vuoi
o PayPal
tutte le volte che vuoi
POSITIVITÀ E POLITICITÀ DEL DIRITTO
Agli inizi del 900, già Kelsen aveva operato uno smascheramento delle categorie giuridiche, rivoluzionando la teoria del diritto con svuotamento della triade Ordinamento-Stato-Sovranità. Questa rivoluzionaria visione di Kelsen è utile oggi come non mai per capire il fenomeno giuridico. V'è bisogno, infatti oggi come non mai, di un metodo positivista per capire e spiegare il diritto. Un metodo che però, non deve concentrarsi solo su elementi quali ordinamento, norma, organizzazione, ma che oltre a questi deve tener presente anche il profilo sociologico del diritto, ossia il mondo delle decisioni, delle azioni, dei comportamenti concreti. Punto essenziale questo da cui dover partire.
Elemento sociologico, quindi, che influenza non poco il diritto soprattutto oggi, richiamando una tecnica assai diffusa ormai nella pratica come di comprensione del diritto: l'ermeneutica. Il diritto sembra
ormai imprescindibile dalla visione pratica e concreta che lo costituisce. Le stesse decisioni all'interno dei tribunali vengono assunte in relazione a principi morali, anche se non positivizzati, che sono inclusi all'interno del sistema giuridico. Principi che si fondano sulla cultura etica della società, che a sua volta costituisce il fondamento delle decisioni giudiziarie. Diventa allora principale il ruolo creativo e dunque politico del giudice, dell'interprete. La politica c'è e coincide con quell'ethos valoriale integrato che si attribuisce all'intero ordinamento come riflesso dell'intera società. Tutto questo, a testimonianza di come si siano aperte nuove prospettive del diritto, per cui diviene impossibile tenere distinto il momento della pura e semplice identificazione o conoscenza del diritto da quello dell'appartenenza consensuale al suo mondo normativo. Oggi, infatti, la concretezza della prassi, delle decisioni dei funzionari,delle corti è più che mai indispensabile per usare, criticare, conoscere e cambiare il diritto. In questo scenario positività del diritto significa concretezza e realtà. È questo uno scenario dove è ormai impraticabile una distinzione tra ciò che è diritto e ciò che non lo è. Tutto si mescola, livelli di argomentazioni tecnici o morali coesistono con procedure e tecniche amministrative, pubbliche o privatistico-commerciali. Si tradisce l'opposizione dei positivisti verso la morale, la religione e la scienza, divenendo proprio questi gli elementi efficaci del diritto positivo.
Ma, il pericolo non sta tanto in questo, perché è sempre successo che il diritto si sia riempito di contenuti etici, religiosi e morali. Il pericolo, invece, sta nel fatto che data la sempre maggiore preminenza che stanno assumendo le aree non giuridiche della morale e della religione, si crea il rischio di far assumere alla forma
giuridica una posizione secondaria e residuale.Ora, c’è da rintracciare da cosa scaturisca l’indebolimento del ruolo del momento giuridico.Bene, questo indebolimento deriva dalla storia del diritto moderno e dal suo legame strutturalecon lo Stato e la sovranità.È proprio, infatti, la sovranità che è capace di esercitare il diritto che non bisogna porre sulfondo, perché è proprio questo l’elemento che fa svolgere al diritto il suo interno einternazionale, differenziandolo oltretutto dagli altri sistemi normativi.L’indebolimento o addirittura la crisi della sovranità fa sì che le leggi, e soprattutto le leggi conimportanti contenuti valoriali, si reggano sull’accordo politico, accrescano la politicità deldiritto. È questa una trasformazione inquietante, che vede indebolirsi l’apparato dello Stato cheprotegge il diritto e che tra esso e le parti in gioco faceva da mediatore,
La legittimazione delle decisioni, i principi, i diritti e la giustizia vanno ormai identificati nella natura tecnica e quindi politica del momento giuridico. La strumentalità e la politicità del diritto emergono, anche negli sforzi di sollevarsi al di sopra delle lotte di parte per arrivare al nucleo dei diritti fondamentali. Lo strumento giuridico, essendo indirizzato politicamente, mira ora ad esercitare una forma di controllo omogeneo e unidirezionale. Un po' come sosteneva Kelsen, quando metteva a nudo il momento politico e volontaristico che si nascondeva dietro il velo di razionalità della catena delle norme. Non solo Kelsen, ma così come facevano Nietzsche, Freud e Marx, quando hanno rovesciato il meccanismo della morale e della normatività occidentale. Quando si parla di controllo, non bisogna però erroneamente pensare a un controllo di tipo coeso e coerente, ma a un controllo che fa i conti con una realtà frammentata,
disomogeneae tutt'altro che ordinata. Essere positivisti, significa prendere atto della pluralità di strategie presenti che denotano la esistenza di un'altrettanta vasta gamma di scopi conflittuali di natura politica. Nel diritto c'è politica e non bisogna dimenticarlo. La politica è dentro e non fuori il diritto. Diritto e politica insieme. E la quantità di leggi speciali, di norme eccezionali, il loro disorganizzarsi, testimonia in modo potente che il diritto tanto pubblico che privato è teatro di costante politicità. Politicità e positività esaltano la natura tecnica del diritto, la capacità di realizzare scopi, ma contemporaneamente ne stemperano il tratto di controllo omogeneo che ad esso erroneamente si vuole attribuire. Si implica, quindi, per comprendere e conoscere il diritto un'apertura, come da sempre ribadito, ad osservazioni sociologiche, comportamentali, allo sguardo sulla effettività. Ciò, comunque,non deve comportare un'analisi in linea con il sistema di Luhmann, poiché quest'ultimo, per quanto affronti in maniera disincantata e dissoluta ogni organicismo, in realtà ripropone la complessità globale attraverso microsistemi sempre più segmentati e frammentati. Se dobbiamo riferirci a Luhmann, al massimo possiamo farlo tenendo presente il carattere comunicativo che egli attribuiva al potere, perché lo stesso vale per il diritto e le disposizioni normative che esercitano effettivamente un ruolo di messaggio, di segno, per orientare le scelte e le decisioni di chi le usa. C'è chi dice che la legge è legge. No: sa che ci si riferisca alle norme particolari che agli enunciati costituzionali, la legge non è niente, se non un atto umano dai molteplici significati tra cui poter scegliere responsabilmente, nel senso di assumere una precisa responsabilità individuale nel decidere.CAPITOLO II : LA NORMA
Per capire laComplessità del diritto attuale, contemporaneo utili più che mai diventano categorie giuridiche quali: norma e decisione. Sono categorie, infatti, queste che riescono a decifrare le forme che il diritto assume per influire sul sociale, i rapporti che instaura con cultura e mentalità, i comportamenti che vi si conformano o meno.
La scienza giuridica va dunque individuata con sistematicità. E questa sistematicità può essere praticata ricorrendo ad una tecnica importantissima nell'analisi del diritto per estrapolarne delle norme: l'interpretazione. Attività ermeneutica che richiama una forma di razionalità pratica legata a quella costruzione del diritto che avviene nei tribunali, nelle corti, sotto forma di principi generali e norme di rango costituzionale.
Questa tecnica ha come conseguenza l'apertura del sistema giuridico alla morale, all'etica, al senso comune della vita sociale; ha come conseguenza la formulazione di
normeextragiuridiche di natura morale, facendone derivare conseguenze giuridiche.Una operazione è questa, quindi, che ha anche qualcosa di creativo, di costruttivo, e creatività significa politicità.Il diritto oggi può, allora, essere analizzato nella sua complessità secondo la logica deduttiva,ma non questa nel senso del movimento dal generale al particolare, ma nel senso dellacoerenza tra premesse e conclusioni, tra casi e conseguenze.La deduttività, infatti, non deve essere confusa con la meccanicità, perché non esiste unatecnica universale mediante cui ogni caso viene giuridicamente risolto. La logica deduttiva,invece, deve servire ad individuare il legame, all’interno dell’eterogeneo fenomeno giuridico traun enunciato (di qualsiasi genere) e una conseguenza che ad esso viene riferita.Norma-sapere. All’enunciato normativo segue un atto ad esso conforme e dunque la normache emerge attraverso
L'interpretazione dei testi dà luogo al comportamento prescritto. Ad esempio: facciamo riferimento alla figura del presidente del seggio elettorale. Se questo, durante lo svolgimento del compito che gli è stato assegnato, manterrà un comportamento neutrale ed uniforme come previsto dagli enunciati normativi, si otterrà una votazione valida. Allorché, si comprende che è proprio partendo dalla norma che è possibile dedurre un comportamento preciso, quale conseguenza immediata dell'applicazione della norma stessa. Il procedimento logico-deduttivo diventa dunque utile, se non indispensabile per comprendere il fenomeno giuridico. Ma non solo. Dall'esempio riportato, possiamo anche estrapolare l'importanza del carattere deontico della norma, intesa in quanto proposizione o giudizio e a cui si accompagna, quindi, una conseguenza prevista. Ciò a differenza di quando, invece, la norma viene intesa in senso stretto, ossia di.
quandoviene applicata dagli organi giuridici. Ma non solo, da tutti i consociati.Si distingue così il momento conoscitivo-riflessivo da quello funzionale-deontico della norma,insomma quello che Hart chiama foro interno e foro esterno.La figura dei consociati, accanto a quella dei funzionari, giudici del diritto è quindi utile perguardare al momento dell’applicazione dello stesso.Ed è lo stesso Weber, infatti, a manifestare quanto il potere razionale o, meglio, razionalizzato(già dal passato di, o mediato da, prìncipi, magistrati, sacerdoti) sia influente in manieradurevole sul contenuto del diritto.Secondo Weber, infatti, è proprio tramite il processo di razionalizzazione del potere, anchetramite lo strumento giuridico, che si segna il percorso delle società verso la modernità.Oggi, invece, l’immagine del diritto si fa sempre meno razionale e sembra svuotarsi edisgregarsi in una miriade di forme che lasciano spazio
alla più primitiva delle contrapposizioni di potere: vince il più ricco, quello che può permettersi l'usare la sua ricchezza come strumento di controllo e dominio sugli altri.