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STUDIARE LA VIOLENZA SUL CODICE

12 novembre 2013

INTERPRETAZIONE, QUALIFICAZIONE E INTEGRAZIONE DEL CONTRATTO

Un contratto è stato concluso, residuano le possibili patologie di esso, però il vincolo

giuridico è stato istituito. Intorno al contratto si muovono tanti personaggi (notaio

ecc..), ma in caso di divergenza tra le parti esiste istituzionalmente un terzo

indipendente capace di determinare quale sia il contenuto del contratto. Senza questa

possibilità non si avrebbe il contratto così come lo conosciamo. In caso di divergenza

comunque le parti dissipano da sole le loro controversie.

Se le parti non riescono da sole a risolvere le loro divergenze il fatto che il contratto

crei un vincolo giuridico implica la presenza di istituzioni dotate di terzietà che siano in

grado di risolvere per le parti tali divergenze circa il contenuto del vincolo. Questo

implica l’esistenza di un processo (normalmente civile) che si occupa di risolvere la

controversia. C’è un giudice terzo. Quello della terzietà del giudice è un caposaldo; egli

deve essere indipendente, e deve porsi di fronte al contratto. Questo giudice compie

tre operazioni, che distinguono tre fasi:

controllo di legittimità del contratto vincolante  controlla che il contratto sia

effettivamente vincolante, richiama nozioni circa la formazione di un valido vincolo.

Ricostruzione del regolamento contrattuale  il controllo di legittimità è già stato

effettuato con successo. Qui si cerca di capire il contenuto del contratto. Come si

ricostruisce il regolamento contrattuale? Entra in gioco il sistema del processo, che è il

principio dispositivo: la disputa è quella tra le parti, per il giudice è impossibile andare

ultra petita. Il giudizio deve essere su tesi contrapposte, ciascuna delle parti svolge la

sua tesi e l’altra parte quella opposta: se manca questa fase non si ha giudizio (cioè se

le parti sono d’accordo cessa la materia del contendere). È necessario ricostruire il

contenuto, e l’attività del giudice qui è quella di ricostruire il contratto come testo.

Quando il contratto è formale si ha già un documento scritto preformato (e quindi

nessun problema); i problemi sorgono nel caso di contratto informale, che nonostante

siano pochi il principio della libertà di forma lascia spazio a questi. Per ricostruire il

contratto come testo il giudice potrà ad esempio servirsi di testimoni, di documenti e

corrispondenza: da qui si identifica il versante del problema delle prove, del problema

della loro ammissibilità. Art.2722 c.c. “divieto di prova testimoniale, di patti diversi o

contrari contenuti in documento scritto” . abbiamo anche tutto il sistema delle prove

legali, ma il principio generale è quello del libero convincimento del giudice.

Il giudice al termine della ricostruzione avrà davanti un testo redatto nella sua lingua,

ovviamente in linguaggio giuridico. Se egli deve aggiudicare pretese contrapposte non

può far altro che ricostruire il testo come prima operazione. In lingua inglese questa

fase si chiama construction of contract, qui il termine costruzione racchiude operazioni

importanti come la trasposizione del testo. Ma come si giunge a costruire il testo?

Esistono varie opzioni, un’impostazione tradizionale che deriva dal codice napoleonico

ci dice che il contratto è espressione della volontà delle parti, in quanto accordo. Se si

parte dal dogma della volontà risulta abbastanza chiaro che il testo del contratto deve

essere ricostruito secondo la comune intenzione delle parti: quello che intendevano

dire. Infatti la norma essenziale qui è l’art.1362 c.c. “nell’interpretare il contratto si

deve indagare quale sia stata la comune intenzione delle parti, senza limitarsi al

all’uso letterale delle parole” questa norma sembra in linea con il criterio della volontà,

e divergente rispetto al principio della dichiarazione (che invece è evidentemente

recepito nelle norme relative ai vizi della volontà). Bisogna però tener conto della

insopprimibile valenza del testo contrattuale, il giudice ne ha bisogno; comune

intenzione delle parti quindi non significa altro che comune intenzione, accordo, inteso

come intesa sul testo, non sull’oggetto del contratto. Intesa sul testo implica che le

parti utilizzino un codice linguistico comune, se questo codice manca le parti non

riescono a realizzare nessuna intesa. Il testo del contratto come accordo implica

questo comune codice linguistico, e quindi che ci sia un circolo desussuriano. Come si

concilia l’accordo delle parti su un testo da loro concordato nel loro linguaggio con il

fatto che il testo su cui si svolge l’aggiudicazione è scritto nel linguaggio del giudice?

1. primo aspetto: il processo è un processo per parti retto dal principio dispositivo.

Abbiamo una fase del processo in cui il giudicante si pone in ascolto di quello

che le parti gli dicono. Il giudicante quindi è prima di tutto colui che ascolta, e

quindi interviene solo dopo averle ascoltate. Il giudice aggiudica sempre ex

post, si pone davanti ad un fatto storico già avvenuto. È sostanzialmente un

interprete, l’interprete di un testo formato altrove. Per guidare il giudice

interprete ci sono le regole ermeneutiche sul contratto (artt.1362.1371 c.c.),

confezionate in modo tale da far si che il giudice sia interprete del contratto

come accordo tra le parti, e qui in un certo senso il discorso si chiude perché è

necessario ricordare che il contratto ha forza di legge tra le parti. Bisogna

ricordare che il giudice è tenuto ad interpretare il contratto come viene

interpretato dalla legge (e quindi in base all’intenzione del legislatore). E quindi

si sottolinea come l’obiettivo fondamentale sia cercare la comune volontà tra le

parti. Ma come si conciliano il testo inteso oggettivamente e la volontà delle

parti? Ci aiuta questa massima della Cassazione n.9284 del 2005: ci sono

due criteri. Il primo riguarda l’indagine ermeneutica del giudice che è volto a

ricercare l’effettiva volontà dei contraenti. Il secondo dice che nel ricostruirla ha

importanza fondamentale il testo su cui le parti hanno concordato, quindi è

importante l’intesa sul testo. Quando il testo è chiaro e preciso, ha un significato

chiaro per il giudice che legge, quello è il contenuto del contratto. Si dà

rilevanza estrema dell’interpretazione testuale, si deve partire dal testo, e la

ricerca della comune intenzione quindi viene dopo; se è soddisfacente anche

solo questo ci si ferma. Primazia del dato testuale vuol dire analisi del testo

come testo completo. In materia istruttiva è la sent. n.23208/2012 della

Cassazione: opposte pretese delle parti in materia bancaria. Il contenuto del

contratto è scritto nel linguaggio del giudice. l’attore sosteneva di aver concluso

un contratto di mutuo fondiario con la banca e si lamentava del fatto che la fase

di preammortamento fosse durata troppo a lungo. In questi casi normalmente la

banca finanzia chi chiede un mutuo e successivamente iscrive l’ipoteca. Il

problema è che la fase di preammortamento (finanziamento antecedente ad un

ipoteca) normalmente presenta interessi molto più elevati rispetto al mutuo

ipotecario, questo perché l’ipoteca ancora non c’è e la banca è meno garantita.

L’interesse della parte finanziata è avere un periodo di preammortamento

breve. Nella causa il periodo di preammortamento aveva avuto durata di 6anni.

Per sostenere la sua lagnanza l’attore deduceva la nullità di una clausola che

consentiva di anticipare o differire la conclusione finale del contratto di mutuo

con contemporanea accensione di ipoteca; secondo l’attore sussiste un vizio,

una condizione meramente potestativa. Il tribunale con sentenza accoglie la

domanda e condanna la banca alla restituzione della somme ricevute; inoltre

afferma la nullità della clausola suddetta in quanto contraria a buona fede e

principi di correttezza (andando secondo il prof fuori strada). La banca appella.

La corte d’appello accoglie la domanda e riforma la sentenza, affermando che il

problema relativo a buona fede e correttezza rileva esclusivamente in relazione

alla formazione del contratto (fase precontrattuale  risarcimento), ma non

riguarda gli aspetti genetici del contratto. Porta ad un rimedio risarcitorio ma

non alla nullità del contratto. Inoltre la corte parla dell’interpretazione del

contratto, dicendo che non si rileva la presenza di una condizione meramente

potestativa, perché va letta in relazione a ciò che dice l’intero contratto e quindi

in realtà la clausola va letta nel senso che prima di stipulare il contratto

definitivo di mutuo ipotecario occorre che il richiedente produca certi

documenti, ma si aspetta solo questo onere. Si ricorre per Cassazione, il

ricorrente dice che il primo giudice aveva giudicato bene sostenendo la clausola

di nullità per violazione di buona fede e correttezza: sotto questo punto di vista

la cassazione afferma infondato il motivo perché le cause di nullità sono solo

genetiche e quando comportamenti riguardino correttezza e buona fede non si

configurano. Il secondo motivo era basato sull’errore compiuto dalla corte

d’appello sull’interpretazione della clausola, perchè la motivazione si discosta

dal significato proprio della clausola, è necessario innanzi tutto leggerla. La

disputa tra le parti nasce perché una ritiene tale clausola condizione

meramente potestativa e l’altra no: il giudice deve leggerla e interpretarla  la

clausola diceva che “l’istituto poteva anticipare o differire o non dar luogo al

contratto di mutuo fondiario”, la corte cassa una sentenza della corte d’appello

per difetto di motivazione perché quest’ultima non l’aveva letta tutta e ripete

che l’iter logico che il giudice deve seguire per dar senso al contratto deve

comportare la riproduzione integrale, e solo dopo deve dare ad essa un senso.

Ma allora che fine fa la comune intenzione delle parti? Viene dopo, quando c’è

già un testo sicuro testualmente e letteralmente. Può esserci incertezza anche

quando un testo è già stato ricostruito.

Caso Cass. n.9343 del 2008: l’attore dà ordine alla banca di comprare un

 tot di titoli obbligazionari; la banca ne compra meno. Dopo l’ordine la

valutazione in borsa di quei titoli è salita e l’attore ha perso soldi. Il tribunale

respinge la domanda. L’attore appella ma anche qui la sua domanda viene

respinta, considerando che il suo conto corrente era in passivo, e quindi la

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A.A. 2013-2014
126 pagine
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SSD Scienze giuridiche IUS/01 Diritto privato

I contenuti di questa pagina costituiscono rielaborazioni personali del Publisher FedeUnimiFacLegge13 di informazioni apprese con la frequenza delle lezioni di Diritto civile I e studio autonomo di eventuali libri di riferimento in preparazione dell'esame finale o della tesi. Non devono intendersi come materiale ufficiale dell'università Università degli Studi di Milano o del prof Gambaro Antonio.