CASO DELLA LOCAZIONE PROROGATA
Era stato pattuito un solo canone, non più canoni da pagare periodicamente. Esso era stato pagato permettà alla stipula del contratto; l'altra metà doveva essere pagato all'inizio del rapporto. Dal punto di vista letterale il rischio sembra essere regolato in contratto. Se applicassimo alla lettera il disposto del contratto, dovremmo sostenere che quello di specie è un caso regolato. Ma applicando il criterio ermeneutico di cui all'art.1362 così come l'art. 1366 (si ribadisce che per buona fede si intende l'interpretazione che darebbe il contraente onesto e leale) dobbiamo concludere che si tratta di un caso non regolato in contratto. A questa conclusione si arriva anche applicando l'art.1363, in virtù del quale le clausole di un contratto devono essere interpretate nel senso più favorevole alla parte che non le ha poste.
Si trattava, quindi, di un evento non previsto in contratto.
D’altra parte, se le parti avessero previsto che le proroghe ex lege sarebbero durate 20 anni non avrebbero mai stipulato il contratto; ed il conduttore non avrebbe mai pagato metà del corrispettivo subito. Così disse anche la Cassazione. Nemmeno le norme sulla locazione ci dicono nulla. Andiamo alla disciplina generale del contratto: il 1464 non ha a che fare con il problema. Ma nemmeno il 1463 è applicabile: infatti la proroga legale era reiterata di anno in anno. L’errore della Cassazione comincia qui. I giudici, preso atto di quanto visto sopra, non hanno saputo che fare. Il codice non dà nessuna soluzione. I giudici hanno operato come se ci fosse un silenzio assoluto dell’ordinamento. La tesi che faremo operare in questo caso non è chiaro se l’ha formulata per primo Sacco nel ’75 o Belfiore nell’’89. Si può applicare il 1256? Ammettiamo di sì. In questo caso, il contratto si risolverebbe ex 1463. NonCi sarebbe lacuna nell'ordinamento. Ora, a parte il fatto che questa soluzione è inaccettabile, non si capisce, nel ragionamento di Carnevali, perché non si potrebbe applicare in viadiretta il combinato disposto di 1256 e 1464, e soprattutto non si capisce perché bisogna farlo in viaanalogica. Con la risoluzione per eccessiva onerosità sopravvenuta il locatore non avrebbe la tutela che vorrebbe, poiché la controparte riconducendo il contratto ad equità potrebbe tenerlo ancora in vita. Infatti tale domanda era subordinata, quella principale era un'altra, che per ora Belfiore non ci vuole rivelare. Possiamo comunque chiederci se il 1467 fosse effettivamente applicabile al caso di specie; trascorsi 18 anni, infatti, ben potrebbe avvenire che il contratto diventi svantaggioso. Esso tuttavia è inapplicabile per le ragioni già espresse a suo tempo. Sarebbe inoltre inapplicabile ove si accettasse la tesi di Carnevali secondo cui la
La risoluzione ex art. 1467 non può essere richiesta ove una delle due prestazioni sia già eseguita (ma Belfiore, che non condivide la tesi ora esposta, si domanda: che fare in caso di esecuzione parziale della prestazione?)
Ora collegando il disposto di cui all'art. 1256,2 con l'art. 1463 (impossibilità totale) potremmo ben affermare che, non ritenendosi il debitore più obbligato a eseguire la prestazione, la prestazione è divenuta ormai impossibile. Ora, per non applicare l'art. 1463 dovremmo operare una interpretazione antiletterale degli art. 1256 e 1463.
Apriamo una piccola parentesi sul concetto di causa nel contratto. In essa non è contenuto alcun principio fondamentale dell'ordinamento economico. Basti pensare che Germania e Italia hanno sistemi relativi alla causa tra di loro opposti, pur avendo sistemi economici identici.
Ritorniamo ora al problema della locazione. Supponiamo che l'immobile sia crollato per un terremoto.
In questo caso il contratto è risolto, ed è facilmente individuabile il momento in cui si produce la risoluzione del contratto. Nel caso dell'impossibilità temporanea, invece, il problema che ci si presenta è relativo all'individuazione del momento a partire dal quale il vincolo è divenuto 'intollerabile'. Primariamente possiamo osservare che il 1256 si riferisce a una obbligazione intesa in sé e per sé, non inserita in un contratto a prestazioni corrispettive. Supponiamo che il locatore, anziché fare un contratto di locazione, si sia impegnato a dare il bene in comodato (anche se secondo Belfiore sarebbe un negozio invalido). È chiaro come in questo caso la nozione di 'intollerabilità' sarà ben diversa. Allo stesso modo supponiamo di trovarci in un sistema in cui i canoni di locazione non aumentano, ma diminuiscono (ciò potrebbe avvenire nel caso in cui l'inflazione sia.uguale a zero e lo stato porti avanti politiche edilizie di ampio raggio). In questo caso si può ragionevolmente presumere che il locatore non avrebbe agito. Concludendo bisogna comprendere come la 'tollerabilità' debba essere valutata in relazione alla controprestazione. Nel caso che stiamo analizzando a lamentarsi sarebbe potuto essere il conduttore, ma non lo ha fatto perché già metà del corrispettivo era stato pagato. E quindi gli restava poco da pagare. Ma se il corrispettivo fosse stato alto sarebbe stato quest'ultimo ad agire in giudizio. Allora il giudizio circa l'intollerabilità del vincolo muta a seconda che consideriamo l'obbligazione inserita in un contratto a prestazioni corrispettive o meno. Nel primo caso dobbiamo rifarci alla valutazione delle parti. Invece, interpretando alla lettera il 1256 si finirebbe per trattare le due ipotesi allo stesso modo. In definitiva occorre accettare l'idea che èimpossibile prendere troppo sul serio il 1256 e il 1463. Ove lo sifacesse daremmo origine a un sistema irrazionale che riserva un uguale trattamento l'impossibilità naturalistica e l'impossibilità temporanea in un contratto a prestazioni corrispettive. Si tratterebbe di introdurre in entrambi i casi una ipotesi di scioglimento automatico. Ma una tale idea è accettabile ove ci sia un indice obiettivo univoco che ci segnali la sopravvenuta inutilità del contratto. Solo ove ciò non sia possibile, occorre rimettere la valutazione all'interessato. E ciò lo si può postulare solo adottando una interpretazione restrittiva (e in parte antiletterale) del testo. A questa tesi si può muover come obiezione il fatto che nella sostanza si andrebbe a riscrivere una norma del codice sol perché non la si condivide. Ma l'obiezione è infondata. In primo luogo si può osservare che attraverso l'operazione cheproponiamo non si modifica il sistema di valori del codice, ma lisi applica in maniera più coerente. Inoltre, ai sensi del 1464, nei contratti a prestazioni corrispettive il debitore non può eseguire la prestazione se il debitore non lo vuole, a differenza di quanto prescrive il 1258,1 in materia di obbligazioni in sé e per sé considerate. Da ciò si desume dunque che la disciplina dell'obbligazione in sé deve mutare se essa è inserita in un contratto a prestazioni corrispettive. Quindi anche per il 1256 e il 1463 dovremmo portare avanti un'operazione simile.
Vi è tuttavia un altro argomento forte che ci convince a operare una interpretazione antiletterale, che ritroviamo nella storia del 1256. Essa è una norma che fu originariamente da un compilatore incompetente; poi qualcuno dovette metterci una pezza. Ma non riuscì a rendere il sistema razionale fino in fondo. Si trattava di una norma che all'origine fu
Scritta per il creditore. Si tratta peraltro di un'invenzione del legislatore del 1940: l'impossibilità temporanea non era prima prevista, e ciò giustifica anche l'ampia letteratura in materia. Ora il riferimento alla 'natura dell'oggetto' aveva un senso nella formulazione originaria della norma, che negava sempre rilevanza all'impossibilità temporanea, tranne nel caso in cui vi fosse stato fissato un termine essenziale per l'adempimento dell'obbligazione (questo la formulazione originaria prevedeva esplicitamente). E nel caso di termine essenziale, si conosce esattamente il momento in cui sorge l'impossibilità.
Il codice attuale non è quello che fu firmato dal Re. Dopo l'approvazione, infatti, il ministro Grandi riunì sette eminenti giuristi dando loro il compito di sanare le defaillance dello stesso. Evidentemente l'art.1256 fu in questa sede stravolto, e ciò giustifica
la versione attuale dello stesso. Non è quindi assurdo che si dia luogo a una interpretazione antiletterale, che parta dal presupposto che il codice è essenzialmente un sistema di senso. Una volta sancita la legittimità di una tale operazione, occorre creare una sorta di art. 1464 bis con cui riscrivere il 1256,2.
CASO CELENTANO
Il caso si potrebbe risolvere facilmente applicando l'art. 1362, prendendo cioè in considerazione la comune intenzione delle parti. Ma tale criterio non è applicabile, in quanto attraverso l'interpretazione si suole (e si può soltanto) supplire a una volontà mal formulata, non mal formata. Nella sentenza ci sono due indici univoci che la volontà è stata mal formata. Uno è ammesso dagli stessi avvocati, che non si lamentano dell'utilizzo dell'immagine, ma del suo "uso eccessivo". Ciò significa che quando hanno scritto le clausole che prevedevano la penale, non
intendevano riferirsi all'immagine. L'altro lo deduciamo dalla sentenza d'appello, che aveva dato torto al Celentano per il comportamento da questi messo in atto successivamente alla stipula del contratto. Quello che occorre vedere è se l'art.1375 sia stato applicato in maniera appropriata. Ora il giudice, escludendo che la controversia fosse risolvibile a favore di Cementano sulla base delle norme di interpretazione del contratto, ha agito correttamente. Quanto alla buona fede, la Cassazione si esprime in modo criptico: grossomodo afferma che tramite la buona fede possono avere ingresso obblighi non pattuiti, a condizione però che l'interesse sia comunque pattiziamente tutelato. Ora, che senso ha sostenere che non si altera il programma negoziale (cioè il contenuto precostituito dell'accordo) lasciando entrare obblighi nuovi? In tale affermazione c'è chiaramente qualcosa di contraddittorio, perché in questo modosembra si degradi la buona fede a semplice strumento di valutazione dei comportamenti attuativi. Occorre riflettere su due profili:- perché la Corte ha tenuto ferma la decisione dell'appello?
- come ha argomentato la sua decisione?
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