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CAPITOLO TERZO -LE REGOLE DI CONCORRENZA APPLICABILI ALLE IMPRESE
1. Quadro normativo
L'art. 3 par. 1 let. B) TFUE , include tra i settori rientranti nella competenza esclusiva dell'unione, la “ definizione delle regole di
concorrenza, necessarie al funzionamento del mercato interno”.
Un esplicito richiamo alla concorrenza manca invece nell'art. 3 del TUE , il quale definisce gli obiettivi dell'Unione. Ciò rappresenta
senza dubbio un passo indietro rispetto all'art. 3 TCE let. G), il quale includeva tra le azioni della Comunità, “un regime inteso a
garantire che la concorrenza non sia falsata nel mercato interno”.
La concorrenza è ora espressamente menzionata e disciplinata, nel PROTOCOLLO N. 27 SUL MERCATO INTERNO E SULLA
CONCORRENZA , nel quale :
si afferma che: “il mercato interno comprende un sistema che assicura, che la concorrenza “non sia falsata”
• e si evoca la possibilità di ricorrere “anche” all'art. 352TFUE (cd. Clausola di flessibilità) per adottare misure rivolte, a
• realizzare tale obiettivo di concorrenza libera e non falsata. Come sappiamo l'art. 352 TFUE, consente al Consiglio, con
l'approvazione del PE, di adottare misure necessarie per realizzare uno degli obiettivi di cui ai Trattati, in assenza di
attribuzione da parte dei trattati stesisi, dei necessari poteri di azione.
Ebbene il richiamo all'art. 352 , contenuto nel protocollo n. 27, dimostra che la concorrenza rientra anche oggi tra gli obiettivi
dell'unione, nonostante il silenzio dell'art. 3 TUE a riguardo.
Le disposizioni dei trattati, che si occupano specificamente di questo aspetto del mercato interno (concorrenza) sono gli artt. da 101
a 109 TFUE, divisi in due sezioni.
1. La prima sezione è composta dagli artt. da 101 a 106 , che sono disposizioni rivolte alle imprese e impongono loro dei
divieti di comportamento.
2. La seconda sezione, composta dagli artt. da 107 a 109, invece si occupa degli aiuti statali alle imprese.
Della prima sezione, si distinguono per la loro importanza:
l' art. 101: sono incompatibili il mercato interno e sono vietati, con il, gli accordi fra imprese , tutte le decisionidi
• associazioni di imprese, e tutte le pratiche concordate, che possano pregiudicare il commercio tra Stati membri e che
abbiano per oggetto o per effetto, quello di impedire, restringere o falsare il gioco dellaconcorrenza all'interno del mercato
interno (divieto di intese tra imprese)
l'art. 102: è incompatibile con il mercato interno ed è vietato, nella misura in cui possa essere pregiudizievole al
• commercio tra Stati membri, lo sfruttamento abusivo da parte di una o più imprese di una posizione dominante sul
mercato interno o su una parte sostanziale di questo (divieto di sfruttamento abusivo, delle “posizioni dominanti”)
Gli art. 103 -104- 105 riguardano poi l'applicazione dei due divieti previsti dall'art. 101 e 102, e l'art. 106 prevede alcune regole
speciali relative alle imprese pubbliche e alle imprese incaricate della gestione di servizi di interesse economico generale.
Le regole di concorrenza in esame, cioè i divieti previsti dall'art. 101 e 102:
In una prima prospettiva , rappresentanto il riflesso , “in chiave priviatistica”, delle disposizioni del TFUE che assicurano la
• libertà di circolazione , sopratutto di quelle disposizioni del TFUE relative alla libera circolazione delle merci e dei servizi.
Infatti:
- disposizioni del TFUE che assicurano la libera circolazione, mirano ad abolire gli ostacoli all'unificazione dei mercati
nazionali “che derivano dall'azione degli stati membri”
- divieti previsti dagli art. 101 e 102 mirano ad impedire che l'unificazione dei mercati nazionali sia vanificata da
“comportamenti delle imprese” aventi come oggetto o come effetto, quello di isolare i singoli mercati nazionali.
In questa prospettiva, le regole di concorrenza applicabili alle imprese contribuiscono a raggiungere l'obiettivo del mercato
unico.
In una seconda prospettiva, hanno un valore autonomo, in quanto costituiscono “di per sè” un importante “fattore di
• progresso economico”. Infatti, in un regime di concorrenza “leale e non falsata”, le imprese hanno interesse a lavorare in
maniera efficiente, offrendo prodotti o servizi migliori a prezzi più bassi, e producendo così maggiore ricchezza. In
particolare, si è diffuso il convincimento che un regime di concorrenza “libera e non falsata” rappresenta uno strumento a
vantaggio dei consumatori.
Il collegamento tra la tutela della libera concorrenza predisposta dagli articoli 101 e 102 e la protezione dei consumatori, è
presente nello stesso art. 101 , il quale al par. 3, nello stabilire le condizioni per poter dichiarare inapplicabile il divieto di
cui al par. 1 a certe intese o categorie di intese, prescrive tra tali condizioni , quella che “l'intesa deve riservare agli
utilizzatori (intendosi come tali i consumatori) una congrua parte dell'utile che ne deriva. Un riferimento ancora più
esplicito ai consumatori, vi è nell'art. 102 secondo comma lett. B) il quale considera abusive, e quindi vietate, le pratiche di
un impresa dominante, che consistono nel limitare la produzione, gli sbocchi o lo sviluppo tecnico, a danno dei
consumatori.
Le citate fonti di primo grado, sono state completate da un buon numero di fonti derivate. L'art. 103 TFUE infatti, attribuisce al
Consiglio il potere di adottare, su proposta della Commissione, e previa consultazione del PE, atti (cioè regolamenti e direttive)
necessari ai fini dell' applicazione dei principi contemplati dagli articoli 101 e 102 .
Tuttavia, si deve notare che, essendo che l'art. 103 non qualifica la descritta procedura decisionale come “legislativa” , gli atti
adottati, nonostante la loro importanza, costituiscono atti non legislativi.
Una particolarità del settore in esame (fonti derivate) è data dall'ampio ricorso alla “delega di poteri” in favore della Commissione.
Tale delega ha riguardato non solo funzioni di tipo amministrativo, consistenti nell'applicazione degli art. 101 e 102 ai singoli casi
concreti, ma anche poteri normativi (es. In materia di dichiarazioni di inapplicabilità per categoria ai sensi del par. 3 dell'art. 101).
La materia è dunque disciplinata in gran parte da regolamenti di secondo grado, adottati dalla Commissione. La Commissione,
inoltre, pubblica con grande frequenza atti non obbligatori, rientranti nel genere delle “comunicazioni” ma rispondenti a
denominazioni diverse (orientamenti, linee guida, disciplina, e altro ancora) attraverso cui rende noto il modo in cui intende
applicare gli art. 101 e 102 con riferimento a determinate questioni o a determinate fattispecie.
Pur non assumendo valore normativo, detti atti rivestono comunque grande importanza in quanto creano negli interessati, la
legittima aspettativa che la commissione stessa li rispetterà: di conseguenza l'atto (della commissione) che non si conformi a tali atti
non obbligatori,è annullabile.
Per completare il quadro delle fonti in questo settore, si fa riferimento anche alla prassi, costituita dall'insieme delle decisioni (in
genere pubblicate nella Gazzetta Ufficiale dell'Unione) adottate dalla Commissione, con riferimento a singoli casi concreti. La
prassi della Commissione è ripresa nella RELAZIONE SULLA POLITICA DELLA CONCORRENZA, la quale viene presentata
annualmente al PE ed è anche essa oggetto di pubblicazione.
I divieti contenuti negli art. 101 e 102 TFUE sono considerati come dotati di efficacia diretta e sono suscettibili, quindi, di essere
applicati dai giudici nazionali nell'ambito dei giudizi di loro competenza. Il principio dell'efficacia diretta degli art. 101 e 102 è stato
affermato nella sentenza Estèe Lauder del 1980.
Nel caso di specie, la CG era interrogata dal Tribunale di commercio di Parigi , in merito alla compatibilità con l'art. 85 TCE (ora
art. 101 TFUE) del sistema di distribuzione “selettiva” (e degli accordi su cui lo stesso era basato) proprio dell'Estèe Lauder, la
quale si era rifiutata di fornire i suoi prodotti di profumeria ad un impresa che non faceva parte del suo sistema di distribuzione
selettiva. Ebbene, la CG in tale sentenza del 1980 ha affermato che: per loro natura , i divieti sanciti dall'art. 85 n. 1 TCE e 86 del
TCE (ora art. 101 par. 1 e 102 TFUE) sono atti a produrre direttamente effetti nei rapporti fra i singoli, e di conseguenza
attribuiscono direttamente ai singoli, dei diritti che i giudici nazionali devono tutelare
L'efficacia diretta dei divieti di cui all'art. 101 e 102, comporta inoltre il diritto del soggetto che ha subito danni a seguito della
violazione di detti articoli, a chiederne il risarimento. Tale diritto al risarcimento dei danni, sussiste anche se il soggetto
danneggiato sia parte dell'intesa vietata dall'art. 101; tuttavia, in questo caso occorre dimostrare che sussistono “circostanze
particolari”, come l'esistenza di una situazione di inferiorità grave nei confronti della controparte.
2.Regole applicabili alle imprese e obblighi degli Stati membri.
I citati articoli da 101 a 106 del TFUE sono diretti soprattutto alle imprese e a queste impongono dei divieti. Tuttavia da tali
disposizioni discendono anche degli obblighi a carico degli Stati membri.
Una giurisprudenza consolidatasi prima delle modifiche introdotte dal Trattato di Lisbona , affermava che gli stati membri , sono
tenuti , in virtù dell'art. 10 secondo comma del TCE (obbligo di coperazione, ora art. 4 PAR. 3 TUE), letto in combinato con l'art. 3
let. G) e con gli art. 81 e 82 dello stesso TCE, ad astenersi ,dall'emanare o dal mettere in vigore, provvedimenti che possano rendere
praticamente inefficaci tali norme.
L'abolizione dell'art. 3 let. G) del TCE e la mancata inclusione ( da parte dell'art. 3 TUE) della concorrenza tra gli obiettivi
dell'Unione, potrebbe far dubitare che la descritta giurisprudenza sia ancora valida. Tuttavia, è verosimile che il protocollo n. 27 sul
mercato interno e la concorrenza , possa colmare la lacuna.
Secondo la giurisprudenza, l'obbligo di astensione a carico degli Stati membri può risultare violato in due casi:
1. quando le misure statali provocano un rafforzamento degli effetti di un'intesa contraria all'art.101. Casi del genere
presuppongono che si sia in presenza di una vera e propria intesa conclusa in violazione dell'art. 101, sulla quale, poi , si
innesta un intervento pubblico che può consistere, o nel rendere obbligatoria la conclusione dell'intesa, o nel promuovere la
conclusione dell'intesa, o ancora nel rafforzarne gli effetti . Ad esempio, la legislazione francese prevedeva che le tariffe
aeree, una volta concordate, dalle compagnie aeree interessate