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Grave patologia dell'agire amministrativo.
Gli strumenti di tutela sono molteplici. Ci sono strumenti innanzitutto di creazione giurisprudenziale e solo
successivamente normativi. I luoghi dove è disciplinato il silenzio inadempimento sono molteplici, non c'è
una sola legge ma c'è ne sono tante sia sostanziali che processuali, il ché crea confusione nella ricostruzione
della disciplina. La sedes materiae è la legge 241/1990 e il codice del processo amministrativo e non sempre
i due testi sono armonici tra di loro. Sia la legge che il codice hanno subìto più riscritture non all'insegna
dell'armonizzazione. Si comprendono però alcune linee di tendenza: in un primo momento la tutela verso il
silenzio era di tipo processuale, quindi un ricorso giurisdizionale; solo più di recente si configurano anche
altri strumenti di tutela e in particola modo la legge anti corruzione (190/2012) all'art. 2 che ha una tutela ex
ante. Accanto a questo abbiamo il c.p.a. all'art 31 e 117 che precisa quale sia il tipo di tutela giurisdizionale.
Art 2 l 241/1990: composto di ben 9 commi.
Il silenzio si forma sia se il procedimento inizia ad istanza di parte sia di ufficio. La PA è sempre obbligata a
terminare il procedimento con un provvedimento, un atto esplicito e ciò è fondamentale. Prima era
controverso se l'amministrazione avesse un obbligo di rispondere quindi oggi abbiamo una norma
rivoluzionaria perché l'art. 2 ci dice che oltre l'obbligo di provvedere si deve farlo anche entro un certo
termine.
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Il comma due dice che i termini possono variare. Il legislatore demanda alle amministrazioni o al futuro
legislatore il compito di dettare regolamenti o leggi che disciplinano i singoli procedimenti.
Se manca una norma specifica si applica il termine generale di 30 giorni entro il quale va emesso un
procedimento espresso.
Le legge è generale e i casi della vita particolari quindi c'è l'esigenza di ben delimitare il campo di azione
della legge ed interviene la giurisprudenza:
Campo di applicazione dell'art 2: TAR Lecce seziona seconda 14 novembre 2013 n 2293: c'è un privato e
l'amministrazione comunale. Il privato chiede alla PA di provvedere alla costruzioni di dissuasori di sosta
nella zona antistanti la sua abitazione vicino a un passo carraio. Questa richiesta non è una concessione ma
un'attività materiale: si chiede l'esercizio di un attività materiale e non provvedimentale, non l'emanazione di
un atto. La tutela quindi non è esperibile contro qualsivoglia omissione amministrativa.
Non ogni fattispecie di silenzio non significativo è una violazione dell'obbligo di provvedere ex art 2. Non è
esperibile la tutela quando si richiede un'attività materiale e non provvedimentale, non c'è un obbligo di
provvedere. Tuttavia vi è un altro obbligo in capo alla PA ossia quello di provvedere sulla richiesta del
privato di essere autorizzato ad apporre lui stesso, a propria cura e a proprie spese, i dissuasori e questo
perché non si chiede un attività materiale ma un provvedimento amministrativo, un’autorizzazione.
Il primo elemento di cui si deve tener conto è l'esclusione dell'attività materiale perché si applica solo
all'attività provvedimentale.
Affinché un privato che fa domanda obblighi l'amministrazione a rispondere è necessario un quid pluris. La
prima sezione del TAR Trieste, 15 novembre 2013 n 594: il ministero deve rispondere? Per il Tar no perché
il ricorrente non è titolare di un interesse in grado di radicare il dovere di provvedere in capo alla PA perché
è un provvedimento altamente discrezionale in relazione all'an. La discrezionalità dell'an impedisce l'art. 2 e
l'obbligo di provvedere. Il privato qui ha un attività di sola mera sollecitazione. Colui che vuole la
concessione di un immobile è titolare di un interesse di fatto.
C'è un elemento di complicazione ossia: l'art 2 della l. 241/1990 ha subito numerose riscritture e al primo
comma è stata inserita una seconda frase, una novità normativa, "se l'amministrazione ravvisa la manifesta
irricevibilità, inammissibilità, improcedibilità, infondatezza della domanda, la PA conclude il procedimento
con un provvedimento espresso redatto in forma sintetica o semplificata, caratterizzata da una particolare
motivazione che è semplificata. Vi è un obbligo di trasparenza in capo alla PA.
Come si concilia questo più stringente obbligo della legge? Quella del Tar Trieste è la prima e unica
applicazione della normativa. " a nulla rileva la nuova formulazione dell'art 2 che non introduce un nuovo
obbligo ... [pag 7 di 9]". Non c'è un obbligo se il privato non ha una posizione differenziata. La novità è il
fatto che si rafforza solo il precedente obbligo ossia la disposizione e il conseguente obbligo di pronuncia in
forma semplificata è coerente col contratto alla illegalità e va letta nel senso che dove esiste un obbligo di
provvedere per l'amministrazione che è a tenuta a provvedere... quindi deve sussistere un obbligo di
provvedere e questo perché si vuole evitare di bloccare la PA su adempimenti intuitili. È quindi un
interpretazione molto restrittiva.
La materia è problematica nei procedimenti d'ufficio.
Procedimento per la repressione di abusi edilizi che si aprono d'ufficio. CdS, sentenza oltre modo
equilibrata. art 2. 4° sezione consiglio di stato 4 maggio 2012 n 2592.
I procedimenti di ufficio sono i più problematici perché è difficile individuare un privato che interessato ma
spesso questi procedimenti si aprono perché c'è un privato che fa una segnalazione alla PA e che ruolo
riveste?
Il Tar Calabria parla di tutela dell'affidamento perché sono passati 40 anni. Non vi è un obbligo assoluto di
repressione dell'abuso edilizio ma l'amministrazione deve sempre valutare se sussiste anche un interesse
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pubblico che gestisce l'evento. Il CdS però dice che non c'è tutela dell'affidamento in capo a chi ha
commesso un abuso quindi non c'è un affidamento meritevole di tutela in capo al provato che ha violato la
legge. Il fattore tempo qui non rileva, il fattore tempo non rileva nel caso di attività amministrativa
sanzionatoria. Il CdS dice che in materia sanzionatoria vige il principio di inesauribilità del potere
amministrativo. Il potere è per sempre a prescindere da quale sia l'entità dell'infrazione e anche
indipendentemente dal lasso di tempo intercorso. Il tempo non sana l'illiceità della condotta.
Il principio di diritto che si ricava da questa pronuncia è che l'amministrazione nel caso di segnalazioni,
denunce, sollecitazioni sottoscritte, circostanziate e documentate ha l'obbligo di attivare un procedimento di
controllo, l'obbligo di verifica dell'abuso della cui conclusione deve rimanere traccia. Obbligo di concludere
che dev'essere sia in un senso che nell'altro, sia archiviando la pratica o perseguendo l'illecito commesso, ma
una risposta espressa ci deve essere.
Se vi è un interesse alla rimozione dell'abuso vi è un obbligo di provvedere, in un senso o nell'altro ma pur
sempre con una risposta espressa.
Quando l'obbligo di provvedere è soddisfatto? Anche qui l'art 2 è generale e non risolve tutti i casi di specie.
In particolare è frequente l'ipotesi in cui l'amministrazione non chiude il procedimento di fronte una
domanda del privato ma si limiti ad emanare un preavviso di rigetto che è un istituto anch'esso disciplinato
dalla 241/1990 all'art 10bis. A volte la PA dice che il preavviso di rigetto assolve l'obbligo di risposta. CdS
22 giugno 2011 n 3798, la PA col preavviso di rigetto svolge un attività istruttoria quindi è soddisfatto
l'obbligo di istruttoria ma non di provvedere e quindi abbiamo un atto meramente interlocutorio che non
soddisfa l'obbligo di provvedere. Stimola il contraddittorio col privato.
Non vi è solo il rimedio giurisdizionale, che è la più importante, ma anche rimedi organizzatori:
La tardiva emanazione del provvedimento in primo luogo è fonte di responsabilità disciplinare,
amministrativo contabile. Poi c'è il potere sostitutivo di altro soggetto all'interno della PA. È sempre l'art 2 a
dirlo, comma 9bis.
Non tutte le amministrazioni sono gerarchicamente ordinate ed è comunque difficile che nello stesso tempo
intervenga il superiore in via sostitutiva. Per questo la tutela principe è quella giurisdizionale.
Poi c'è la tematica dell'indennizzo che si collega a quella del risarcimento del danno ed è contenuta all'art
2bis quindi viene dopo.
Come si configura l'azione avverso il silenzio.
Artt. 31 e 117.
Per l'art. 31 il giudice può fare due cose: pronunciarsi sulla fondatezza della pretesa dedotta in giudizio
oppure emettere una pronuncia dichiarativa (pronuncia di accertamento) e l'obbligo dell'amministrazione di
provvedere (pronuncia di adempimento o condanna all'emanazione di un determinato provvedimento),
primo e terzo comma art. 31. Questi sono i due possibili esiti avverso il silenzio della PA.
L'art. 31 chiarisce quando l'uno e quando l'altra. Il privato ha interesse a ottenere il provvedimento di cui fa
richiesta ma non sempre si può avere una sentenza di condanna. Il terzo comma chiarisce i presupposti di
condanna atipica. Il giudice si pronuncia sulla fondatezza della pretesa o quando si tratta di attività vincolata
oppure quando non residuano ulteriori margini di discrezionalità e non sono necessari ulteriori adempimenti
istruttori. La dottrina dice che o vi è attività vincolata in astratto, in cui il legislatore ha già determinato la
fattispecie e vi è sicuramente un diritto soggettivo, oppure vi è un attività vincolata in concreto e la pratica è
stata pressoché istruita integralmente. Solo in queste ipotesi il giudice si può pronunciare sulla fondatezza
della pretesa. Vi è una sentenza di mero accertamento, dichiarativa della pretesa. Art 117 e non più 31, il
giudice può nominare un commissario ad acta il quale provvederà in luogo dell'amministrazione emanando
il provvedimento richiesto all'amministrazione.
Due possibili sbocchi.
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Tar Roma 10462/2013.
Abbiamo anche una tutela di tipo risarcitorio. Il giudice può anche condannare al risarcimento dei danni per
la mancata o tardiva emanazione del provvedimento. Art 2bis l. 241/1990, è una tutela