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La violenza è nel linguaggio, nell'uso del termine "suicidio".

21/04/2023La situazione di fine di vita non deve essere affrontata in termini di giusto o sbagliato. È impossibile dire che cos'è il giusto, cos'è il bene. Il diritto di morire deve essere la nuova costruzione filosofico-giuridica che ci permette di affrontare concretamente e casisticamente le situazioni con le quali siamo confrontati. Se si osserva la situazione italiana le giurisdizioni hanno saputo creare queste nove situazioni giuridiche a partire dalle quali si possono trarre delle conseguenze altamente specifiche. La legislazione stratta e generale può partorire molti problemi secondari. Una casistica stretta non basta mai. Parlare di "suicidio" significa prendere già posizione nell'offesa a queste situazioni di sopravvivenza di un vivente (ciò che è tra il naturale e l'artificio costruito dalla medicina sperimentale).

Nella costruzione del GUP ciò che può essere contestato è l'uso del termine "suicidio". Suicidio vuol dire follia, nel senso di irragionevolezza ed è irragionevole perché nel suicidio si ignora la condizione di verità e di razionalità di ogni pensiero qualificato come razionale perché il suicidio nega ciò che è intrinseco alla razionalità, cioè la previsione. Jean Jacque dice che l'animale non conosce la morte. Dice ciò per costruire le cause della trasformazione radicale di una comunità religiosa e una comunità profana. L'animale non sa prevedere e chi non sa prevedere agisce sotto l'istinto, è un'intelligenza di un'istantaneità di un pensiero che non sa proiettarsi verso qualcosa che attiene alla verità del tempo. Quando Jean Jacque parla dell'animale, egli respira la cultura settecentesca e dice che chi non si.proietta in chiave di previsione ha qualcosa che manca alla sua condizione umana (la ragione). L'istinto è un'intelligenza che non si proietta temporalmente, al contrario l'umano ha qualcosa che è in grado di riappropriarsi di una verità che attiene alla temporalità (la ragione). Quando si definisce il suicidio in questo modo, si qualifica così una situazione che però non ha luogo di essere qualificata così. Quando si definisce la ragione, si definisce nello stesso tempo tutte le situazioni che non attengono a questa ragione. Tutto ciò che non attiene a una previsione è follia. Man mano che si elabora il concetto di ragione, si definiscono le situazioni che non sono ragionevoli, ossia situazioni in cui si ha assenza di ragione (il suicidio è assenza di ragione). L'idea di prevedibilità attiene al suicidio e dunque siamo già nella qualifica di ragionevolezza perché la ragione.

è ciò che attiene all’umano, ossia la capacità di riappropriarsi di qualcosa che attiene al27tempo. L’irragionevolezza è la follia. Culturalmente sono stati elaborati una serie di concetti che ruotano intorno a ciò che implica una verità del tempo. Tutti i casi di suicidio mancati vengono riportati immediatamente alla follia e ciò è altamente discutibile. Qualificare queste situazioni di fine di vita a partire dal concetto di suicidio non ha alcun senso. È una sorta di non-cultura che fa sì che una persona sia messa al di fuori della specificità umana, ossia si guarda alla sua capacità di agire fuori dalla previsione.

I medici dell’ospedale della Georgetown non pensano nemmeno a ciò che dicono perché per loro è ovvio che ci si trovi nel caso del suicidio. Bisogna salvare le persone dalla morte secondo questi medici. La medicina è la contestazione in chiave

profanadella determinazione del tempo: il tempo dice che siamo mortali e questa è una sfida alla scienza. La morte è una patologia (come dice Claude Bernard). Se la medicina deve lottare contro la morte, non può accettare le rivolte profane e si parla quindi di suicidio. La qualifica di suicidio in chiave profana, però, è inappropriata: se si dice questo si tratta di condannare moralmente una persona a uno status di uomo inferiore. L'imprevedibilità vuol dire suicidio, cioè uscire da ciò che implica la razionalità profana. Sul suicidio non si sente nessuno nella filosofia attaccarsi al significato di suicidio in quanto tale. Tutto ciò che si pensa quotidianamente implica una temporalità ma non era così prima del Settecento. Il principio di verità in chiave religiosa esclude la temporalità. Nessuno interroga la questione del tempo. Non si può ragionare su qualcosa che escluda la temporalità.

temporalità anche se è possibile definire ciò che la temporalità non è. La logica deontica non suscita ragionamenti che usano una temporalità perché sono concetti vuoti, sono dei puri formalismi. La logica deontica funziona con 4 forme astratte con le quali possono essere fatte delle linee logiche e proprio in queste linee logiche la temporalità non c'è mai. L'uso del termine "suicidio" è improprio perché nelle situazioni di diritto di morire non c'è nessuna imprevedibilità. Tutte queste situazioni di fine di vita non hanno niente a che fare con imprevedibilità costitutiva della nozione di suicidio, non c'è nulla di improvviso. È impossibile evocare un atto di irragionevolezza ed è dunque filosoficamente impossibile gettare l'"obbrobrio", ossia il discredito morale, su queste persone sofferenti. L'assimilazione tra un

diritto di morire con un decadimento intellettuale, cioè una debolezza colpevole alla quale gli altri dovrebbero supplire è un'assurdità assoluta. Raramente la negazione della libertà di immanenza profana è stata così fortemente disprezzata. La medicina è sperimentale precisamente nella ricerca permanente di ciò che un vivente potrebbe essere e dunque questa medicina sperimentale sa sempre di più integrare e combattere i processi che provocano la morte. È con questo che si ha a che fare. Si tratta di una conoscenza pragmatica che sperimenta per costruire ciò che permette di contestare la morte. Non si deve contestare in toto la medicina sperimentale ma bisogna sapere costruire le zone dove la meditazione insieme (tra pazienti e medicina sperimentale) è necessaria. Le situazioni di fine di vita saranno sempre più numerose e con definizioni altamente variabili. Il conflitto potenziale tra ricerca di

Una fine e un diritto di morire è anche la conseguenza di una questione di metodo troppo incompreesa, difficile da esprimere semplicemente. Si ha un impossibile trascrizione temporale di ciò che tuttavia implica una temporalità poiché si sta parlando di morire: dopo, sappiamo pensare il cioè il finito, cioè il morto ma non sappiamo trascrivere passando questo di cui la morte è il fenomeno. Il morendo del morire non ce l'abbiamo. Se noi avessimo questo concetto non ci sarebbero più problemi come quelli analizzati sino a questo momento (ci sarebbe qualcosa che ci porterebbe alla comprensione di una soluzione nel caso specifico). Il tempo però è un'illusione e se il tempo non c'è per il nascendo del nascere o per il morendo del morire allora cos'è questo tempo? Per il morendo del morire si pensa alla morte e per il nascendo del nascere si pensa al nato, quindi la temporalità qui non c'è.

In questo caso il dramma è che la temporalità, ossia la chiave della verità dell'esistenza dell'umano profano, manca. La temporalità qui non c'è. L'unica cosa a cui sappiamo pensare è un dopo, ma dopo cos'è? È un arrivato, è un finito, è un morto. Ciò che ci interessa però è se siamo o no sul morendo del morire, ma questo noi non lo sappiamo. La temporalità consacrata dai lumi sparisce quando se ne ha veramente bisogno. Il finendo del finito nessuno lo potrà mai qualificare temporalmente. Filosoficamente ci dobbiamo aprire a un altro modo di ragionare per costruire le situazioni con le quali siamo confrontati. Ci rappresentiamo sempre una temporalità limite, cioè il dopo (ciò che chiamiamo un passato). Il passato in questo caso è la morte e oltre alla morte non sappiamo pensare, cioè non sappiamo dire cos'è.

Il morendo. È proprio quest’ultimo, però, che dobbiamosaper dire. La zona grigia è la forma linguistica di un problema che non sappiamopensare. Bisogna riconoscere filosoficamente che tutto ciò che traduce unametodologia della determinazione temporale deve essere messa da parte. Quando ilpensiero religioso evoca un indicibile come condizione di verità dell’umano (questo sichiama Dio) tutti i non credenti ridono ma quando si dice che c’è un indicibile che siinabissa in un finito che non finisce mai allora si dovrebbe dire qualcosa che non si puòdire (cioè il morendo). Se si sa dire qualcosa al passato ciò implica essere in grado didire un avvenire. Il passato è il fenomeno di un arrivato, di un finito e qui è faciledimenticare la concezione di temporale. 27/04/2023

Questione 1 Pensare il tempo implica pensare al prima e al dopo. Se il prima è un passato, che cos’è il dopo?

Il dopo potrebbe essere un presente o un futuro. Il tempo è una fenomenologica che non può distinguere tra presente e futuro. Quando si fa storia allora, la storia è il presente o il futuro? Questione 2 il passato viene al presente/futuro o il passato viene dal presente/futuro? Il passato viene dal presente/futuro perché è dal presente che noi raccontiamo quello che è successo nel passato. E allora che cos'è la storia? Tutto ciò che viene evocato in quanto passato è un'evocazione che proviene da noi, dal presente/futuro. Quando si fa storia si dice qualcosa che necessariamente attiene al vero. "Il prima è sempre il prima del dopo" è un aforisma. Ciò significa che ogni volta che ci riferiamo al passato, alla memoria, a un'origine, facciamo qualcosa che non attiene al prima ma che attiene al dopo. Il problema di metodo non è ragionare sul prima ma chiedersi cheè un problema di metodo. Il dopo, inteso come il momento successivo alla morte, è un argomento che esula dalla sfera della filosofia e si inserisce nel campo delle credenze religiose o delle teorie scientifiche sulla vita dopo la morte. Tuttavia, la filosofia può affrontare il tema del "morendo del morire" in termini di riflessione sulla mortalità umana e sulla condizione finita dell'esistenza. Questo può portare a interrogarsi sul senso della vita, sul significato della morte e sulle implicazioni etiche e morali che ne derivano. In conclusione, il dopo come momento successivo alla morte non è un problema di metodo filosofico, ma la filosofia può contribuire a una riflessione più ampia sulla mortalità umana e sul significato della vita.
Dettagli
Publisher
A.A. 2022-2023
32 pagine
SSD Scienze giuridiche IUS/20 Filosofia del diritto

I contenuti di questa pagina costituiscono rielaborazioni personali del Publisher saracondo di informazioni apprese con la frequenza delle lezioni di Bioetica e studio autonomo di eventuali libri di riferimento in preparazione dell'esame finale o della tesi. Non devono intendersi come materiale ufficiale dell'università Università degli studi di Torino o del prof Nerhot Patrick.