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CHIESA1. Ambivalenza del termine "elezione" nel linguaggio canonistico p. 1 – 6
Il termine elezione ha assunto, col passare del tempo, il significato di procedimento tecnico che consente alla società civile di darsi una rappresentanza politica. Questo termine identifica un momento alto dei regimi democratici per il quale il popolo "sceglie" chi concretamente lo debba rappresentare nelle assemblee parlamentari. L'elezione avviene quindi dal basso: è l'elettorato chiamato alle urne l'unico signore ed arbitro del proprio destino. Nel gioco democratico il momento elettivo è un momento di lotta tra antagonisti per il potere: le elezioni si vincono o si perdono e chi vince comanda.
Il linguaggio canonistico, invece, fa risalire le radici del termine elezione in un discorso teologico. In quest'ambito la parola "electio" rimanda direttamente alla scelta che Dio opera nella storia individuando il suo popolo e chi,
fra gli uomini, è destinato ad entrare nel regno dei salvati. È il Suo riconoscimento a fondare il ruolo del Suo popolo nell'economia della salvezza, e a fondare, allo stesso modo, l'autorità delle sue guide, i sacerdoti. È dunque alla volontà di Dio che si deve ricondurre la chiamata elettiva; elezione che non dipende in nessun modo dalla volontà o, ancora meno, da un atto umano. In sostanza, la Chiesa dei primi secoli non avverte ancora il bisogno di darsi delle specifiche regole per normativizzare la scelta della propria "classe dirigente": il valore della vita comunitaria e della testimonianza è così forte da far emergere naturalmente le persone di maggior carisma, che s'impongono nelle comunità in virtù di una forza che sembra provenire direttamente da Dio. Ma già nel V-VI sec. il termine "elezione" comincia a subire degli slittamenti nell'ambito del linguaggio.più propriamente giuridico. Con l'andare del tempo anche nel diritto canonico si andava ponendo il problema della cooptazione dell'apparato gerarchico, e non sempre l'ispirazione divina era così netta da rispecchiarsi nell'unanimità. Così, progressivamente, per elezione comincia ad intendersi il complesso dei procedimenti in grado di regolare in maniera ordinata ed equa la scelta degli ordinati in sacris e dei vescovi. Gregorio Magno mette comunque in luce come dietro al momento umano dell'elezione debba sempre risiedere un'altra elezione, quella operata da Dio. Per quanto ci si sforzi di riportare il momento della scelta degli uomini incaricati nella Chiesa della potestas iurisdictionis all'interno di una logica comune, ben presto anche i concili sono costretti ad occuparsi della disciplina delle elezioni, dettando norme e principi specifici in grado di difendere non solo il metodo e la trasparenza dei procedimenti elettorali,
ma anche le ingerenze ormai pressantiche cominciano a farsi sentire da parte del potere secolare. Di fronte all'ipotesi che le elezioni canoniche diventino vere e proprie lotte per il potere, il Concilio di Parigi sente il bisogno di sancire che: "il consenso di tutta la comunità, chierici e laici, e la necessaria espressione del loro parere diventano momento fondante nel procedimento di designazione dei vescovi, che ripetono così il proprio potere da quell'atto di elezione divina che si riflette nella decisione espressa con l'ausilio dello Spirito della civitas cristiana". Il conferimento dell'episcopato a persona non conosciuta e riconosciuta come degna e adatta dal popolo di Dio che forma la diocesi deve essere dichiarato non valido. È la dimensione giuridica ora ad apparire tendenzialmente in primo piano quando si parla di elezione. Col passare del tempo la procedura canonica dettagliata delle regole elettorali sarà destinata.via via ad infittirsi, fino a raggiungere gradi d sofisticazione molto elevati. Tuttavia nella parola electio, dedotta dalla teologia ed assunta a pieno titolo nel sermo canonisticus, continuerà e continua ad essere presente questa ricca ambivalenza, questo valore di fondo per il quale dal metodo stesso della scelta degli uomini di governo deve trasparire una volontà, un atto di elezione che trascende la volontà umana.
2. L’elezione come modello iniziale di riferimento nella provvisione dell’ufficio episcopale p. 6 – 11
Nel tempo delle origini, il termine elctio può essere meglio indicato più con la parola scelta che con elezione. Questa scelta vede porsi come parte fondamentale, necessaria, il clero e il popolo di tutta la comunità. La tradizione apostolica delle origini (da Ippolito a Cipriano) sembra pensarla in questo modo, secondo il quale il diritto della comunità di eleggere il suo vescovo, ha radici addirittura nel
Vecchio Testamento. È la chiesa locale che certifica la vocazione, controlla l'apostolicità della fede e le qualità dell'eletto, lo acclama e lo riceve dopo la sua nomina. I modi e i procedimenti concernenti l'elezione dei vescovi non sono frutto, nella chiesa delle origini, di un'opera legislativa, ma sono ispirati da una pratica costante delle comunità cui non è estranea l'opera di Dio che spesso interviene direttamente nel processo di nomina mostrando con segni evidenti la propria volontà, la quale trova coronamento nel consenso espresso da tutto il clero e da tutto il popolo. Anche i primi tentativi di legislazione che toccano questo punto riconoscono il ruolo fondamentale della comunità nella scelta del proprio vescovo. Del resto, la stessa prassi costante dell'approvazione definitiva della nomina episcopale da parte della collettività è un dato che molti testi dell'epoca ci
tramandano in maniera univoca. Anche i pontefici sostengono ufficialmente che la scelta dei vescovi deve avvenire con l'intervento del clero e del popolo, i quali possono testimoniare in maniera chiara ed evidente i meriti del candidato. In assenza di una legislazione certa e precisa su questo punto delicato, essi cercano di insistere, nei loro interventi, sulle qualità, sui requisiti che il candidato dovrebbe presentare; ed è logico che in questa prospettiva cerchino di sollecitare il controllo dell'autorità preposta alla regione ecclesiastica: il metropolita. Le stesse fonti giustinianee sostengono questa linea di tendenza: per esse spetta addirittura agli abitanti delle città sedi di uffici vescovili vacanti nominare una terna di candidati tra i quali scegliere il futuro vescovo. E anche quando questo diritto sarà ristretto al clero e ai maggiorenti delle città, nel momento dell'ordinazione e dell'acclamazione rimangono.comunque in vigore tutti gli altri usi e prescrizioni. La rottura dell'ordine imperiale e la nascita di una molteplicità di regni che si affacciano sull'orizzonte dell'Europa occidentale provocano una confusione istituzionale e politica di cui risentono in maniera evidente anche i linguaggi. Le fonti alto-medioevali cominciano così a parlare indifferentemente (in tema di nomine episcopali) di electio e di ordinatio, senza attribuire a ciascuno dei due termini un significato preciso ed univoco. Ciononostante il riferimento dei concili alla prassi e alla dottrina tradizionale, dove i vescovi vengono eletti dal clero e dal popolo, non viene mai meno, neppure in quelle aree geo-politiche dove più forte risulta essere la progressiva affermazione dell'autorità secolare. In Francia, soprattutto, i re tendono ad intervenire pesantemente nella pratica delle elezioni vescovili, assicurandosi la copertura dei seggi episcopali vacanti con persone "grate".perlomeno, non ostili. Questo indirizzo sarà destinato a trionfare nei secoli successivi, quando la scelta dei vescovi cadrà largamente nella sfera di disposizione delle autorità secolari. La nomina episcopale, insomma, diviene una sorta di beneficio conferito dal re; e questa nuova realtà inaugura una tradizione che vedrà ben presto interferire nel conferimento dei vescovi non solo i re, ma anche i signori feudali. Ma anche in questo quadro profondamente mutato sopravvive la linea tradizionale della chiesa secondo la quale il clero ed il popolo sono da sempre i soggetti attivi dell'elezione vescovile. A questa dottrina e a questa prassi si rifanno i pontefici, i quali: - mentre da un lato confermano la titolarità che spetta al clero e al popolo di designare il candidato; - dall'altro cominciano a riservarsi il diritto di procedere personalmente alla consacrazione dell'eletto. In questa contingenza storica il papato sembrarispondere in modo ambivalente: da un canto, la consapevolezza di non essere per il momento in grado di poter validamente contrastare la pretesa di re efeudatari nel rivendicare alla loro sfera giurisdizionale la nomina dei vescovi, fa sì che la chiesa si sforzi di conservare la tradizione secondo la quale il potere di eleggere il proprio vescovo spetta al clero e al popolo; d'altro canto, il papato intuisce che bisogna approfittare di questo momento storico e brandire lo stesso principio dell'elezione dei vescovi da parte del popolo al fine di difendere le proprie prerogative: per aggiustare, cioè, in senso gerarchico le disfunzioni che lo stesso principio avrebbe, alla lunga, portato all'interno della compagine ecclesiastica. Siamo alle soglie di quella lunga sfida, nota come lotta per le investiture, nella quale la Chiesa deciderà di affrontare il potere temporale in campo aperto, per ridefinire la propria irrinunciabile potestà in spiritualibus e,con essa, la propria centralità nella storia dell'Occidente. Da quello scontro essa uscirà vincitrice e consolidata in una nuova concezione gerarchica, fortemente accentrata intorno alla figura del romano pontefice. 3. La partecipazione del popolo di Dio alla scelta delle proprie guide nelle realtà pievane p. 11 - 15 Se la partecipazione del clero e del popolo era condizione necessaria per procedere alle nomine episcopali, a maggior ragione era tradizionalmente richiesto il consenso della comunità per eleggere i presbiteri da porre a capo di quelle porzioni del popolo di Dio che formavano la diocesi. La stretta identificazione tra la comunità locale ed il suo capo è un dato storico ricorrente nella chiesa delle origini, e trova un esempio nelle pievi (Italia centrosettentrionale). Esse venivano fondate da preti missionari che agivano in gruppo (frates) nell'azione di diffusione del Verbo e che si ponevano a capo di queste nuove comunità.aragrafi di testo potrebbero essere applicati i seguenti tag html:da loro stessi battezzate. Queste nuove ecclesiae entravano a far parte della diocesi ove già insistesse su quella porzione di territorio la giurisdizione di una sede vescovile, cominciando tuttavia molto presto a definire un proprio distretto dotato di autonomo patrimonio e di un proprio clero.
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