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PROCREAZIONE MEDICALMENTE ASSISTITA (LEGGE 40/2004)
Art. 1. (Finalità). 1. Al fine di favorire la soluzione dei problemi riproduttivi derivanti dalla
sterilita' o dalla infertilita' umana e' consentito il ricorso alla procreazione medicalmente assistita,
che assicura i diritti di tutti i soggetti coinvolti, soprattutto del concepito. 2. Il ricorso alla
procreazione medicalmente assistita e' consentito solamente qualora siano stati fatti in precedenza
accertamenti e tentati tutti i possibili metodi terapeutici che NON sono poi risultati efficaci per
rimuovere le cause di sterilita' o infertilita'.
Art. 2. (Interventi contro la sterilita' e la infertilità). 1. Il Ministro della salute puo' promuovere
ricerche sulle cause patologiche, psicologiche, ambientali e sociali dei fenomeni della sterilita' e
della infertilita' e favorire gli interventi necessari per rimuoverle, puo' promuovere campagne di
informazione e di prevenzione dei fenomeni della sterilita' e della infertilita'.
Art. 4. (Accesso alle tecniche). 1. Il ricorso alle tecniche di procreazione assistita e' consentito
solo quando vi siano stati precedenti negativi di altre terapie ed e' comunque circoscritto ai casi di
sterilita' o di infertilita' inspiegate oppure accertate e refertate mediante atto medico. 2. Le tecniche
di procreazione assistita sono applicate in base ai seguenti principi: a) gradualita', al fine di evitare
il ricorso ad interventi aventi un grado di invasivita' tecnico e psicologico piu' gravoso per i
destinatari, ispirandosi al principio della minore invasivita'; b) consenso informato. E' vietato il
ricorso a tecniche di procreazione assistita di tipo eterologo (cioè con seme estaneo alla coppia).
Art. 5. (Requisiti). 1.Possono accedere alle tecniche di procreazione assistita coppie di
maggiorenni, coniugate o conviventi, in eta' potenzialmente fertile (non viene stabilita l’età limite
ma certamente gli anziani vengono esclusi), entrambi viventi (non è possibile la criogenesi, cioè
l’impianto post mortem). 3
Art. 6. (Consenso informato). 1. Prima del ricorso e durante ogni fase di applicazione delle
tecniche di procreazione assistita il medico informa in maniera dettagliata i soggetti sui metodi, sui
problemi bioetici e sui possibili effetti collaterali sanitari e psicologici conseguenti all'applicazione
delle tecniche stesse, sulle probabilita' di successo e sui rischi dalle stesse derivanti, nonche' sulle
relative conseguenze giuridiche per la donna, per l'uomo e per il nascituro in modo tale da garantire
il formarsi di una volonta' consapevole e consapevolmente espressa.. Alla coppia deve essere
prospettata la possibilita' di ricorrere a procedure di adozione o di affidamento come alternativa alla
procreazione assistita. 2. La volonta' di entrambi i soggetti di accedere alle tecniche di procreazione
assistita e' espressa per iscritto congiuntamente al medico responsabile della struttura. Tra la
manifestazione della volonta' e l'applicazione della tecnica deve intercorrere un termine non
inferiore a sette giorni. La volonta' puo' essere revocata da ciascuno dei soggetti indicati fino al
momento della fecondazione dell'ovulo. 3. Il medico responsabile della struttura puo' decidere di
non procedere alla procreazione assistita, esclusivamente per motivi di ordine medico-sanitario. In
tale caso deve fornire alla coppia motivazione scritta di tale decisione.
Art. 8. (Stato giuridico del nato). 1. I nati a seguito dell'applicazione delle tecniche di
procreazione assistita hanno lo stato di figli legittimi o di figli riconosciuti della coppia.
Art. 9. (Divieto del disconoscimento della paternita' e dell'anonimato della madre). 1.
Qualora si ricorra a tecniche di procreazione assistita di tipo eterologo il coniuge o il convivente
NON puo' esercitare l'azione di disconoscimento della paternita'. 2. La madre del nato a seguito
dell'applicazione di tecniche di procreazione assistita NON puo' rimanere nell’anonimato. In caso di
applicazione di tecniche di tipo eterologo il donatore di gameti non acquisisce alcuna relazione
giuridica parentale con il nato e non puo' far valere nei suoi confronti alcun diritto ne' essere titolare
di obblighi.
Art. 13. (Sperimentazione sugli embrioni umani). 1. E' vietata qualsiasi sperimentazione su
ciascun embrione umano. 2. La ricerca clinica e sperimentale su ciascun embrione umano e'
consentita a condizione che si perseguano finalita' esclusivamente terapeutiche e diagnostiche ad
essa collegate volte alla tutela della salute e allo sviluppo dell'embrione stesso. 3. Sono, comunque,
vietati: a) la produzione di embrioni umani a fini di ricerca o di sperimentazione. b) ogni forma di
selezione a scopo eugenetico degli embrioni e dei gameti predeterminarne caratteristiche genetiche
(non è cioè possibile scegliere a priori l’ovulo da impiantare); c) interventi di clonazione; 5. E'
disposta altrimenti la sospensione da uno a tre anni dall'esercizio professionale nei confronti
dell'esercente una professione sanitaria
Art. 14. (Limiti all'applicazione delle tecniche sugli embrioni). 1. E' vietata la
crioconservazione e la soppressione di embrioni; 2. Le tecniche di produzione degli embrioni,
devono creare un numero di embrioni superiore a quello strettamente necessario ad un unico e
contemporaneo impianto, comunque non superiore a tre. 3. Qualora il trasferimento nell'utero degli
embrioni non risulti possibile per grave e documentata causa di forza maggiore relativa allo stato di
salute della donna non prevedibile al momento della fecondazione e' consentita la
crioconservazione degli embrioni stessi fino alla data del trasferimento, da realizzare non appena
possibile. 5. La coppia viene informata sul numero e sullo stato di salute degli embrioni da
trasferire nell'utero.
Art. 16. (Obiezione di coscienza). 1. Il personale sanitario ed esercente le attivita' sanitarie
ausiliarie non e' tenuto a prendere parte alle procedure di procreazione assistita quando sollevi
obiezione di coscienza con preventiva dichiarazione. 2. L'obiezione puo' essere sempre revocata ma
in tale caso la dichiarazione produce effetto dopo un mese dalla sua presentazione.
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NORME PER LA TUTELA SOCIALE DELLA MATERNITA' E SULL'INTERRUZIONE
VOLONTARIA DELLA GRAVIDANZA (L. 194/1978)
Articolo 1 Lo Stato garantisce il diritto alla procreazione cosciente (attraverso leggi che realizzano
la informazione, l’educazione e l’assistenza per i problemi legati alla sessualità) e responsabile
(leggi operanti nella somministrazione dei mezzi necessari al conseguimento delle finalità
liberamente scelte dalla coppia), riconosce il valore sociale della maternità (in perfetta sintonia con
l’art. 25 della Dichiarazione Universale dei diritti umani, con l’art. 31 della Costituzione che
fornisce adeguata protezione alla madre ed al bimbo, in caso di donna lavoratrice, consentendole
l’adempimento della sua funzione familiare, nonché con l’art. 1 della legge 405/1975 che contempla
la tutela della salute della donna e del prodotto del concepimento), assicurando e tutelando la vita
umana dal suo concepimento (trova il suo fondamento Costituzionale sia nel riconoscimento da
parte dell’art. 2 della Costituzione dei diritti inviolabili dell’uomo, sia da parte dell’art. 32 nella
tutela della salute come fondamentale diritto dell’individuo). L'interruzione volontaria della
gravidanza non è mezzo per il controllo delle nascite (per fronteggiare in modo efficace la piaga
dell’aborto clandestino). Lo Stato, le regioni e gli enti locali promuovono e sviluppano i servizi
socio-sanitari, nonché altre iniziative necessarie per evitare che l’aborto sia usato ai fini della
limitazione delle nascite.
Articolo 2 I consultori familiari istituiti dalla L. 405/1975, assistono la donna in stato di gravidanza:
a) informandola sui diritti a lei spettanti in base alla legislazione statale e regionale, e sui servizi
sociali, sanitari e assistenziali concretamente offerti dalle strutture operanti nel territorio; b)
informandola sulle modalità idonee a ottenere il rispetto delle norme della legislazione sul lavoro a
tutela della gestante; c) attuando direttamente o proponendo alle strutture sociali speciali interventi,
quando la gravidanza o la maternità creino problemi per risolvere i quali risultino inadeguati i
normali interventi da parte dei servizi assistenziali; d) contribuendo a far superare le cause che
potrebbero indurre la donna all'interruzione della gravidanza. I consultori sulla base di appositi
convenzioni possono avvalersi della collaborazione volontaria di idonee di associazioni di
volontariato, che possono anche aiutare la maternità difficile dopo la nascita. La somministrazione
su prescrizione medica dei mezzi necessari per conseguire le finalità liberamente scelte in ordine
alla procreazione responsabile è consentita anche ai minori.
Articolo 4 Per l'interruzione volontaria della gravidanza entro i primi 90 giorni, la donna che accusi
circostanze per le quali la prosecuzione della gravidanza, il parto o la maternità comporterebbero un
serio pericolo per la sua salute fisica o psichica, in relazione o al suo stato di salute, o alle sue
condizioni socio-economico-familiari, o alle circostanze in cui è avvenuto il concepimento, o a
previsioni di malformazioni del concepito, si rivolge ad un consultorio pubblico istituito ai sensi
della L. 405/1975, o a una struttura socio-sanitaria abilitata dalla regione, o a un medico di fiducia.
Articolo 5 Il consultorio o il medico di fiducia, oltre a dover garantire i necessari accertamenti
medici, hanno il compito in ogni caso, e specialmente quando la richiesta di interruzione della
gravidanza sia motivata dall'incidenza delle condizioni socio-economiche, o familiari sulla salute
della gestante, di esaminare con la donna e con il padre del concepito, ove la donna lo consenta, le
possibili soluzioni dei problemi proposti, di aiutarla a rimuovere le cause che la porterebbero alla
interruzione della gravidanza, di metterla in grado di far valere i suoi diritti di lavoratrice e di
madre, offrendole tutti gli aiuti necessari sia durante la gravidanza sia dopo il parto. Quando viene
riscontrata l'esistenza di condizioni tali da rendere urgente l'intervento, il medico rilascia subito alla
donna un certificato attestante l'urgenza. Con tale certificato la donna può presentarsi ad una delle
sedi autorizzate a praticare l’aborto. Se non c’è urgenza, c’è tempo 7 giorni per l’applicazione
dell’aborto. Trascorsi i sette giorni, la donna può presentarsi presso una delle sedi autorizzate per
ottenere la interruzione della gravidanza, col documento rilasciatole.
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Articolo 6 L