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Il religioso fino alla morte era stato il principale responsabile e promotore del Comitato. Il problema
era che un bene immobile di notevole valore era stato intestato direttamente a Padre Aldo; al
momento della sua morte eredi di Padre Aldo erano le due sorelle; una delle due aveva riconosciuto
che quel bene era del Comitato e si era disinteressata, l’altra, Anita, aveva avanzato “infondate
pretese” sul bene. Da qui l’atto di citazione. Anita svolge domanda riconvenzionale dicendo di
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riconoscere che quel bene è divenuto mio per successione ereditaria e quindi assegna a me la
proprietà dell’immobile. Quindi una solita disputa proprietaria tra soggetti che va analizzata alla
luce delle regole di organizzazione perché da un lato non vi era dubbio che Padre Aldo avesse
acquistato il bene immobile e non vi era dubbio che Padre Aldo avesse acquistato non con soldi
propri in quanto frate cappuccino (i cappuccini secondo l’ordine non possono avere soldi propri)
seppur intestandoselo; il Tribunale respinge la domanda dell’attore cioè del Presidente del Comitato
e accoglie la riconvenzionale della sorella dicendo che si tratta di una successione. Si va in appello a
Brescia e qui si ribalta la sentenza di primo grado e decide a favore del Comitato. La Corte
bresciana, come racconta la Cassazione, ha espresso il convincimento che la realizzazione della
finalità di cui si tratta (finalità del comitato che voleva aiutare l’infanzia abbandonata) lungi dal
ricondursi all’azione del religioso quale solitario promotore costituì oggetto di un’azione congiunta
di una pluralità di soggetti che diedero vita a questo comitato per acquistare i beni strumentali
all’esercizio di tale attività. Quindi qui il discrimen viene tracciato in relazione al concetto di
attività: cioè si dice, in realtà è vero che nella sua vita Padre Aldo si era dato moltissimo da fare e
che aveva svolto un’attività di raccolta di fondi, ma questa attività non l’ha svolta in suo nome
personale, qui è un’attività di gruppo. Ma ugualmente il paradigma per quanto riguarda poi la
distribuzione e la titolarità dei beni finisce con l’essere quello stesso della società semplice, cioè c’è
un muro cinese tra il membro del comitato ed i beni perché lui non può servirsene nell’interesse
proprio. Se l’attività è comune allora la titolarità dei beni non spetta a nessun membro del comitato
ma spetta al Comitato. A conforto della ricostruzione della corte di Brescia si è fatto riferimento al
quadro probatorio per cui esisteva una serie di prove ed indizi che hanno convinto il giudice in
maniera razionale per cui si è arrivati alla conclusione che i beni fossero del comitato. Se questa è la
situazione non è valida la critica fatta dalla sorella che diceva che il comitato non era però
riconosciuto e che il bene era trascritto a nome di suo fratello. La corte di Cassazione respinge
queste due osservazioni, in primo luogo considera che la costituzione del comitato non è legata ad
alcun requisito formale, in secondo luogo è che l’intestazione del bene poteva benissimo essere
un’intestazione fiduciaria e che quindi quel bene in realtà, essendo il frutto di un’attività comune, è
del gruppo, anche la proprietà deve rimanere una cose comune fino allo scioglimento del comitato.
Qui quindi c’è un gruppo organizzato per scopi altruistici ed il destino dei beni rimane lo stesso di
qualunque altra società: rimangono in proprietà dell’organizzazione. Vi possono essere quindi
momenti di aggregazione che, pur non dando luogo a persone giuridiche, costituiscono un gruppo
organizzato; si deve dire che molto spesso la creazione di questi enti non è legata ad un aspetto di
organizzazione del gruppo; il comitato non è del tipo “associazione”, ma corrisponde alla tipologia
della “fondazione”, quello che conta è lo scopo comune mentre l’elemento personale dei membri
del gruppo viene svalutato.
Cito un’altra sentenza della Cassazione più recente per dare concretezza al problema.
Corte Cassazione Sezione Terza 22 giugno 2006 n. 14453: due signore, proprietarie di un palazzo
in Marsala, avevano convenuto il comune locale per sentirlo condannare al pagamento della somma
di 104 milioni e passa di lire a titolo di canoni insoluti per la locazione dello stabile denominato
“Palazzo Rallo”. Questo palazzo era stato adibito a sede di “ente teatro del Mediterraneo”.
Sostenevano che il comune fosse obbligato al pagamento perché l’ente teatro del Mediterraneo
(ETM), istituito dal comune per la promozione delle attività teatrali, costituiva organismo comunale
strumentale allo svolgimento dei compiti propri dell’ente territoriale.
Qui si dice che si è locato l’immobile all’ETM; l’ente è stato costituito dal comune di Marsala;
l’ente non ha pagato i canoni e adesso paga il comune di Marsala.
Il comune eccepiva il difetto di legittimazione assumendo che l’ETM era un ente pubblico
autonomo. Quindi qui si trattava di verificare se quell’ente fosse un’articolazione interna del
comune di Marsala oppure fosse un ente autonomo; il problema era fondamentale perché le due
signore volevano i canoni ed avevano citato il comune. Allora come si può risolvere la questione?
Sapere se è un ente autonomo o un’articolazione del comune. Si deve dire che il patrimonio
assegnato all’ETM è un patrimonio destinato ad uno scopo ma rimane formalmente intestato al
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comune di Marsala o si deve dire che quell’ente ha una soggettività sua propria escluso che possa
averlo come soggettività di ente di diritto pubblico come aveva eccepito il comune in prima battuta
(gli enti di diritto pubblico devono avere infatti una costituzione formale che qui non c’era)?
Si trattava di decidere se era un’associazione non riconosciuta e quindi un gruppo organizzato e qui
la Corte d’appello di Palermo dice: “no, non può essere un’associazione non riconosciuta perché
mancano le caratteristiche fondamentali dell’associazione, cioè l’accordo associativo e la pluralità
degli associati. Qui si tratta di un ente costituito unicamente dal comune di Marsala; quindi manca
l’accordo associativo, manca la pluralità di associati. L’ETM va invece qualificato come
“fondazione di fatto” o come “comitato”; il comitato può essere costituito da un ente pubblico
anche non economico senza che rilevi la circostanza della mancata autonomia dell’attività di
raccolta dei fondi da impiegare per il raggiungimento dello scopo perché ciò che caratterizza il
comitato è il fatto del suo costituirsi per uno dei fini dettati nell’art 39 codice civile e l’esistenza di
un fondo con cui perseguire i propri fini e non certo l’attività di raccolta dei fondi stessi”.
Qui si dice: il Comitato può anche essere costituito da un solo soggetto purchè questo soggetto (che
può anche essere un ente pubblico non economico) destini certi beni al perseguimento di certi fini;
qui la finalità era ovviamente quella di diffondere la cultura teatrale a Marsala e nel Mediterraneo
quindi c’era un fine specifico, poi c’era una dotazione di questo ente e ciò basta a creare il
Comitato, con la conseguenza che era sbagliato convenire in giudizio il comune di Marsala perché
in realtà il legittimato passivo era proprio l’ente teatro del Mediterraneo. Poi la corte d’appello con
un escamotage è riuscita a fare giustizia dicendo che tanto il comune deve rispondere in solido
quindi paghi lui e basta.
Ciò che a noi interessa verificare è quindi la possibilità attraverso il soggetto di costituire un
patrimonio destinato ad uno scopo che finisce con l’essere titolare di rapporti e di beni (come nel
caso di Padre Aldo). Ci troviamo di fronte a situazioni in cui gli schemi soggettivi e oggettivi sono
in gran parte sovrapponibili. La scelta tra l’uno e l’altro finisce per essere sottile dettata da ragioni
di convenienza. Negli USA è riconosciuto che per molti tipi di attività si può costituire un trust o
una corporation. I due schemi sono fungibili l’uno rispetto all’altro salvo scegliere lo schema
migliore alla luce di determinati criteri. Se l’ETM fosse stato costituito da una società questa
avrebbe potuto destinare parte del suo patrimonio al compimento di uno specifico affare: vincolo di
destinazione sui beni, segregazione dei beni di una parte del patrimonio sociale vincolato ad uno
scopo ed in realtà il risultato non varia di molto. Qui si è costituito un comitato.
Si noti che le situazioni di confine sono numerose: uno degli esempi che il nostro codice ci ricorda è
quello relativo al consorzio; figura molto ambigua però se ci limitiamo al libro terzo e leggiamo
l’art 920 troviamo una nota importante; l’art 920 riguarda i consorzi volontari per l’organizzazione
delle acque: “salvo quanto disposto dagli art precedenti si applicano ai consorzi volontari le norme
stabilite per la comunione” quindi si applica l’art 1102 il che significa che qui abbiamo
un’organizzazione in cui i membri consorziati organizzano tra d loro la migliore distribuzione di
acque. L’art 920 richiamando le norme sulla comunione indica che, ripartito ed organizzato l’uso
delle acque, ciascuno proprietario consorziato ha diritto ad usare la cosa comune nei limiti dell’uso
promiscuo ma nell’interesse proprio. La cosa è diversa nel caso dei consorzi coattivi: art 921 in cui
le forme di costituzione e funzionamento del consorzio sono quelle stabilite dalle norme speciali. E
da qui possiamo trarre un’indicazione importante: ci sono due schemi fondamentali per organizzare
la comunione positiva: o lo schema per cui i beni del gruppo rimangono sempre beni del gruppo e
non possono essere goduti individualmente da ciascun membro del gruppo nell’interesse suo
proprio, rimangono quindi destinati allo scopo che è quello del gruppo; oppure lo schema in lo
scopo comune non c’è aldilà del fatto di organizzarsi per la migliore distribuzione dei beni e quindi
in questo caso abbiamo sempre una situazione di comunione positiva in cui ci si organizza per
stabilire le regole di godimento dei beni ma nell’interesse dei comunisti quindi ciascuno può
individualmente usare la cosa nell’interesse proprio senza commettere un’appropriazione indebita.
Tenuto conto di questi due schemi possiamo chiarir meglio quali sono i caratteri delle situazioni che
si creano