti
conclusi mediante l’uso di strumenti informatici e telematici. Inoltre, l’ambito oggettivo di
applicazione del decreto viene coordinato dal legislatore con la disciplina di tutti i contratti a distanza.
Nessun problema per l’ambito soggettivo: si tratta di disposizioni a tutela del consumatore, il cui fulcro
è rappresentato dal diritto di recesso.
Parte della dottrina muove dalla ricostruzione del recesso come mezzo attribuito al contraente per
liberarsi dal vincolo, laddove si sia verificato un intervento degli interessi sostanziali sottesi alla
vicenda negoziale.
Per individuare il fondamento del diritto di recesso, contemplato nella disciplina dei contratti negoziati
fuori dai locali commerciali, sembra utile cogliere il nesso con il potere del privato di sospensione
dell’esecuzione della prestazione di cui all’art. 1461 c.c. .
Il recesso mette in moto un meccanismo che mira a far cessare il vincolo obbligatorio; l’eccezione di
cui all’art. 1461 c.c., tende alla conservazione dell’equilibrio degli interessi sottesi al rapporto.
In entrambi i casi ci troviamo di fronte ad autonomi ed unilaterali poteri del soggetto; l’uno inidoneo
ad evitare la sopravvivenza del vincolo, l’altro con effetti diretti sulla vita del rapporto.
Il diritto di recesso può essere ricostruito in termini di diritto potestativo al quale l’altro contraente
risulta assoggettato.
Lo jus poenitendi si pone su un piano autonomo rispetto ai cosiddetti poteri di rinegoziazione. Lo jus
variandi non comporta un recesso dal contratto, bensì la sua modificazione, nel senso che il contenuto
del rapporto diviene parzialmente diverso da quello originario.
Si impone un cenno agli obblighi del professionista di rendere informazioni al consumatore in forma
vincolata: devono essere fornite in modo chiaro e preciso, con ogni mezzo comunicativo, osservando i
principi di buona fede e lealtà in materia di transazioni commerciali, tutte le informazioni relative alla
descrizione del bene o del servizio, al prezzo e alle spese, al costo di utilizzo, spese di consegna e
modalità di pagamento.
La disciplina dei contratti negoziati fuori dai locali commerciali è ora integralmente confluita nel
Codice del Consumo.
Su iniziativa del professionista, il consumatore si vede inaspettatamente coinvolto in un’attività
negoziale (cd effetto sorpresa), risultando impreparato e non sereno nella formazione del consenso, sia
nella scelta della disciplina contrattuale che nell’utilità del bene proposto.
L’effettiva tutela del consumatore si sostanzia nel diritto di recedere dal contratto entro 10 gg
lavorativi, senza l’obbligo di specificare il motivo.
Si esercita con l’invio di una comunicazione scritta alla sede del professionista, mediante lettera
raccomandata con avviso di ricevimento; la ricezione da parte del professionista porta allo
scioglimento delle obbligazioni scaturenti dal contratto stipulato.
3. Pubblicità ingannevole e comparativa. Il D.Lgs 25/01/1992 n° 74 attuativo della direttiva
84/450/CEE. Le novità della Legge Giulietti e del Decreto Bersani.
Altro significativo intervento è stato quello operato dal D.Lgs 25/01/92 n° 74 in materia di pubblicità
ingannevole e comparativa, attuando la direttiva CE 10/09/84 n° 450.
Il testo del decreto può essere distinto in due parti, una sostanziale ed una lato sensu definita come
procedurale.
- Sostanziale: ricalca fedelmente i principi della direttiva comunitaria, coerente nella definizione
degli obiettivi, della fattispecie e dei criteri d’intervento.
- Procedurale: la direttiva aveva riconosciuto agli stati membri la possibilità di scelta tra il
controllo amministrativo e quello giurisdizionale. Il nostro legislatore ha optato per una
soluzione mista, affidano il controllo ad una autorità indipendente, l’Autorità Garante della
Concorrenza e del Mercato (AGCM).
Molto si discute della natura del procedimento dinnanzi all’AGCM. Se da un conto il procedimento in
discorso ha tutti i connotati della processualità, esso si conclude con un provvedimento che
giurisdizionale non può dirsi, non fosse altro che, avverso di esso lo strumento d’impugnazione è il
ricorso al TAR.
Obiettivo dell’intervento è quello di “tutelare dalla pubblicità ingannevole e dalle sue conseguenze
sleali i soggetti che esercitano un’attività commerciale, industriale, artigianale o professionale, i
consumatori e gli interessi del pubblico nella fruizione di messaggi pubblicitari”.
I requisiti sono: l’evidenza, la veridicità e la correttezza.
È pubblicità qualsiasi forma di messaggio che sia diffuso, in qualsiasi modo, nell’esercizio di
un’attività commerciale, industriale, artigianale o professionale, allo scopo di promuovere la vendita di
beni mobili o immobili, la costituzione o il trasferimento dei diritti e degli obblighi su di essi, oppure la
prestazione di opere e servizi. Affinché si configuri l’ipotesi di pubblicità ingannevole è richiesta
l’induzione in errore, anche solo potenziale, del comportamento economico dei soggetti ai quali si
dirige.
L’istanza del consumatore non consiste in una denunzia, ma di un ricorso all’autorità garante, tant’è
che questa valuta l’ingannevolezza del messaggio, accoglie il ricorso vietando la pubblicità non ancora
portata a conoscenza del pubblico o la continuazione di quella già iniziata.
Rileva il concetto di pregiudizio del comportamento economico: un danno derivante dall’acquisto di
un oggetto che non risponde alle qualità e caratteristiche pubblicizzate è fattispecie individuata dalla
dottrina per lasciare impunite le esaltazioni dei pregi della cosa offerta dal mercante.
Il requisito della trasparenza della pubblicità rappresenta un aspetto principale nella repressione della
pubblicità decettiva.
Il messaggio pubblicitario deve essere presentato come tale, per poter essere in tal modo individuato e
valutato dai suoi destinatari.
In quest’area d’inganno possono isolarsi tre ipotesi molto ricorrenti nel traffico economico: la
pubblicità redazionale, il product placement e la pubblicità subliminale.
Pubblicità redazionale: fa si che il destinatario del messaggio, inconsapevole di essere di fronte ad una
forma di réclame anziché d’informazione, abbassi notevolmente la barriera che abitualmente eleva
innanzi alle comunicazioni palesi, e tale situazione indotta dalla presunta imparzialità della fonte dalla
quale proviene il messaggio.
Si presenta un delicato problema di coordinamento tra l’esigenza di repressione e la necessità di far
salva la libertà di manifestazione del pensiero (art. 21 Cost.).
Il rapporto appare in astratto lineare, essendo profili tra loro differenti che trovano tutela in due norme
costituzionali. Al diverso ambito di protezione corrisponde un differente margine d’inviolabilità:
margine quasi nullo per la libertà di manifestazione del pensiero, diritto fondamentale della persona;
più ampio per la libertà economica privata, si da poter essere indirizzato alla finalità di utilità sociale
su cui essa è strumentale.
Nonostante la distinzione appaia netta, si riscontrano numerosi casi di pubblicità redazionale nei quali
la qualificazione del messaggio può rilevarsi difficile.
Il decreto non attribuisce all’AGCM il potere di sanzionare ogni forma di pubblicità decettiva, ma solo
quella pubblicitaria, e cioè che sia riconducibile ad un committente rientrante tra i soggetti che
esercitano un’attività commerciale, industriale, artigianale o professionale.
È necessario dare pubblicità ai prodotti capaci di mettere in pericolo la salute e la sicurezza dei
consumatori, in modo tale che questi possano rispettare le normali regole di prudenza e vigilanza.
Il legislatore ha voluto impedire che la diffusione di quei messaggi idonei a produrre danni ai minori: a
tal fine rileva la fascia oraria in cui il messaggio viene trasmesso, sia l’eventualità di una sua fruizione
da parte dei bambini appartenenti ad una categoria di età inferiore a quella tenuta di mira
dall’operatore pubblicitario.
Si considera ingannevole anche la pubblicità che impiegando bambini o adolescenti abusi dei naturali
sentimenti degli adulti per i giovani.
Pubblicità comparativa: essa non è mai stata esplicitamente vietata dalla legge, ma in particolare quella
cd diretta è stata spesso ritenuta illecita dai giudici sulla base dell’interpretazione delle norme in
materia di unfair competition.
Questa forma di réclame è senza dubbio uno strumento di promozione delle vendite molto efficace.
La pubblicità comparativa consiste in qualsiasi pubblicità che identifichi in modo esplicito o implicito
un concorrente o beni o servizi offerti da un concorrente.
Per un verso si è osservato che essa costituisce un’attività informativa fondamentale a disposizione dei
consumatori poiché migliora la trasparenza del mercato, favorendo una scelta degli acquisti più
consapevole. Dall’altro verso può produrre una situazione di aggressività esagerata nella concorrenza,
comportando un innalzamento dei costi della battaglia concorrenziale.
La rèclame comparativa è lecita se è fatta:
- tra prodotti concorrenti;
- se non inganna i consumatori;
- se non è fatta all’unico scopo di screditare il concorrente.
Altra regola riguarda i raffronti relativi ad offerte speciali: esse devono essere menzionati in modo
chiaro, il periodo o il termine finale dell’offerta, oppure se essa dipende dalla disponibilità dei beni e
servizi.
L’Autorità Garante, accertato il carattere pubblicitario del messaggio, deve valutarne la conformità alle
norme contenute nel Codice del Consumo. L’Autorità, in caso di pubblicità ingannevole o comparativa
sleale, non può agire d’ufficio, ma solo in seguito ad una denuncia di parte, che può essere effettuata
da singoli consumatori, ogni p.a., imprese concorrenti e anche su denuncia e segnalazione del
pubblico.
Se l’Autorità Garante accerta l’ingannevolezza del messaggio o l’illiceità della pubblicità comparativa
può imporre con decisione motivata all’operatore pubblicitario il divieto o l’interruzione della
diffusione e l’obbligo di rendere pubblica a sue spese a mezzo stampa o per tv la decisione
dell’Autorità Garante. Il procedimento istruttorio deve garantire il contraddittorio.
L’Autorità può invertire l’onere della prova disponendo che sia l’operatore pubblicitario e non il
denunciante a fornire le prove dell’esattezza materiale dei dati di fatto contenuti nel messaggio
pubblicitario se questa esigenza risulti giustificata da circostanze del caso specifico. Dell’eventuale
decisione sul risarcimento del danno causato è competente il giudice ordinario.
Contro la decisione dell’Autorità Antitrust è competente il Giudice Amministrativo. L’Autorità
Garante provvede con effetto definitivo e decisione motivata. Se ritiene doloso o colposo il
comportamento dell’operatore potrà non limitarsi più ad una tutela di tipo inibitorio, ma spingersi fino
all’accertamento del danno prodotto con conseguente liquidazione.
Con l’entrata in vigore del decreto Bersani, L’AGCM si è vista riconoscere quei poteri cautelari,
istruttori e sanzionatori che da tempo sono attribuiti alla Commissione Europea ed alle Autorità
Antitrust dei principali paesi europei ed extracomunitari.
L’esercizio di tale potere è subordinato alla sussistenza di due condizioni:
- l’urgenza, ovvero il rischio di danno grave ed irreparabile per la concorrenza;
- ravvisare la sussistenza di una infrazione degli artt. 81 e 82 del Trattato CE.
L’esame sommario della situazione può essere effettuato anche inaudita altera parte, potendo il potere
cautelare essere effettuato d’ufficio dall’Autorità.
4. La tutela del consumatore nel settore del credito al consumo. Ambito soggettivo ed oggettivo di
applicazione della direttiva 89/646/CE.
Per credito al consumo deve intendersi “la concessione, nell’esercizio di un’attività commerciale o
professionale, di credito sotto forma di dilazione di pagamento, di finanziamento o di analoga
facilitazione finanziaria”.
Oltre alle più comuni forme di finanziamento, di leasing traslativo, di mutuo di scopo, ricadono tutte la
vendite con pagamento differito e quelle a rate con riserva di proprietà.
La disciplina si riferisce al consumatore, persona fisica che agisce per scopi estranei all’attività
imprenditoriale o professionale.
Sul fronte degli interlocutori, sono specificate le categorie professionali alle quali compete la
legittimazione a svolgere questo tipo di attività, e cioè le banche, gli intermediari finanziari e i soggetti
autorizzati alla vendita di beni e servizi sul territorio della Repubblica. Ad essi vanno aggiunti tutti
coloro che s’interpongono nell’attività di credito al consumo: mediatori, agenti.
Le operazioni si svolgono nella massima trasparenza. Anzitutto inducendo il professionista a fornire al
consumatore un quadro chiaro del costo del finanziamento. A tal fine diviene fondamentale la
trasparenza delle modalità di determinazione del tasso d’interesse, nei limiti della liceità rappresentati
dalla barriera dell’usura.
È prevista l’eventuale responsabilità precontrattuale per violazione, da parte del finanziatore, degli
obblighi d’informazione previsti dalla clausola generale di buona fede di cui all’art. 1337, comminata
con la nullità della disposizione contrattuale peggiorativa per il consumatore, con conseguente
sostituzione delle clausole abusive.
È prevista la forma scritta vincolata del contratto di credito al consumo e si esige la determinazione
legale del suo contenuto minimo.
Inoltre si è sancita la nullità delle clausole di rinvio agli usi per la determinazione delle condizioni
economiche del contratto, considerandole come non apposte.
S’individuano norme di legge integrative per l’ipotesi di mancata formalizzazione della pattuizione
relativa alla misura del TAEG (tasso annuo effettivo globale).
5. La tutela del viaggiatore e del consumatore di pacchetti turistici.
Gli interventi di matrice comunitaria concernente i viaggi, le vacanze, i pacchetti turistici e i circuiti
“tutto compreso”, hanno l’obiettivo di stabilire vincoli formali imponendo al professionista obblighi
d’informazione: la meta prescelta, i mezzi di trasporto, la categoria degli alberghi, i pasti, gli itinerari.
Devono essere espressi i termini entro cui il consumatore potrà sporgere reclamo in caso
d’inadempimento o cattiva esecuzione del contratto.
In materia di modificabilità del prezzo da parte dell’organizzatore, si sancisce che le variazioni in
aumento non possono mai avvenire nei 20 gg precedenti alla data di partenza e che devono essere
comunicate al cliente entro un congruo termine, stabilendo altresì che il consumatore è libero di
accettare o meno tali aumenti e che, in caso negativo, egli può recedere dal contratto senza alcuna
penale.
Con l’espressione “contratti di viaggio” si fa riferimento ad una categoria nella quale sono contemplati
tipi contrattuali tra loro diversi. È richiamata la distinzione tra:
- Il contratto che il turista-consumatore conclude con l‘organizzatore di viaggi (cd tour operator):
parliamo del contratto di intermediazione di viaggio;
- Il contratto concluso con il cd intermediario di viaggio o venditore (travel agent che molte volte
è l’agenzia di viaggi): contratto di organizzazione di viaggio.
Tour operator è il soggetto professionista che combina i vari elementi del viaggio creando il pacchetto
quale risultante dalla selezione dei vari servizi ed attività.
Le disposizioni si applicano sia ai pacchetti venduti presso le agenzie di viaggio, sia quelle venduti
direttamente al tour operator attraverso i propri canali di vendita, ma non solo: anche a quelli venduti
fuori dai locali commerciali.
La precisione è importante perché richiama la possibilità dell’esercizio del diritto di recesso: esso può
esercitarsi senza alcuna penalità e senza specificare il motivo, con invio di comunicazione scritta entro
il termine di 10 gg lavorativi o termine più lungo (60 o 90 gg) in caso di mancata informativa su tale
facoltà da parte del professionista.
6. La novella degli art. 1469 bis ss. oggi trasposta agli artt. 33 ss. del Codice del Consumo.
Condizioni generali di contratto. Contratti standard. Il consumatore. Nozioni di professionista.
Il significativo squilibrio. Le clausole abusive.
Il compito è facilitato con la definizione di consumatore di cui all’art. 1469 bis oggi art. 3 del Codice
del Consumo, secondo cui consumatore è la persona fisica che agisce per scopi estranei all’attività
imprenditoriale o professionale eventualmente svolta.
La nozione di consumatore, messa in relazione con quella di professionista, riassume in sé tutte le
posizioni giuridiche di chi è interlocutore contrattuale di un’impresa che predispone, secondo le
dinamiche della contrattazione di massa, le condizioni alle quali chi contratta è chiamato
tendenzialmente ad aderire.
L’espressione professionista ricomprende non esclusivamente coloro che esercitano attività d’impresa
ma anche coloro che esercitano attività professionali regolate e che abbiano contatti con clienti non
professionisti.
Acquista rilievo il contenuto del concetto di “trattativa individuale”: si considera che una clausola non
sia stata oggetto di negoziato individuale quando è stata redatta preventivamente, in particolare
nell’ambito di un controllo di adesione ed il consumatore non ha di conseguenza potuto esercitare
alcuna influenza sul suo contenuto. Il legislatore italiano sembra essersi discostato dalla direttiva, nella
misura in cui quest’ultima, nella definizione di vessatorietà, stabiliva quale presupposto per la
successiva valutazione dello squilibrio, l’assenza di negoziato individuale, mentre la legge italiana fa
menzione della trattativa all’interno della disposizione relativa alla fase valutativa della vessatorietà.
Appare collidere con il complessivo spirito d’intervento normativo la disposizione dell’art. 1469 ter, la
quale sembra escludere che il giudizio di vessatorietà della clausola possa fondarsi su valutazioni di
adeguatezza di corrispettivo di beni e servizi, purché tali elementi siano individuati in modo chiaro e
comprensibile.
Si considerano vessatorie le clausole che, malgrado la buona fede, determinano a carico del
consumatore un significativo squilibrio dei diritti e degli obblighi derivanti da contratto. Questo ha
indotto dottrina e giurisprudenza a distinguere squilibrio normativo e squilibrio economico,
quest’ultimo rilevando solo laddove le relative clausole non fossero espresse in modo chiaro e
comprensibile
Lo spirito dell’intervento va nel senso di apprestare contrappesi e clausole inique. Quanto all’inciso
“malgrado buona fede” si fa riferimento alla buona fede in senso soggettivo, quale stato della
conoscenza e volontà del predisponente.
Per il giudizio di vessatorietà è sufficiente che il rapporto sua squilibrato in sé, per effetto di
un’asimmetria di potere presupposta, a prescindere dalla volontà del professionista di approfittare della
debolezza altrui.
Se è vero che lo stato di buona fede del professionista non può mai rendere lecite le clausole vietate, è
altresì vero che la legge potrebbe in astratto non considerare abusive clausole non dettate dalla volontà
di profittare, in analogia con il meccanismo della rescissione per lesione. Quest’inciso orienta
l’interprete verso la definitiva oggettivizzazione dei parametri di vessatorietà.
Può dirsi squilibrato ciò che è contrario ai principi di ragionevolezza, adeguatezza e proporzionalità.
L’art. 1469 bis detta un elenco di clausole rispetto alle quali vi è una presunzione juris tantum di
abusività (cd lista grigia).
Si realizza così l’inversione dell’onere probatorio, rimanendo il professionista gravato della prova di
avere negoziato individualmente il contenuto della clausola che si presume abusiva.
L’art. 1469 quinques contiene altresì una lista di clausole rispetto alle quali la vessatorietà si presume
juris et de jure. Si tratta delle ipotesi di esclusione della responsabilità del professionista in caso di
morte o danno alla persona del consumatore imputabile al primo; di esclusione o limitazione del diritto
del consumatore di agire in giudizio contro il professionista o terzi in caso d’inadempimento del
professionista; di estensione dell’adesione del consumatore a clausole a clausole che egli non ha potuto
conoscere prima della conclusione del contratto.
Tali ipotesi erano definite inefficaci e se questa si poneva solo a vantaggio del consumatore, poteva
essere rilevata anche d’ufficio dal giudice. Si verteva di inefficacia parziale nel senso che ne
rimanevano afflitte solo le clausole abusive, non potendosi estendere alle altre previsioni contrattuali
non tacciate di vessatorietà.
Inefficacia come invalidità, intesa come nullità, tenuto conto dell’originarietà di essa. Il legislatore ha
inteso escludere ipotesi di sanatoria delle clausole abusive.
La riforma ha imboccato la strada della tutela giurisdizionale, sancendo all’art. 1469 sexies
l’esperibilità di un actio inibitoria, con legittimazione in capo ai consumatori ed alle loro associazioni,
con la finalità di eliminare una volta per tutte le clausole illegittime. La previsione di controlli
preventivi si mostra vieppiù opportuna se si considera che il controllo successivo rimane uno
strumento individuale, inidoneo ad eliminare la clausola presente invece in un’ipotetica infinità di
formulari predisposti per la contrattazione standardizzata.
7. La subfornitura e l’abuso di dipendenza economica.
La disciplina della subfornitura nell’attività produttiva recepisce la forte istanza di tutela del contraente
debole, questa volta non consumatore o lavoratore, ma anch’esso imprenditore, originante dall’abituale
assetto dei rapporti d’integrazione verticale.
La subfornitura è un contratto con il quale un imprenditore s’impegna ad effettuare, per conto di
un’impresa committente, lavorazioni su prodotti semilavorati o su materie prime fornite sempre
dall’impresa committente o s’impegna a fornire all’impresa prodotti o servizi destinati ad essere
incorporati o utilizzati nell’ambito dell’attività economica del committente, in conformità ai progetti
esecutivi forniti dall’impresa committente. Il committente conserva la proprietà industriale dei progetti
e delle prescrizioni di carattere tecnico al subfornitore e sopporta i rischi ad esso relativi, mentre il
subfornitore è tenuto alla riservatezza e risponde della corretta esecuzione di quanto richiesto,
sopportando i relativi rischi.
Forma: è richiesta la forma scritta. Si è inteso attribuire certezza a relazioni spesso affidate in passato a
mere intese verbali, secondo una prassi di abuso di dipendenza economica a danno della piccola
impresa. Il mancato rispetto della forma comporta nullità. Nullità che travolge tutti gli effetti salvo
quelli relativi al pagamento delle prestazioni già eseguite.
Contenuto: devono essere indicati i requisiti del bene o del servizio, mediante precise indicazioni delle
caratteristiche funzionali. Deve fissare i termini di pagamento, che decorrono dalla consegna del bene
e gli eventuali sconti in caso di pagamento anticipato e che il prezzo pattuito deve essere corrisposto
non oltre i 60 gg.
Per dipendenza economica s’intende la situazione nella quale un’impresa, nei rapporti commerciali
con un’altra impresa, sia vittima di eccessivi squilibri di diritti e obblighi. Alcune forme di abuso sono
quelle consistenti nel rifiuto di vendere o comprare e nella imposizione di condizioni
ingiustificatamente gravose.
L’AGCM può, qualora ravvisi un abuso di dipendenza economica, anche su segnalazione di terzi,
procedere alle diffide e sanzioni, poiché lede la correttezza e l’equità dei rapporti contrattuali.
La disciplina si applica anche alle clausole oggetto di trattativa individuale. Rappresenta un grande
passo in avanti della disciplina dei contratti, nella misura in cui si avverte che il concetto di parte
debole non necessariamente coincide con quello di consumatore, potendo essere assunta questa
posizione da un imprenditore che non abbia sul mercato la stessa forza economica del proprio
interlocutore. L’esigenza di protezione prescinde dall’appartenenza del soggetto debole a categorie
precostituite.
I contenuti di questa pagina costituiscono rielaborazioni personali del Publisher diehard1987 di informazioni apprese con la frequenza delle lezioni di Diritto civile e studio autonomo di eventuali libri di riferimento in preparazione dell'esame finale o della tesi. Non devono intendersi come materiale ufficiale dell'università Salento - Unisalento o del prof Capobianco Ernesto.
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