Diritto amministrativo - Risposte alle domande più frequenti
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enti pubblici territoriali, per i quali il territorio è un elemento essenziale affinché l'ente esista come tale
• (esempi sono lo Stato (del quale si discute come "ente pubblico territoriale a fini generali"), le Regioni, le
Province, i Comuni, le Camere di Commercio);
enti pubblici non territoriali, per i quali l'elemento territoriale non è discriminante; questi operano solo
• limitatamente a determinati aspetti (come l'INPS, che opera per tutta l'Italia, ma ha competenza per la
previdenza sociale o l'Agenzia delle Entrate che ha competenza per l'imposizione fiscale).
Possono anche distinguersi in:
enti pubblici nazionali;
• enti pubblici locali;
•
in dipendenza del territorio rispetto al quale svolgono le loro attività.
Infine possono distinguersi anche in:
enti pubblici economici;
• enti pubblici non economici;
•
a seconda che l'oggetto principale della loro attività sia o no la produzione di beni e servizi attraverso il metodo
economico (costi e ricavi).
Fini e attribuzioni
Gli enti pubblici, in quanto persone giuridiche, perseguono i fini stabiliti dal proprio statuto e tale discorso vale anche
per l'ente pubblico principale, lo Stato, in quanto anche lo Stato persegue i fini degli associati che ne fanno parte. I fini
sono previsti dai poteri dello stato in rappresentanza all'intera comunità.
Per perseguire i determinati fini, gli enti pubblici sono soggetti ad attribuzioni, fasci di poteri amministrativi che non
esauriscono ciò che l'ente possa fare, ma ne delimita solo i poteri amministrativi. Le attribuzioni vengono poi distribuite
all'interno dell'ente fra i suoi vari organi secondo varie competenze. L'ente pubblico, inoltre, ha i poteri che scaturiscono
dal diritto privato per il semplice fatto che è comunque una persona giuridica.
Competenze e attribuzioni possono essere divise secondo quattro criteri: materia, destinatari, territorio e dimensioni.
Il cittadino è il principale portatore di interessi legittimi rispetto le finalità perseguite dagli enti pubblici (come del resto
per quelle perseguite dalla pubblica amministrazione). In base a questa considerazione gli organi direttivi dell'ente
pubblico dovrebbero privilegiare i processi che creano valore per l'utente finale-cittadino (i processi primari), rispetto a
quelli di supporto e a quelli burocratici.
Tuttavia, non sono oggetto di reato azioni come la stipula di mutui, garantiti col patrimonio dell'ente, per pagare spese
di rappresentanza, spese di trasferta e collaborazioni.
Nel caso in cui l'ente pubblico goda di autonomia economica, questo non è soggetto a vincoli di bilancio per
l'incremento delle voci di costo e delle passività, o a provvedimenti che vietano l'indebitamento, garantito con il
patrimonio dell'ente; fra i contratti introdotti nella riforma Biagi, quelli che non prevedono un monte-ore (come le
collaborazioni a progetto) consentono ai dirigenti che gestiscono i fondi di assegnare lavori (e relativi aumenti
concorso pubblico.
retributivi) senza
Il controllo sull'attività degli enti pubblici si avvale principalmente della possibilità di tagliare i finanziamenti e di
rimuovere i vertici dall'incarico, piuttosto che di sanzioni penali per una gestione non rispettosa dei compiti assegnati
agli organismi dirigenti.
25-PA COME POTERE E FUNZIONE
Amministrazione pubblica
In diritto il termine (o ha un duplice
amministrazione pubblica pubblica amministrazione)
significato:
in senso oggettivo è una funzione pubblica (funzione consistente nell'attività volta
amministrativa),
• alla cura degli interessi della collettività (interessi predeterminati in sede di indirizzo
pubblici),
politico;
in senso soggettivo è l'insieme dei soggetti che esercitano tale funzione.
•
L'aggettivo "pubblica" che qualifica il termine fa capire che quest'ultimo ha di per
amministrazione
sé un significato più ampio: in effetti qualsiasi persona o ente svolge attività volta alla cura dei
propri interessi privati o di quelli della collettività di riferimento.
Amministrazione pubblica in senso oggettivo
La pubblica amministrazione svolge tanto che si manifestano in atti giuridici, quanto attività
attività giuridiche,
meramente materiali. L'attività giuridica può estrinsecarsi in provvedimenti, attraverso i quali vengono esercitati poteri
autoritativi, ossia pubbliche potestà (attività oppure in atti di diritto privato (atti tra cui i
iure imperii), di gestione),
contratti, adottati in virtù dell'autonomia privata di cui i soggetti della pubblica amministrazione dispongono come tutti i
soggetti giuridici (attività L'ordinamento può anche consentire all'organo amministrativo di utilizzare
iure gestionis).
atti consensuali e non autoritativi, quali le convenzioni, in luogo del provvedimento o, quantomeno, ad integrazione del
medesimo; si parla, in questi casi, di dell'esercizio della funzione amministrativa: nell'ordinamento
modulo consensuale
italiano un esempio è offerto dagli accordi previsti dall'art. 11 della legge n. 241/1990. In questi casi, così come quando
agisce la pubblica amministrazione si spoglia della posizione di supremazia nei confronti dei destinatari
iure gestionis,
dei suoi atti, che invece connota l'attività ponendosi in una posizione tendenzialmente paritaria nei loro
iure imperii,
confronti, ragione per cui si parla di attività paritetica.
Nell'ambito della funzione amministrativa si suole distinguere la in senso stretto, comprendente le
funzione pubblica
attività amministrative connotate dall'esercizio di poteri autoritativi, dai ossia quelle attività, non
servizi pubblici,
connotate dall'esercizio di pubbliche potestà, volte all'erogazione di prestazioni d'interesse pubblico. Nella pratica la
distinzione non sempre è netta: spesso, infatti, si nota una commistione tra i due tipi di attività, sicché la classificazione
[1]
nell'una piuttosto che nell'altra categoria può essere fatta solo in base ad un criterio di prevalenza .
Relazioni con le altre funzioni pubbliche
La funzione amministrativa si distingue da quella legislativa (o, più in generale, normativa) perché quest'ultima si
traduce nella creazione di norme (tendenzialmente) generali ed astratte, con efficacia laddove
erga omnes,
l'amministrazione provvede tendenzialmente per il caso singolo, mediante norme speciali e concrete, aventi efficacia
Peraltro, vi sono anche atti della pubblica amministrazione che hanno come destinatari una pluralità
inter partes.
indeterminata di soggetti (atti alcuni di questi contengono norme non solo generali ma anche astratte, perché
generali); atti normativi (regolamenti) e
applicabili ad una pluralità indeterminata di casi, nel qual caso si tratta di veri e propri
siamo di fronte all'esercizio di funzioni materialmente normative da parte di organi amministrativi, in deroga al
separazione dei poteri. La funzione amministrativa si differenzia, invece, dalla funzione giurisdizionale per
principio di
la particolare posizione di terzietà del giudice che caratterizza quest'ultima.
In virtù del proprio dello stato di diritto, gli organi della pubblica amministrazione possono
principio di legalità,
esercitare le sole potestà loro conferite dalle norme, tendenzialmente generali e astratte, poste dal potere legislativo e le
devono esercitare in conformità a tali norme. Il principio vale anche per gli atti formalmente amministrativi con i quali
viene esercitata una funzione materialmente normativa, ossia per i regolamenti, i quali, pertanto, non potranno che
essere subordinati alla legge nella gerarchia delle fonti del diritto.
Funzione amministrativa e discrezionalità
In quanto diretta alla cura di interessi pubblici predeterminati in sede politica, la funzione amministrativa è attività non
libera nel fine a differenza dell'attività svolta dai soggetti di diritto nell'ambito della loro autonomia privata. Di solito il
legislatore stabilisce l'interesse pubblico da perseguire, lasciando all'organo amministrativo un margine più o meno
ampio di scelta sul modo per farlo; in ordine a tale scelta l'organo deve ponderare l'interesse pubblico affidato alle sue
cure (interesse con gli altri interessi, pubblici o privati, con esso confliggenti (interessi per
primario) secondari),
stabilire se questi ultimi devono recedere di fronte al primo. Si parla in questi casi di Se
discrezionalità amministrativa.
l'attività amministrativa è tipicamente discrezionale, non mancano tuttavia casi di attività amministrativa vincolata,
laddove il legislatore ha ritenuto di dover effettuare una volta per tutte la ponderazione degli interessi in gioco,
stabilendo in modo puntuale ed esaustivo i contenuti dell'attività che deve essere posta in essere dall'organo
amministrativo.
Amministrazione pubblica in senso soggettivo [2]
In senso soggettivo l'amministrazione pubblica è costituita, in primo luogo, dagli organi e uffici dello stato che
dipendono dal governo. Questi sono ordinati in dicasteri, ai quali sono preposti membri del governo che assicurano la
traduzione dell'indirizzo politico governativo nell'attività amministrativa degli uffici del dicastero.
Nella generalità degli ordinamenti le funzioni amministrative, oltre ai dicasteri, possono essere affidate ad
organizzazioni dotate di una certa autonomia, che possono anche avere personalità giuridica di diritto pubblico, nel qual
caso sono o di diritto privato (società di capitali, fondazioni ecc.). Ciascuno di tali soggetti - dicastero,
enti pubblici,
organizzazione autonoma dotata o meno di personalità giuridica, sia essa di diritto pubblico o privato - in quanto gli
sono affidate funzioni amministrative, può essere considerato un'amministrazione pubblica.
Taluni enti pubblici sono dotati di una più o meno ampia autonomia dal governo (o da altri enti pubblici) nel
determinare il loro indirizzo politico: sono questi gli tra i quali rientrano, in particolare, gli enti
enti autonomi,
territoriali locali. Ad essi si contrappongono gli che, invece, perseguono fini propri di un altro ente, al
enti strumentali
quale sono perciò legati da vincoli di soggezione; tra gli enti strumentali rientrano le agenzie, se dotate di personalità
giuridica, mentre, quando ne sono prive, vanno considerate organi dello stato o di altri enti pubblici, seppur complessi e
dotati di una certa autonomia.
Negli ordinamenti di common law gli enti territoriali locali (contee ecc.) sono considerati organi dello stato dotati di
personalità giuridica, mentre gli altri enti - variamente denominati: administration, agency, authority, board,
ecc. - che compongono la pubblica amministrazione sono persone giuridiche disciplinate dal diritto privato.
commission
Quando la pubblica amministrazione vende beni o servizi sul mercato svolge attività d'impresa: si parla, in questi casi,
[3]
di sebbene tali imprese, a differenza di quelle private, non abbiano un fine principale di lucro .
impresa pubblica,
L'impresa pubblica può essere esercitata, oltre che da un'amministrazione pubblica con i propri organi, da
un'organizzazione apposita, dotata di una certa autonomia, all'interno di un'amministrazione pubblica (azienda
o da un apposito ente pubblico (sono quelli che in Italia prendono il nome di o,
autonoma) enti pubblici economici)
ancora, da una società di capitali controllata da una o più amministrazioni pubbliche (società a partecipazione
pubblica).
Oltre alle amministrazioni pubbliche di cui si è finora detto, esistono in molti ordinamenti giuridici anche organi o enti
pubblici che esercitano particolari funzioni amministrative in una posizione di piena e sostanziale indipendenza
dall'indirizzo politico del governo e di altri enti pubblici: sono le autorità amministrative indipendenti.
Negli ordinamenti in cui vige la separazione dei poteri tutte le amministrazioni pubbliche, comprese le autorità
amministrative indipendenti, costituiscono, unitamente al governo, uno dei tre poteri dello stato: il potere esecutivo.
Vi sono, infine, casi in cui l'attività amministrativa è esercitata in proprio da soggetti privati, persone fisiche o
giuridiche, estranee alla pubblica amministrazione; si parla allora di o
esercizio privato di funzioni pubbliche di servizi
pubblici.
Il diritto delle amministrazioni pubbliche
Fino al XIX secolo l'attività amministrativa era disciplinata dalle stesse norme che disciplinavano i rapporti tra privati.
Certo, la pubblica amministrazione, a differenza dei privati, disponeva di potestà pubbliche, tuttavia le norme che le
riguardavano erano considerate norme speciali, sicché, al di fuori di quanto da esse disciplinato, trovava applicazione il
diritto comune.
Nel XIX secolo è andato formandosi, nei sistemi di civil law, un corpo di norme, separato dal diritto privato,
disciplinante l'organizzazione e il funzionamento delle amministrazioni pubbliche, nonché i rapporti tra le stesse e i
[4]
destinatari dei loro provvedimenti (gli o, con una terminologia più diffusa benché meno rigorosa , i
amministrati
il La formazione di tale corpo normativo separato è stata favorita anche dal fatto che in
privati): diritto amministrativo.
molti ordinamenti di civil law i rapporti tra pubblica amministrazione e privati sono devoluti ad un giudice il
ad hoc:
Nella seconda metà del XIX secolo, sulla scia delle concezioni del tempo, secondo cui lo stato
giudice amministrativo.
non poteva che agire in modo autoritativo, il diritto amministrativo è andato espandendosi, inglobando materie prima di
diritto privato, quale il rapporto di lavoro tra l'amministrazione ed i suoi dipendenti (o, almeno, i funzionari); di
conseguenza, i relativi rapporti sono divenuti rapporti di diritto pubblico, con la pubblica amministrazione in posizione
di supremazia. Questa tendenza, peraltro, si era già attenuata all'inizio del XX secolo e, sul finire dello stesso secolo in
molti ordinamenti si manifestava l'opposta tendenza a restringere l'area dell'agire autoritativo della pubblica
amministrazione e, quindi, del diritto amministrativo, a favore dell'agire consensuale e del diritto privato. D'altra parte,
lo stesso diritto amministrativo, tradizionalmente inspirato alla supremazia della pubblica amministrazione nei confronti
dei privati e alla prevalenza dell'interesse pubblico sugli interessi privati, negli ultimi tempi è andato aprendosi ad una
procedimenti
maggiore considerazione di questi ultimi, ad esempio garantendo ai loro portatori la partecipazione ai
amministrativi, sicché si suol dire che il diritto amministrativo attuale è basato sul binomio "autorità-libertà".
L'evoluzione di cui si è detto non è avvenuta negli ordinamenti di common law: qui l'organizzazione e il funzionamento
della pubblica amministrazione, nonché i suoi rapporti con i privati, continuano ad essere disciplinate dal diritto
comune, ossia dallo stesso diritto che disciplina i rapporti tra i privati. Le potestà pubbliche di cui dispongono gli organi
amministrativi sono oggetto di norme speciali, per lo più ricondotte al diritto costituzionale (ad esempio,
l'espropriazione per pubblica utilità è ricondotta alla disciplina costituzionale del diritto di proprietà), e, al di fuori di
quanto in esse previsto, trova applicazione il diritto comune. Inoltre negli ordinamenti di common law le controversie
tra pubblica amministrazione e privati sono in linea di principio devolute agli stessi giudici che conoscono le
[5]
controversie tra privati . Di qui l'affermazione che nei paesi di common law non esiste il diritto amministrativo, anche
se in questi ordinamenti, sulla scia del progressivo ampliamento dell'intervento pubblico che ha caratterizzato il XX
secolo, è andato strutturandosi un corpo di norme (administrative che presenta similitudini con il diritto
law)
amministrativo dei paesi di civil law.
Note ^
1. Dal punto di vista economico, tutte le attività della pubblica amministrazione possono essere
fatte rientrare nella categoria dei servizi. Peraltro, anche dal punto di vista giuridico, la distinzione
ha rilevo solo in quegli ordinamenti, di civil law, che connettono alla stessa una differenza di
disciplina (soprattutto in ambito penalistico)
^
2. Peraltro, in alcuni ordinamenti, come quello britannico, lo stato non è un soggetto giuridico
unitario ma si articola in una pluralità di persone giuridiche
^
3. Per le imprese pubbliche il profitto non costituisce un obiettivo ma, semmai, un vincolo, nel senso
che, nel perseguire i loro obiettivi (sviluppo di aree depresse, lotta ai monopoli, progresso
tecnologico, sicurezza nazionale, creazione di posti di lavoro ecc.) le imprese pubbliche devono
comunque operare in condizioni di economicità
^
4. Infatti, i destinatari dei provvedimenti delle pubbliche amministrazioni non sono esclusivamente
soggetti privati: potrebbero essere anche altri soggetti pubblici
^
5. Anche se non mancano ed, anzi, sono andati aumentando nel tempo gli organi (variamente
denominati: ecc.) competenti a decidere i ricorsi riguardanti specifiche materie; tali
board, tribunal
organi, tuttavia, non sono considerati giurisdizionali ma amministrativi
Pubblica amministrazione (ordinamento italiano)
italiano la Pubblica amministrazione (p.a.) è un insieme di enti e soggetti
.Nell'ordinamento
pubblici (comuni, provincia, regione, stato, ministeri, etc.) e talora privati (organismi di diritto
pubblico, concessionari, amministrazioni aggiudicatrici, s.p.a. miste), e tutte le altre figure che
svolgono in qualche modo la funzione amministrativa nell'interesse della collettività e quindi
nell'interesse pubblico, alla luce del principio di sussidiarietà.
La pubblica amministrazione dipende dal governo, che ne orienta gli indirizzi generali attraverso i
ministeri, ai quali fanno capo branche dell'intero apparato divise per materie.
Si hanno così le amministrazioni che sovrintendono ai servizi che lo Stato (o l'ente locale) hanno
l'obbligo di rendere alla collettività (non solo dei cittadini, ma di tutti gli individui che per qualche
motivo si trovino sul territorio statale). Tale attività di prestazione di servizi si svolge all'insegna dei
criteri di e (derivanti dagli articoli 97 e 98 della Costituzione); può
buon andamento imparzialità
essere un'attività tipicamente autoritativa, unilaterale e burocratica, oppure di matrice consensuale.
L'organizzazione della pubblica amministrazione
L'organizzazione è lo strumento che stabilizza e specifica il vincolo associativo che lega i gruppi sociali (aggregazioni
spontanee o necessarie di individui). Una buona organizzazione predispone in primo luogo le strutture per il
soddisfacimento degli interessi sia individuali che collettivi del gruppo sociale.
Dal punto di vista giuridico, l'organizzazione (o meglio i vari modelli organizzativi che danno luogo al plurimorfismo)
si esprime soprattutto attraverso attività regolate in via tendenziale dal principio di legalità.
La giuridicità dell'organizzazione di una comunità di individui (ad es. lo Stato), solleva il problema della titolarità della
funzione organizzatrice.
All'epoca dello Statuto albertino (promulgato il 4 marzo 1848 da Carlo Alberto), la titolarità della funzione
organizzatrice spettava alla stessa organizzazione che vi provvedeva mediante atti di autonormazione. A parte il caso-
limite dell'organizzazione militare, che dava luogo a rapporti di supremazia speciale, la funzione organizzatrice era di
spettanza del Governo, cioè della stessa organizzazione "amministrata".
Con l'entrata in vigore della Costituzione (1° gennaio 1948), gli articoli 97 e 98 hanno accolto la soluzione opposta,
attribuendo la titolarità della funzione organizzatrice al Parlamento, che la esercita attraverso atti di eteronormazione,
sancendo così l'assoluta preminenza del principio di legalità.
Se la Costituzione attribuisce al Parlamento la funzione organizzatrice, fissa dei precisi principi riguardo all'accesso alla
pubblica amministrazione. La Carta Fondamentale ammette l'assunzione di personale nella pubblica amministrazione,
solamente mediante l'accesso ad un concorso pubblico per titoli ed esami. Questo dovrebbe garantire la meritocrazia e il
passaggio fra le cariche da un rapporto fiduciario ad un rapporto impersonale, caratteristico di uno Stato moderno.
In un concorso pubblico sono oggetto di esame le competenze del candidato, e vengono valutati i titoli, in primis i titoli
di studio, rilasciati da istituzioni dello Stato o parificate, purché trattasi di titoli riconosciuti nell'ordinamento giuridico.
I compiti della pubblica amministrazione
I compiti della Pubblica Amministrazione dipendono dal in atto. In alcuni momenti storici, si è
tasso di privatizzazione
assistito ad un fenomeno di pubblicizzazione di tutti gli interessi collettivi possibili, per cui erano di competenza
governativa anche l'erogazione di energia elettrica (legge 6 dicembre 1962, n. 1643), il servizio telefonico e persino il
settore agroalimentare (statalizzando marchi come Motta, Alemagna, Cirio ed altri).
In altri momenti storici, a causa dei fortissimi costi sociali che la nazionalizzazione comportava, si è invertita la
tendenza, e mentre varie riforme legislative introducono la privatizzazione di tutte quelle attività in fondo
tradizionalmente associate all'imprenditoria privata, alla Pubblica Amministrazione sono stati riservati solo alcuni
settori di importanza strategica (alcuni dei quali in concorrenza con gli operatori privati): la difesa, l'ordine pubblico
interno, la giustizia, la sanità, l'istruzione scolastica, ecc.
Accesso alla pubblica amministrazione
In base alla Costituzione italiana possono accedere alla pubblica amministrazione i cittadini italiani che abbiano la
fedina penale immacolata.
Le pubbliche amministrazioni possono visualizzare il contenuto dell'intera fedina, anche per i reati ammessi dal giudice
al beneficio della non-menzione, che riguarda soggetti privati.
Alla Pubblica Amministrazione si può accedere Con la
esclusivamente per concorso pubblico per meriti ed esami.
valore legale; con la dizione
dizione la Costituzione intende i titoli di studio acquisiti, in base al loro per
per meriti
si riferisce a ulteriori verifiche, orali e scritte, che può prevedere il bando di concorso.
esami
La norma costituzionale è invocata in numerosi casi di impugnazioni per l'assegnazione degli incarichi della P.A. che
non seguono le regolari procedure di un concorso e di una graduatoria pubblica. Una prassi diffusa è l'adozione di forme
di collaborazione. Talora, questi rapporti di lavoro sono stabilizzati in contratti a tempo indeterminato mediante
concorsi interni.
L'accesso tramite concorso pubblico dovrebbe garantire la meritocrazia e uno Stato impersonale.
Secondo Max Weber le principali differenze fra uno Stato moderno e l'amministrazione dei secoli precedenti sono il
superamento del beneficio, del vassallaggio e dell'immunità. Il concorso pubblico dovrebbe ostacolare l'assunzione di
persone di fiducia o favorite dai pubblici ufficiali che lo indicono.
La modalità del bando di concorso è a volte strumentalizzata per favorire alcuni candidati, ritagliando un bando su
misura per il di alcune persone o dandone scarsa pubblicità.
curriculum vitae
Altro modo per eludere l'imparzialità dei concorsi è la costituzione di società miste pubblico-privato, come società per
azioni controllate, o posseduto al 100%, da soggetti pubblici.
Trattandosi di soggetti di diritto privato, pur finanziate da soldi pubblici, non sono soggette né all'obbligo di concorso
pubblico, ai tetti massimi posti per legge agli stipendi dei dirigenti pubblici, limiti che non possono essere fissati per i
settori privati senza ledere la libertà d'impresa, ai vincoli di bilancio.
Formalmente non figurano nel bilancio dello Stato e nel debito pubblico totale, pur essendo a carico dei cittadini.
La costituzione di simili società è spesso un altro modo per potere effettuare assunzioni con chiamata diretta e
nominativa.
Scenario evolutivo della Pubblica Amministrazione dagli anni '90
Gli anni ’90 sono stati caratterizzati da un momento di grande crisi politica e istituzionale che ha finito per coinvolgere
anche la P.A. La grande produzione normativa avvenuta nell’ultimo decennio del secolo appena trascorso è stata
segnata da una grande coerenza che la lega ad un filo comune: quello di avvicinare la P.A. alla società civile con il
Stato agli Enti Locali e riformando tutta la P.A. su criteri di:
decentramento di molte funzioni dallo
efficienza, cioè competenza e prontezza nell’assolvere le proprie mansioni;
• efficacia, cioè la capacità di produrre l’effetto voluto;
• economicità.
•
Le principali leggi di riforma sono state:
legge 8 giugno 1990 n. 142
1. la che ha riformato le autonomie locali;
legge 7 agosto 1990 n. 241
2. la sul procedimento amministrativo;
Decreto legislativo 3 febbraio 1993 n. 29
3. il sulla privatizzazione del pubblico impiego;
1. L'art. sostiene che le amministrazioni pubbliche ispirano la loro organizzazione ai
2 – comma 1
seguenti criteri:
1. funzionalità rispetto si compiti e programmi di attività, nel perseguimento degli obiettivi di
efficienza, efficacia ed economicità.
2. Ampia flessibilità, dove flessibilità significa:
1. collegamento delle attività degli uffici, adeguandosi al dovere di comunicazione
interna ed esterna, ed interconnessione mediante sistemi informatici e statistici
pubblici;
2. garanzia dell’imparzialità e della trasparenza dell’azione amministrativa, anche
attraverso l’istituzione di appositi uffici per l’informazione ai cittadini e
attribuzione ad un unico ufficio, per ciascun procedimento, della responsabilità
complessiva dello stesso;
3. armonizzazione degli orari di servizio e di apertura degli uffici con le esigenze dell’utenza e
con gli orari delle amministrazioni pubbliche dei paesi dell’U.E.
2. L'art. dispone che le amministrazioni pubbliche assumano ogni determinazione
4 – comma 1
organizzativa al fine di assicurare l’attuazione dei principi di cui all’art. e la rispondenza
2 – comma 1
al pubblico interesse dell’azione amministrativa. Il lavoro pubblico è diverso dal mondo del lavoro
privato per motivi di organizzazione e giuridici. L’aspetto giuridico supplisce al modello organizzativo.
legge 15 marzo 1997 n. 59
4. la che pone le basi per una revisione organizzativa dell’amministrazione statale
con un massiccio trasferimento di funzioni e competenze dallo Stato alle Regioni ed agli Enti Locali. L’art. 4
della l. 59/97 dispone che nei confronti delle regioni e degli enti locali lo Stato, come l’Unione Europea, deve
trattenere a sé solo quelle funzioni che, per loro natura non possono essere attribuite agli enti minori, in
quanto incompatibili con la dimensione degli stessi.
legge 15 maggio 1997 n. 127
5. la in tema di semplificazione e snellimento amministrativo. Il cittadino può
ricorrere all’autocertificazione e alle dichiarazioni sostitutive di atto di notorietà ed è dovere d’ufficio di
accettazione della dichiarazione sostitutiva. Ciò valorizza il principio di autoresponsabilità del cittadino.
Consente al capo dell’amministrazione di scegliersi i propri diretti collaboratori (direttori generali, segretario,
dirigenti, collaboratori esterni). Ribadisce in linea di diritto il principio di separazione e distinzione delle
competenze tra apparato politico e dirigenziale;
legge 191/98
6. la (Bassanini Ter);
Decreto legislativo 31 marzo 1998 n. 80
7. il sulla privatizzazione del Pubblico Impiego;
Decreto legislativo 29 ottobre 1998 n. 387
8. il sulla privatizzazione del Pubblico Impiego;
Decreto del Presidente della Repubblica 20 ottobre 1998 n. 403
9. il per l'attuazione della semplificazione delle
certificazioni amministrative;
Decreto legislativo 18 agosto 2000 n. 267,
10. il testo unico delle autonomie locali;
11. Legge costituzionale 18 ottobre 2001 n. 3
la che, tra le varie modifiche operate al Titolo V della Costituzione,
.
novella l'art. 118 in tema di federalismo amministrativo
Le risorse della pubblica amministrazione
Come le aziende private che producono servizi, anche la Pubblica amministrazione dispone di risorse economiche,
patrimoniali e umane. Il principale stakeholder' della pubblica amministrazione è il cittadino.
Responsabilità
Sebbene l'art. 28 della Costituzione instauri un certo parallelismo fra l'agente e la pubblica amministrazione per quel che
riguarda la responsabilità verso terzi dell'illecito, la legislazione ordinaria, apparentemente, in contrasto con lo stesso
articolo, crea invece un dislivello ispirandosi all'art.97 sul buon funzionamento, rendendo l'agente responsabile solo nei
casi in cui ricorra dolo o colpa grave. La pubblica amministrazione è responsabile, invece, in maniera concorrente in
questi due casi e esclusivamente quando ricorre la colpa lieve. L'unico caso in cui l'agente è responsabile esclusivo è
quando il suo agire esuli completamente dai fini perseguiti dalla Pubblica Amministrazione.
Caratteri distintivi di una amministrazione pubblica
In dottrina e in giurisprudenza si discute delle caratteristiche peculiari che contraddistinguono una pubblica
amministrazione da altri organismi privi dell'attributo della pubblicità.
L'amministrazione pubblica si differenzia dall'impresa per l'assenza di scopo di lucro. Dal punto di vista contabile, una
PA non dichiara né un utile né una perdita in bilancio, e non è soggetta all'istituto del fallimento. La pubblica
amministrazione è dotata di personalità giuridica, ma è esclusa dalle forme di questa tipiche delle aziende private,
previste nel diritto societario.
Clausola di esclusività del pubblico impiego
Il personale della pubblica amministrazione è normalmente vincolato da una clausola di esclusività, che vieta rapporti di
lavoro a qualsiasi titolo (collaborazione, lavoro subordinato, etc.) del dipendente pubblico con datori di lavoro di
aziende private. conflitti di interesse fra la funzione pubblica e gli altri rapporti
Il divieto, fra l'altro, ha l'obiettivo di prevenire potenziali
di lavoro.
La clausola di esclusività per i dipendenti del pubblico impiego ammette alcune eccezioni.
Possono esercitare il doppio lavoro:
dirigenti del pubblico impiego;
• gli insegnanti iscritti ad un albo professionale.
•
29-DIRITTO SOGGETTIVO e INTERESSE LEGITTIMO (CARATTERI DISTINTIVI)
Vedi appunti .
Interesse legittimo
L'interesse è una delle situazioni giuridiche soggettive riconosciute dal diritto italiano. Si tratta della
legittimo
situazione giuridica soggettiva della quale è titolare un soggetto privato nei confronti della pubblica amministrazione
che esercita un potere autoritativo attribuitole dalla legge e consiste nella pretesa che tale potere sia esercitato in
conformità alla legge.
L'interesse legittimo ha come oggetto una utilità o un bene della vita che un soggetto privato mira, rispettivamente, a
conservare o a conseguire tramite l'esercizio legittimo del potere amministrativo. Nel primo caso si parla di interesse
che sorge, per esempio, nei casi di espropriazione o di imposizione di un vincolo alla proprietà; nel
legittimo oppositivo,
secondo caso di che sorge per esempio in relazione a un'autorizzazione o a una
interesse legittimo pretensivo,
concessione necessaria per intraprendere un'attività.
Fino a pochi anni fa, la lesione di un interesse legittimo a opera di un provvedimento amministrativo illegittimo trovava
tutela esclusivamente attraverso l'azione di annullamento da proporre innanzi al giudice amministrativo. In seguito a
una storica sentenza della Corte di cassazione (500/1999), è venuto meno il principio tradizionale che limitava l'area
della risarcibilità nei rapporti tra cittadino e pubblica amministrazione alla lesione di diritti soggettivi. L'azione
risarcitoria può essere dunque proposta, come prevede ora espressamente la normativa sulla giustizia amministrativa,
anche in caso di lesione dell'interesse legittimo.
diritto soggettivo inteso, in questo contesto, come situazione soggettiva di
L'interesse legittimo viene contrapposto al
vantaggio riconosciuta automaticamente come degna di tutela nei riguardi sia dei privati sia della pubblica
amministrazione.
L'interesse legittimo
Figura tipica dell'ordinamento italiano, è stata elaborata dalla dottrina e dalla giurisprudenza a partire dal 1889, anno in
cui venne istituita la IV sezione del Consiglio di Stato.
La Costituzione del 1948 ne ha riconosciuto la tutelabilità assieme al diritto soggettivo. La risarcibilità della lesione
all'interesse legittimo è stata ammessa dalla giurisprudenza per la prima volta con la storica sentenza n. 500 del 22
luglio 1999, emessa dalle Sezioni Unite della Corte di Cassazione, risarcibilità confermata ed ampliata dalla
fondamentale Legge 10 agosto 2000, n. 205.
Nell'ordinamento italiano non esistono norme definitorie: l'espressione "interessi legittimi" è comunque presente in tre
articoli della Costituzione: all'art. 24 dove è stabilito il diritto di agire in giudizio per la difesa dei diritti (intesi come
diritti soggettivi) e degli interessi legittimi, all'art. 103, in cui si stabilisce la giurisdizione del Consiglio di Stato e degli
altri organi di giustizia amministrativa per la tutela degli interessi legittimi, e all'art. 113, dove si prevede che avverso
gli atti della pubblica amministrazione è sempre ammessa la possibilità di tutelare questa posizione soggettiva in sede
giurisdizionale.
Peraltro nessuna delle tre norme fornisce una definizione positiva della figura in esame.
Questa situazione giuridica, creazione del diritto italiano, è rinvenibile anche negli ordinamenti stranieri ad alta
presenza di potestà amministrativa, ma solo in Italia è stato scelta come criterio di riparto della giurisdizione; al di fuori
dell'ordinamento italiano, dunque, l'enucleazione della categoria di interessi legittimi e la sua contrapposizione ai
(rimanenti) diritti soggettivi, seppur concettualmente possibile, è priva di qualsiasi utilità pratica.
Quando la pubblica amministrazione esercita un potere pubblico può incidere sulla sfera dei soggetti con cui entra in
relazione, potendo anche incidere sulle loro posizioni giuridiche, indipendentemente o anche contro la volontà di questi.
La pubblica amministrazione, tuttavia incontra dei limiti nelle finalità (ed anche nelle modalità), finalità che dalla legge
sono indicate e che rappresentano la giustificazione del potere attribuitole.
La pretesa del legittimato al rispetto di queste finalità e di questi limiti è l'oggetto dell'interesse legittimo e
l'ordinamento giuridico conferisce al suo titolare gli strumenti giuridici per ottenerlo. Questi strumenti si sostanziano in
una serie di pretese tutelate, alle quali corrispondono puntuali adempimenti dell’amministrazione durante l’esercizio del
potere e nella possibilità di ricorrere alla giurisdizione amministrativa per ottenere l’annullamento dell’atto
amministrativo che abbia violato una qualsiasi delle regole di legalità o il risarcimento del danno che l'atto
amministrativo illegittimo abbia provocato.
In dottrina la figura di questo istituto è molto dibattuta e controverse sono le opinioni al riguardo; di seguito sono
riportate alcune tra le definizioni che ne sono state date, scelte tra le più originali:
Ledda: "è la rifrazione di un fantasma";
• Cordero: "è la personificazione di un'ombra";
• Berti: "grande geniale inganno";
• Nigro: "misteriosa e tormentata figura".
•
Il diritto soggettivo: cenni e rinvio
Per lungo tempo, il diritto soggettivo ha rappresentato l'unica situazione suscettibile di tutela dinanzi al giudice
ordinario. Forme lievi di interesse legittimo venivano vantate subito dopo l'unificazione d'Italia davanti al giudice
amministrativo quando la giustizia amministrativa era organizzata nel c.d. sistema del contenzioso amministrativo.
Nel 1865 fu approvata la legge abolitiva del contenzioso amministrativo che assegnava la tutela dei diritti politici e
civili al giudice ordinario, mentre non individuava un apposito giudice amministrativo per gli interessi, lasciandoli al
beneplacito dell'amministrazione, così come disponeva l'art. 3 della legge abolitiva.
Dopo anni in cui ci si rese conto che la legge abolitiva aveva provocato un vuoto perché non affidava una tutela a quelle
situazioni soggettive che non sono configurate come diritti soggettivi, fu approvata, nel 1889, la legge che istituiva la
quarte sezione del Consiglio di Stato. Tale legge non andava a stravolgere il sistema del post contenzioso
amministrativo, ma andava ad integrarlo. Infatti tutte le cause in cui il cittadino vantava un interesse che non era così
forte da essere un diritto civile o politico, aveva una tutela davanti al giudice amministrativo ergo Consiglio di Stato.
Al Consiglio di Stato, questa volta, venivano assegnati poteri di annullamento dell'atto illegittimo, al contrario del
giudice ordinario nella legge abolitiva, che disponeva solo di una pronuncia di illegittimità con dovere
dell'amministrazione di conformarsi al giudicato.
In questo periodo iniziò ad essere considerato come un interesse ciò che si faceva valere dinanzi al Consiglio di Stato.
Nel linguaggio dell'epoca l'interesse legittimo era il mero interesse ad opporsi all'opportunità e al merito dell'atto.
Con la costituzione l'interesse legittimo fu esaltato attraverso gli articoli 24 e 113 che lo nominano espressamente e
affidano tutela davanti al giudice amministrativo.
L'interesse legittimo oppositivo
La tradizionale figura su cui si basava alle origini il processo amministrativo come giudizio di impugnazione era quella
degli interessi legittimi oppositivi.
L'interesse è quella posizione soggettiva di colui che mira a una utilità già acquisita.
mantenere
oppositivo provvedimenti che incidono negativamente sulla sfera giuridica del privato sono
I poteri pubblici ed i relativi
eterogenei, e possono riguardare:
il diritto di proprietà (espropriazione, requisizione, servitù pubbliche, ecc.);
• il diritto di iniziativa economica (provvedimenti prezzo, divieto di commercio di beni artistici;
• la libertà individuale (ordinanze in materia di igiene e sanità, di circolazione stradale, ecc.)
•
La Costituzione sicuramente riconosce e garantisce tali posizioni di vantaggio, ma poi demanda alla legge ordinaria il
compito di definirle e delimitarle, subordinandole ad altri interessi superindividuali come la funzione sociale della
proprietà, l'utilità sociale dell'iniziativa economica, la tutela dell'incolumità individuale, ecc.
L'ordinamento dunque predispone le norme per dirimere i conflitti che possono nascere, ad esempio, tra il diritto di
proprietà individuale e l'interesse collettivo alla costruzione di un'opera pubblica, ed in particolare conferisce alla
Pubblica Amministrazione il potere di espropriare, individuandone i limiti e le modalità di esercizio, affinché tale potere
non si trasformi in arbitrio e prevaricazione. L'interesse oppositivo, nel caso di esempio, è il potere di pretendere un
corretto esercizio dell'azione amministrativa, quindi di pretendere l'annullamento del decreto di esproprio illegittimo
con conseguente restituzione del bene espropriato e
non iure contra ius.
Altre forme di interesse
Oltre all'interesse legittimo per come sopra definito, in dottrina sono state individuate altre possibili posizioni giuridiche
affini a quella dell'interesse legittimo.
L'interesse semplice
L'interesse è l'interesse dei destinatari di un atto amministrativo affinché la Pubblica amministrazione,
semplice
nell'esercizio dei suoi poteri, si attenga ai criteri di opportunità, stabiliti come criterio generale a cui l'attività
dell'amministrazione si dovrebbe conformare.
L'interesse semplice, nella generalità dei casi, non riceve tutela giurisdizionale. L'interesse semplice trova tutela
unicamente per via amministrativa, attraverso il ricorso amministrativo gerarchico; per questo ci si riferisce ad esso
anche come interesse amministrativamente protetto.
L'interesse di fatto
L'interesse di fatto è quell'interesse che deriva da un obbligo posto dall'ordinamento giuridico sull'attività della Pubblica
Amministrazione, che non è correlato ad una corrispondente posizione giuridica rilevante; si tratta di doveri, come ad
esempio il dovere di manutenere la rete stradale, posti in capo alla Pubblica Amministrazione a vantaggio di tutta la
collettività indifferenziata, e non di un singolo individuo o di una collettività individuabile di soggetti giuridici.
Questi interessi non ricevono alcuna tutela giurisdizionale. Vi sono, però, alcune eccezioni a questo principio, tra cui: -
il processo che riguarda interessi collettivi e diffusi vantati da enti pubblici o associazioni private preposti alla tutela di
detti interessi - il processo promosso contro un terzo dal cittadino in via surrogatoria del Comune inerte - il processo
elettorale, dove il ricorrente può essere semplicemente un elettore e non il candidato
L'interesse collettivo
L'interesse è l'omogenea pretesa di una gruppo organizzato di persone, nell'ambito di una collettività più
collettivo
ampia o della stessa collettività generale, a fronte dell'attività della pubblica amministrazione.
La legge n. 241 del 1990 ha preso in considerazione questi interessi quando all'articolo 9 ha previsto la facoltà dei
portatori di interessi collettivi a costituirsi in associazioni o comitati al fine di intervenire nei procedimenti
amministrativi dai quali possa derivare loro pregiudizio (art. 9).
Negli anni settanta, Giannini operò una distinzione concettuale tra:
interessi collettivi, che fano capo ad un gruppo, cioè un ente esponenziale non occasionale, il quale è
• esclusivo titolare e portatore nel processo amministrativo di tali interessi, alla stregua di un e
attore collettivo
istituzionalizzato, cioè previsto e tutelato dall'ordinamento quanto alla meritevolezza degli interessi di cui è
portatore e quanto alla legittimazione ad agire. Gli interessi diffusi cd. collettivi sono dunque
sufficientemente differenziati e personalizzati in capo al soggetto collettivo, sicché presentano tutti i requisiti
necessari per far configurare un vero e proprio interesse legittimo;
interessi adespoti, cioè privi di un soggetto titolare e portatore, e dunque indifferenziati.
•
L'interesse diffuso
A differenza dall'interesse collettivo, gli interessi diffusi sono comuni a individui di una formazione sociale non
organizzata e non individuabile autonomamente.
L'interesse legittimo pretensivo
Nell'interesse legittimo pretensivo il soggetto mira ad ottenere una posizione di vantaggio grazie ad un'attività della
Pubblica Amministrazione che incida in modo favorevole sulla sua situazione soggettiva. L'interesse legittimo
pretensivo è una posizione giuridica molto affine al diritto soggettivo, con il quale ha diversi punti di contatto. Il confine
ontologico tra le due figure addirittura scompare nell'ambito della giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo.
Sostanzialmente, l'interesse pretensivo consiste nel potere di una utilità derivante dal legittimo esercizio di
pretendere
una pubblica potestà.
L'interesse legittimo oppositivo
Nell'interesse legittimo oppositivo la soddisfazione del soggetto si realizza attraverso il mancato esercizio del potere
della Pubblica Amministrazione che potrebbe cagionargli una vicenda giuridica svantaggiosa (esempio tipico è
l'opposizione all'ordinanza di demolizione).
Risarcibilità
La sentenza della Cassazione SS.UU., 22.7.99 n. 500, definita storica da molti studiosi ed esperti del settore, ha
sovvertito la regola della irrisarcibilità dell'interesse legittimo. La tesi dell'irrisarcibilità si fondava sull'assunto
dell'inapplicabilità della normativa contenuta nell'art. 2043 del codice civile rispetto ai casi di lesione di interessi
legittimi.
I motivi dell'inapplicabilità sono giustificati dal punto di vista del diritto processuale nel senso che unico giudice
competente a dichiarare il risarcimento è il G.O. che però è competente per i diritti soggettivi e non per gli interessi
legittimi, e ciò perché, dal punto di vista del diritto sostanziale, l'interpretazione - classica - data dell'art.2043 del c.c. è
stata orientata solo verso la risarcibilità dei diritti e non degli interessi. In questo modo, una tutela risarcitoria indiretta
degli interessi legittimi, veniva riconosciuta dalla giurisprudenza solo in relazione ai c.d. "interessi legittimi oppositivi"
(interessi legittimi che sorgono per il privato nei confronti di un atto amministrativo sfavorevole) e non anche in difesa
degli interessi legittimi "pretensivi". inoltre, doveva prima intervenire l'annullamento dell'atto illegittimo da parte del
G.A. (c.d. condizione di pregiudizialità amministrativa)e solo successivamente si poteva proporre domanda al giudice
ordinario per ottenere il risarcimento del danno da lesione dell'interesse legittimo.
La sentenza della Cassazione SS.UU. 500/99 ha invece recepito un orientamento che, dapprima solo espressione
dell'elaborazione dottrinale, era stato successivamente accolto nell'ordinamento giuridico con il Decreto Legislativo 80
del 1998, che ha previsto, per la prima volta, la risarcibilità dell'interesse legittimo leso, nei campi dell'edilizia,
dell'urbanistica e dei servizi pubblici. Tale sentenza afferma che è legittimo chiedere al G.O. il risarcimento del danno
causato da lesione di interesse legittimo, indipendentemente dal preventivo annullamento dell'atto stesso da parte del
G.A. Per la prima volta anche gli interessi legittimi pretensivi ricevono tutela, infatti, anche per essi è possible ricorrere
al G.O. per il risarcimento. Infine, nel caso di materia attribuita alla giurisdizione esclusiva del G.A., la tutela
risarcitoria per gli interessi legittimi pretensivi e oppositivi, è affidata allo stesso giudice.
Inoltre con la legge del 10 agosto del 2000 n. 205, ampliando i poteri del Giudice amministrativo, il legislatore ha
previsto - modificando l'art 35, comma 4° del D.Lgs. 80/1998 - la possibilità per questo di disporre il risarcimento della
lesione all'interesse legittimo, in tutte le materie rientranti nella sua giurisdizione e non solo in quelle precedentemente
previste (edilizia, urbanistica, servizi pubblici) dallo stesso decreto.
In base alla previsione contenuta nell’art. 6, 2° comma, della legge n. 205 del 2000 le controversie concernenti diritti
soggettivi devolute alla giurisdizione del giudice amministrativo possono essere risolte mediante arbitrato rituale di
diritto.
L’art. 8, 1° e 2° comma, della stessa legge n. 205 prevede poi che solo nelle controversie devolute alla giurisdizione
esclusiva del giudice amministrativo aventi ad oggetto diritti soggettivi di natura patrimoniale possono trovare
applicazione le disposizioni processuali civili sul procedimento per ingiunzione.
Queste norme sull’arbitrato e sul procedimento ingiuntivo contenute nella legge di riforma del processo amministrativo
mostrano che, seppur nella evoluzione legislativa complessiva tendente ad appiattire la distinzione fra interessi legittimi
e diritti soggettivi, permane invariata la necessità di una distinzione fra i due concetti. Su questo terreno dunque hanno
ancora senso le varie teorie nozionistiche e classificatorie sul concetto di interesse legittimo elaborate nel corso della
lunga esperienza dottrinale e giurisprudenziale in tema di giustizia amministrativa.
Interesse legittimo di diritto privato
Tradizionalmente, l'interesse legittimo si colloca nella fase dinamica dell'esercizio del potere pubblico e contrassegna la
posizione del soggetto privato nei suoi rapporti con la Pubblica Amministrazione che agisce come autorità.
Nel sistema di diritto privato italiano, la figura dell'interesse legittimo ha stentato ad affermarsi a causa della centralità
della categoria dei diritti soggettivi.
Al principio del secolo scorso, in dottrina si negava l'ammissibilità di interessi legittimi al di fuori della sfera
pubblicistica e si ravvisavano nell'area del diritto comune diritti soggettivi. Due autori, Chironi (Nuoro
esclusivamente
1855, Torino 1918) e Abello, nel (Torino, 1904, vol. I, pag. 128 segg.) per la prima volta,
Trattato di diritto civile
studiando la struttura del diritto soggettivo ne individuarono gli elementi costitutivi (soggetto, oggetto, contenuto,
tutela) ed evidenziarono che i soggetti privati possono ricevere tutela diretta o indiretta a seconda che il rapporto
intercorra con un altro privato o con un'Amministrazione pubblica che agisce in veste di autorità. L'unica ipotesi
individuata dai due Autori era nell'ambito dei rapporti familiari, laddove la legge attribuisce ai genitori determinati
poteri da esercitare in veste di autorità privata nei confronti dei figli, per finalità di importanza collettiva e sociale.
Nel 1921, Francesco Ferrara riprende la tesi elaborata da Chironi e ribadisce l'esistenza di situazioni protette in modo
diretto e immediato, e di altre situazioni la cui tutela dipende da altri interessi di portata maggiore che trascendono la
sfera del singolo.
Un decennio più tardi, Carnelutti e Cammeo (1936) approfondiscono la visione processuale del problema ed affermano
che gli interessi legittimi nel diritto privato, occasionalmente protetti così come nel diritto pubblico, godono di tutela se
e sono tutelati gli interessi altrui, con la conseguenza che l'azione giudiziale sarebbe inammissibile
nella misura in cui
non per la mancanza di interesse processuale al ricorso, bensì per il difetto di una situazione protetta, ossia
normativamente qualificata.
31-RESPONSABILITA’ PA E RISARCIMENTO:TUTTI I CASI POSSIBILI (pag.236 libro)
[1]
Per si intende la responsabilità civile della Pubblica
responsabilità della Pubblica amministrazione
amministrazione italiana dinanzi alla legge nei confronti di uno o più privati per danni o illeciti derivati da una sua
attività materiale o autoritativa.
Responsabilità per esercizio illegittimo del potere amministrativo
Precedente sistema
Ultima grande terra di conquista nell'ambito della responsabilità della P.A., è senz'altro il profilo più tormentato e
complesso di questo aspetto.
Bisogna necessariamente conoscere l'impianto giuridico e giurisprudenziale adottato per circa un secolo: si pensava che,
in presenza di un potere amministrativo esercitato, sia legittimamente che illegittimamente, il diritto soggettivo
eventualmente colpito da tale potere rimanesse affievolito, o più precisamente, "degradato" ad interesse. Ne risultava la
totale incompetenza del giudice ordinaria e la pressochè totale irresponsabilità dell'amministrazione pubblica.
L'interesse legittimo infatti per lungo tempo non era risarcibile e l'unico mezzo di tutela concesso al privato era
l'eliminazione dell'atto illegittimo tramite la giustizia amministrativa.
Evoluzione e riconoscimento
Con la storica sentenza n.500 del 1999 della Corte di Cassazione a Sezioni Unite questo iniquo assetto riceve un colpo
storico: la Suprema Corte stabilisce infatti, sovvertendo vecchie pronunce ed orientamenti, che anche la lesione di
interessi legittimi è risarcibile ex art. 2043 c.c., prendendo come presupposto la tutela sorta nell'ordinamento nel tempo
di situazioni non raffigurabili come diritti soggettivi. La stessa Corte pone dei capisaldi (poi riarrangiati dal legislatore
in seguito) e due cautele. Il privato fa valere un diritto soggettivo e si deve rivolgere al giudice ordinario, il danno deve
essere non riferito ad un diritto soggettivo ma deve essere soltanto ingiusto (non e tutelabile è anche l'interesse
iure)
legittimo nel senso di posizione di vantaggio riservata ad un soggetto in relazione a un bene della vita oggetto di un
provvedimento amministrativo e consistente nell'attribuione a tale soggetto di poteri idonei a influire sul corretto
[18] ; in ogni caso il risarcimento è prospettabile soltanto se l'attività abbia effettivamente determinato
esercizio del potere
la lesione dell'interesse al bene della vita al quale l'interesse legittimo è strettamente collegato, non essendo la lesione di
quest'ultimo condizione sufficiente per quanto necessaria. Questa situazione è ovvia negli interessi legittimi cosiddetti
(dove il privato si oppone per proteggere un bene della vita) essendo questi già nella sua sfera giuridica;
oppositivi
mentre in quelli (dove il privato vuole ottenere un qualcosa cui è necessario un quid partecipativo della P.A.),
pretensivi
il giudice dovrà valutare non soltanto la legittimità del diniego o dell'inerzia della P.A. al provvedimento, ma anche se il
privato possa vantare un titolo ad ottenerlo. L'ultima delle due cautele, la più controversa, è la colpevolezza prevista
dall'art.2043: colpevolezza non determinata automaticamente dalla illiceità del provvedimento (com'era previsto in
precedenza) né dal dolo/colpa del singolo agente, bensì dalla cosiddetta figura sfuggevole
colpa d'apparato,
determinabile come violazione delle regole di imparzialità, correttezza e buona amministrazione. Vari giuristi hanno
fatto notare come la colpa sia in realtà un parametro psicologico mentre le tre regole riportate dalla costituzione
coincidono con i vizi di legittimità dell'atto, chiudendosi tale costruzione con un circolo vizioso.
Natura della responsabilità
Altra delicata questione riguarda la natura di responsabilità che sorge dalla lesione di un interesse legittimo, se di natura
cioè contrattuale o aquiliana. Questione decisamente importante a livello processuale in termini di prescrizione ed onere
[19]
probatorio e controversa dato che la storica sentenza n.500/1999 non ha affrontato il problema . A distanza di soli
quattro anni, e curiosamente per la stessa faccenda, la Cassazione si ritrova a dover dare ulteriori spiegazioni nella
sentenza n.157/2003 sulle medesime questioni e non si limita ad approfondire il tema ma anche a criticare in parte la
precedente pronuncia. È in questa sentenza che la Cassazione critica l'impostazione che vede la P.A. esclusivamente
responsabile extra-contrattualmente, partendo semplicemente dalla legge 241/1990. Secondo la Corte infatti gli obblighi
e le attività previste da quell'atto normativo hanno una fase precedente che non rende l'evento oggetto di contenzioso (e
di danno) improvviso, bensì frutto di un evidente contatto tra il privato e la pubblica amministrazione che equipara
almeno a livello pratico il primo ad una parte contraente.
Ne segue un'altalenante orientamento sia in dottrina che in giurisprudenza, a volte a favore della tesi contrattualistica
che ormai ha fatto breccia anche nel Consiglio di Stato, a volte ancora ancorata a quella aquiliana.
Responsabilità da ritardo
Mentre il singolo può essere responsabile per il ritardo di un adempimento contrattuale, la P.A. è generalmente
responsabile di un ritardo nell'esercizio di un potere autoritativo. In particolare le leggi stabiliscono solitamente i
termini entro quanto la P.A. deve svolgere l'esercizio dell'azione, altrimenti è previsto un termine generico di 90
[20]
giorni . Sorge il problema di capire se la P.A. sia tenuta al risarcimento per il ritardo qualora eluda tale termine,
problema che ricevuto risposte e tesi molto contrastanti.
Uno degli aspetti problematici della questione è quello di inquadrare il problema ontologicamente: l'inerzia o il ritardo
della P.A. è una lesione di un diritto soggettivo del privato, assimilabile all'inadempimento contrattuale del singolo e
quindi competenza del giudice ordinario, o una lesione di un interesse legittimo del singolo derivante dalla sua
discrezionalità e dal suo potere, appannaggio quindi del giudice amministrativo? La contesa diatriba trova oggi
riferimenti giurisprudenziali amministrativi tendenti alla seconda ipotesi, in quanto il rifiuto o l'inerzia della P.A. di
compiere una determinata attività rientra comunque nell'esercizio della sua potestà amministrativa, che potrà essere
illegittima e quindi assoggettabile al giudice amministrativo.
Altro problema: ricomprende ogni sorta di danno? Per una parte della dottrina si, per altri (e la giustizia amministrativa)
no, ricoprendo questa responsabilità il solo ritardo. Si profila inoltre la solita annosa differenza tra interessi legittimi
oppositivi e pretensivi, i primi sempre risarcibili per la somma non percepita o comunque persa; i
medio tempore
secondi dipende dalla fase successiva all'annullamento dell'atto, posto che questo non significa automatico risarcimento.
Soltanto infatti dopo un successivo riconoscimento delle ragioni del singolo da parte della P.A. è possibile considerare
un risarcimento da ritardo, riconoscimento però che può essere negato per altri motivi purché legittimi.
Colpevolezza
Salvo i casi di responsabilità oggettiva previsti dall'art.2047 c.c., in genere la risarcibilità del danno prevede il dolo o la
colpa nel fatto che lo ha cagionato. Dolo e colpa però sono due elementi tradizionalmente psicologici che mal si
conciliano con l'impersonalità degli enti, specialmente della P.A.
L'impostazione prevalente storicamente, oggi superata, prevedeva come parametro della colpa la semplice violazione
della legge, una È nel 1999 che la Cassazione prevede la già citata e contraddittoria
culpa in re ipsa. colpa d'apparato,
creata appositamente per contemperare la troppo aperta colpa in re ipsa dato l'allargamento storico di risarcibilità. Dalle
critiche sollevate a questa figura di colpa, sono state avanzate alcune tesi. Ad esempio che la colpa andrebbe
commisurata al tipo di atto illegittimo ed alla gravità dell'illiceità, potendo in questo caso prevedere l'errore scusabile e
rendendo risarcibile solo casi di attività vincolate della P.A. non debitamente ottemperate oppure situazioni a bassa
discrezionalità. Questa impostazione è stata però criticata dalla giurisprudenza in quanto lo colpa non può essere
graduata se non per precisa previsione normativa.
Altra prospettiva è quella di inquadrare l'errore come parametro per stabilire se la colpa sia grave o meno, errore che la
P.A. deve dimostrare come scusabile. L'errore può essere di fatto e di diritto, il secondo tramite i parametri penalistici e
comunitari, il primo commisurato alla questione tecnica pratica: per dirla in breve, l'errore di diritto va valutato alla
[21]
stregua del giurista medio, quello di fatto in base alla perizia e competenza del prestatore d'opera .
Misura e tipo del risarcimento
Dato che un atto amministrativo può essere illegittimo ma non produrre danni, bisogna evidenziare che il risarcimento è
soltanto eventuale. Sciolto questo dubbio, nel caso avverso bisogna poter stabilire l'entità del risarcimento stesso.
È subito da rilevare come la questione sia totalmente differente a seconda che si vada a ledere un diritto soggettivo o un
interesse legittimo e, nel secondo caso, tra interesse oppositivo e pretensivo. Nella prima ipotesi è più semplice, basta
valutare il pregiudizio sofferto dal soggetto, ma nella seconda il giudice deve fare, anche per la commisurazione, un
giudizio prognostico che accerti il cosiddetto atto dovuto.
Non ci sono dubbi che il risarcimento possa essere effettuato sia per equivalente che per reintegrazione in forma
specifica, ma nel secondo caso possono sorgere problemi e situazioni differenti. Nel caso infatti la P.A. abbia commesso
l'illecito non nell'esercizio della sua autorità, competente sarà il giudice ordinario e il soggetto leso instaura lo stesso
giudizio che si aprirebbe tra privati; la cosa si complica quando il danno deriva dall'esercizio (o dal mancato) di
un'attività autoritativa, posto che la reintegrazione in forma specifica comporterebbe la sostituzione del giudice
all'amministrazione nel rilascio dell'atto. La questione è risolta dalla giurisprudenza consentendo questo tipo di
[22] .
risarcimento solo per gli interessi oppositivi, mai per quelli pretensivi
Il problema principale è quello relativo all'entità del risarcimento, da commisurare al danno inferto. C'è da premettere
danno emergente, ma altrettanto restia a
che la giurisprudenza amministrativa non ha problemi a riconoscere il
concedere il lucro cessante. Numerose sono inoltre le riduzioni che il giudice amministrativo spesso opera, sia negli
appalti pubblici concedendo soltanto il 10% del danno, sia ove rilevi una causa determinante il danno imputabile anche
al singolo o una sua non immediata contestazione e impugnazione dell'atto. Grazie all'art.35 del Dlgs n.80/1998 il
giudice può anche rinunciare alla quantificazione diretta del danno (perché complessa, impossibile o altri motivi) e
fissare egli stesso un criterio diverso. Non sono rari i casi ormai di giudizi di cognizione affidati al giudice che rimette
alle parti la possibilità di accordarsi salvo poi sostituirsi alle stesse in caso di mancato accordo. Altra giurisprudenza
[23]
amministrativa non esclude il lucro cessante, purché sia il danneggiato a darne prova in giudizio. In sostanza il
privato deve dimostrare, problema non di poco conto, dimostrare il mancato accrescimento patrimoniale correlandolo al
provvedimento amministrativo mancato. La stessa sentenza riportata in nota evidenzia un principio interessante, ovvero
la non automaticità della condanna al risarcimento, bensì la necessaria dimostrazione con prova di qualsiasi aspetto
risarcitorio.
Giurisdizione
Riparti
Notevoli le variazioni che ha subito la giurisdizione riguardo agli interesse legittimi: se nella storica sentenza
n.500/1999 veniva indicato il giudice ordinario civile come competente, bisogna evidenziare che questa fu emessa
seguendo le disposizioni del D.Lgs. n.80/1998 dichiarato poi incostituzionale per eccesso di delega. Successivamente è
stato sostituito dalla legge 205/2000 che ha ampliato, fra le varie cose, le possibilità di tutela del TAR, in particolare la
conoscenza del risarcimento del danno. È facile notare come sia stata volontà del legislatore sottrarre alla giurisdizione
ordinaria la tutela degli interessi legittimi per affidarla al giudice amministrativo.
L'attuale ripartizione prevede pertanto la giurisdizione del giudice amministrativo quando in gioco ci sono interessi
legittimi lesi, il giudice ordinario quando il danno deriva dall'attività materiale o comunque da un'attività non
potestativa. Più problematica è la questione della giurisdizione esclusiva, riservata sempre al giudice amministrativo,
nei casi in cui il danno riguardi sia interessi legittimi che diritti soggettivi. Sorge il problema di capire se il legislatore
possa incontrare un limite o meno all'assegnazione di blocchi interi di materie a prescindere dalle situazioni soggettive:
il Consiglio di stato è orientato verso la risposta affermativa, la Corte Costituzionale no leggendo in chiave restrittiva il
disposto dell'art.103 Cost., laddove prevede che il giudice amministrativo conosce "anche" dei diritti soggettivi.
Secondo la stessa Corte pertanto la giurisdizione è esclusiva quando i diritti soggettivi in questione sono comunque
correlati ad interessi legittimi o, da un punto di vista differente, lesi da un'attività autoritativa della P.A. La stessa
[24] precisa che non è stata creata una nuova materia, bensì è stato affidato al giudice amministrativo un
sentenza
semplice strumento di tutela in più per quanto già conosceva.
32-ILLEGITTIMITA’ ATTI
Invalidità (amministrativa)
L'atto quando è contrario alle norme che lo disciplinano.
amministrativo è invalido
Invalidità
La difformità dell'atto rispetto a norme espresse dall'ordinamento giuridico determina l'illegittimità
dell'atto; la difformità dell'atto rispetto ai principi espressi dall'art. 97 della costituzione determina
invece l'inopportunità dell'atto.
La legittimità attiene alla rispondenza dell’atto alla norme giuridiche che disciplinano l’esercizio del
potere, senza alcuna considerazione dei risultati conseguiti.
L'opportunità, che si contrappone al concetto di legittimità, esprime la conformità della scelta
discrezionale alle regole non giuridiche di buona amministrazione, intese ad assicurare l’efficienza
e l’economicità dell’azione della pubblica amministrazione, nonché il perseguimento dell’interesse
pubblico.
L'atto illegittimo può essere viziato in modo più o meno grave, dando luogo a due categorie di
invalidità degli atti amministrativi; gli atti nulli e gli atti annullabili.
Per parte della dottrina esiste una terza categoria di invalidità degli atti amministrativi: quella degli
atti amministrativi inesistenti.
L'invalidità può essere totale o parziale. Per regola, l'invalidità di singoli elementi dell'atto produce
l'invalidità dello stesso nella sua interezza. A questo punto va tenuto presente la distinzione tra
provvedimenti scindibili e quelli inscindibili.
Nullità dell'atto amministrativo
L'atto amministrativo nullo è:
inesistente;
• inefficace;
• insanabile.
•
L'annullabilità dell'atto amministrativo
L'atto amministrativo annullabile è:
esistente;
• efficace;
• sanabile.
•
Annullabilità (amministrativa)
L' è una causa di invalidità dello stesso, minore rispetto la
annullabilità dell'atto amministrativo
nullità, che ne determina l'illegittimità e quindi la possibilità che l'atto sia annullato.
Annullabilità dell'atto amministrativo
L'articolo 21 octies della legge dell'11 febbraio 2005 n.15, recante modifiche ed integrazioni alla legge del 7 agosto
1990 n. 241, concernenti norme generali sull'azione amministrativa" recita:
« È annullabile il provvedimento amministrativo adottato in violazione di legge o viziato da eccesso di potere o da
»
incompetenza.
L'atto amministrativo è annullabille:
per difetto relativo di attribuzione, anche detta incompetenza relativa di legge;
• per eccesso di potere.
• per violazione di legge;
•
Incompetenza relativa di legge [modifica]
L'incompetenza di legge può riguardare il soggetto che ha posto in essere l'atto amministrativo o la materia su cui
questo dispiega i suoi effetti.
L'incompetenza può essere assoluta, nel qual caso l'atto è nullo, o relativa, nel qual caso l'atto è annullabile (o nel caso
sanabile).
Normalmente l'incompetenza relativa si ha quando il soggetto che ha posto in essere l'atto non ha il grado, inteso come
livello gerarchico, per porre in essere lo stesso.
Eccesso di potere [modifica]
L'eccesso di potere è un vizio della causa dell'atto amministrativo, che deve essere quella pre-determinata dalla legge.
Mentre l'eccesso di potere attiene la causa dell'atto, l'incompetenza, relativa od assoluta, attiene l'autorità da cui
promana l'atto.
Perché si possa parlare di eccesso di potere occorre che si verifichino le seguenti condizioni:
l'atto sia discrezionale (dato che gli atti vincolati hanno un contenuto predeterminato non possono essere
• invalidati per eccesso di potere);
l'atto realizzi un fine diverso da quello previsto dalla legge;
• l'eccesso di potere sia provato.
•
Rispetto l'eccesso di potere, la dottrina ha elaborato le figure sintomatiche dell'eccesso di potere, che rappresentano un
che l'atto sia viziato da eccesso di potere.
indizio
Violazione di legge
La violazione di legge è data dalla difformità dell'atto amministrativo rispetto alle norme di legge.
L'articolo 21 octies della legge dell'11 febbraio 2005 n.15 al secondo comma introduce due importanti eccezioni rispetto
alla violazione di legge:
« Non è annullabile il provvedimento adottato in violazione di norme sul procedimento o sulla forma degli atti
qualora, per la natura vincolata del provvedimento, sia palese che il suo contenuto dispositivo non avrebbe potuto
essere diverso da quello in concreto adottato. Il provvedimento amministrativo non è comunque annullabile per
mancata comunicazione dell'avvio del procedimento qualora l'amministrazione dimostri in giudizio che il
»
contenuto del provvedimento non avrebbe potuto essere diverso da quello in concreto adottato.
Con il primo inciso si indicano quelle violazioni di legge che seppur presenti non comportano comunque l'annullabilità
dell'atto amministrativo; il legislatore ha introdotto la categoria dei vizi meramente formali (per la natura vincolata del
provvedimento, sia palese che il suo contenuto dispositivo non avrebbe potuto essere diverso da quello in concreto
peraltro già prevista da parte della dottrina. Per questo tipo di vizi il legislatore ha ritenuto che prevalga la
adottato),
sostanza rispetto gli aspetti formali richiesti dalle leggi, e quindi ne ha escluso l'annullabilità.
Per il secondo inciso, l'amministrazione può provare in giudizio, che la mancata comunicazione dell'avvio del
procedimento, non rappresenta di per se stessa causa di annullabilità, se riesce a dimostrare che i destinatari sono
comunque venuti a conoscenza dell'atto amministrativo o che anche quando ne fossero venuti a conoscenza questo non
avrebbe potuto essere diverso da quello posto in essere dall'amministrazione. Sono state elaborate delle figure di
violazione di legge in analogia con quelle relative all'eccesso di potere ed esse sono: vizio di forma, difetto o
insufficienza della motivazione, invalida costituzione del collegio, contenuto illegittimo, difetto di presupposti legali,
disparità di trattamento, ingiustizia manifesta, violazione di economicità o efficacia, pubblicità o trasparenza, violazione
del giusto procedimento.
Effetti
L'atto amministrativo annullabile è:
giuridicamente esistente;
• efficace;
• sanabile.
•
L'annullabilità non si verifica di diritto, ma solo nel caso sia fatta valere da chi ne abbia interesse (il privato ma anche la
pubblica amministrazione stessa) ed a seguito di un altro atto della pubblica amministrazione o di una sentenza.
L'atto amministrativo annullabile può anche essere sanato o soggetto a consolidazione.
33-FORME DI AUTOTUTELA PA (LA REVOCA)
amministrativa tutelare da sè i propri interessi
L'autotutela è, in senso lato, il potere della PA di e la propria sfera
d'azione. Non vi è una nozione unitaria e condivisa dell'autotutela amministrativa. In particolare, si una distinguere tra
autotutela facoltativa autotutela
, da esercitarsi mediante provvedimenti di secondo grado d'annullamento d'ufficio,
doverosa, in sede contenziosa
in sede d'esercizio del potere di controllo, autotutela a seguito di ricorso
dell'interessato. Discussa è la riconducibilità, nell'alveo dell'autotutela, dell'esecutorietà consistente nella possibilità di
eseguire coattivamente provvedimenti incidenti sulla sfera giuridica altrui e necessitanti la cooperazione del destinatario.
fondamento normativo
Secondo parte della dottrina, il del potere di autotutela sarebbe il medesimo che fonda il potere
d'amministrazione attiva sui cui provevdimenti viene esercitata l'autotutela. 21 ter della
In ogni caso, a seguito della l. n. 15 del 2005, il fondamento normativo dell'autotutela è da rinvenirsi nell'art.
L. n. 241 del 1990, 21 nonies,
con riferimento all'esecutorietà, nell'art. con riferimento ai poteri d'annullamento
d'ufficio convalida degli atti amministrativi illegittimi, 21 quinquies
e di nell'art. con riferimento agli atti di
sospensione dell'efficacia dei provvedimenti amministrativi.
In via generale, le forme di manifestazione dell'autotutela amministrativa, oltre all'esecutorietà nei casi contemplati dalla
legge, sono provvedimenti di secondo grado che incidono su provvedimenti d'amministarzione attiva già adottati. Si usa,
provvedimenti di secondo grado con effetti demolitori e con effetti conservativi.
al riguardo, distinguere tra
facoltativa coercibile
L'autotutela non è, in via generale e salve talune eccezioni (ottemperanza al giudicato del GO),
da parte del privato una volta consumato il potere d'impugnativa del provvedimento d'amministrazione attiva. A fronte
dell'inerzia della PA sulla relativa istanza, dunque, il privato non potrà attivare il meccanismo del silenzio inadempimento
di cui all'art. 21 bis della Legge TAR in combinazione con l'art. 2 della L. n. 241 del 1990. potere di
Ciò posto e premesso, una delle manifestazioni tipiche dell'autotutela amministrativa è, dunque, il
autoimpugnativa, il potere, cioè, di rimuovere dal mondo giuridico atti amministrativi illegittimi o inopportuni, mediante
atti d'annullamento d'ufficio. L'atto amministrativo, infatti, una volta emanato e divenuto efficace può essere annullato
o a seguito di ricorso amministrativo o giudiziale o a seguito di provvedimenti di autotutela amministrativa da parte della
sospensione
PA. L'autotutela amministrativa, peraltro, si può manifestare, anzichè mediante atti di ritiro, mediante atti di
dell'efficacia di atti provvisoriamente illegittimi o inopportuni (ulteriori forme di manifestazione dell'autotutela sono la
proroga dell'efficacia la riforma di provvedimenti amministrativi dinieghi di rinnovo).
di atti scaduti, o Come già
mantenere in vita atti amministrativi
premesso, l'autotutela amministrativa può concretizzarsi in attività destinata a
illegittimi. conservazione
Ove tale attività sia costituita da comportamenti della PA, si parlerà di dell'atto
convalescenza
amministrativo; ove, invece, l'attività sia costituita da atti giuridici, si parlerà di dell'atto amministrativo.
discrezionali, formali, recettizi, esecutori e motivati
I provvedimenti di ritiro in autotutela amministrativa sono
obbligatoriamente.
La dottrina e la giurisprudenza distinguono i provvedimenti di ritiro in autotutela della PA a seconda che i vizi riscontrati
originari o successivi vizi di merito o di
sull'atto siano all'adozione dell'atto stesso e a seconda che si tratti di
legittimità. ab origine illegittimi annullamenti
Così i provvedimenti in autotutela relativi ad atti amministrativi prendono il nome di
d'uffico, i provvedimenti di ritiro in autotutela amministrativa relativi ad atti divenuti successivamene illegittimi prendono il
atti di decadenza, inopportuni ab origine
nome di i provvedimenti di ritiro relativi ad atti o successivamente divenuti
atti di revoca, parte della dottrina atti d'abrogazione.
tali sono comunemente definiti anche se definisce tali atti come comunicazione
Gli atti di ritiro della PA sono soggetti alla normativa in tema di procedimento amministrativo relativa alla
d'avvio del procedimento, relativa alla partecipazione ed in tema di silenzio inadempimento.
decadenza accertativa,
Quanto ai provvedimenti di essi attengono a rapporti giuridici originati da atti ampliativi della
sfera giuridica dei privati ab origine legittimi. Essi sono legati all'inadempimento, da parte del privato, agli obblighi o agli
mancato esercizio delle facoltà
oneri posti dall'atto ampliativo oppure al oggetto dello stesso o, infine, al venir meno
dei requisiti di idoneità previsti dalla legge.
autonomamente impugnabili
I provvedimenti di ritiro sono e, in caso d'annullamento, determinano, di regola, la
riespansione degli effetti dell'originario provvedimento. Ove la riespansione degli effetti non sia possibile per la definitiva
trasformazione medio tempore intervenuta, il privato potrà ottenere la tutela risarcitoria per la lesione dell'interesse
legittimo a conseguire i benefici derivanti dalla situazione soggettiva costituente l'oggetto dell'originario provvedimento
ritirato.
37-DISCREZIONALITA’ MERITO E CONTROLLO DELLA PA (pag.267 – 285)
La discrezionalità è un potere che consente all’organo che ne è titolare di porre in essere atti tipici per
meglio individuare quelle che sono le soluzioni per la cura di un interesse determinato. Tale potere è tenuto
a rispettare il principio della necessaria acquisizione degli interessi pubblici, privati, collettivi, presenti nella
situazione concreta, e cercando di non sacrificare gli interessi secondari oltre il dovuto. In questo caso la
parola merito è usata in tre differenti punti della sistematica e sempre in opposizione ad altra nozione:
merito come contrapposta discrezionalità, merito come contrapposto a legittimità, giurisdizione di merito
distinta dalla giurisdizione di legittimità (entrambe del giudice amministrativo).
Nella cura dell’interesse, l’amministrazione si muove sempre in un più o meno ambito di scelta, al di là delle
prescrizioni poste dalla legge stessa, che sono cmq cogenti. In tal ambito di scelta nel quale si esprime
l’esercizio del potere, l’amministrazione non è tuttavia senza altro libera, xchè la DISCREZIONALIA’ che
caratterizza il suo agire viene a porgere dei vincoli a si fatta libertà (vincolo del fine e esigenza di
ragionevolezza nell’agire).
Si tratta tuttavia di vincoli tanto larghi. Pur nell’ambito del fine perseguito, pur nell’ambito dell’esigenza
dell’agire all’amministrazione si presenteranno sempre più scelte concrete nell’ambito delle quali essa
potrà muoversi con libertà: preferire l’una o l’altra diventa questione di merito.
43-L’ECCESSO DI POTERE
Eccesso di potere
L'eccesso è un vizio della causa dell'atto amministrativo, che deve essere quella
di potere
predeterminata dalla legge, che ne determina l'annullabilità. Il vizio di eccesso di potere si realizza
nell'ambito di ciò che viene definito come la discrezionalità amministrativa della pubblica
amministrazione.
Cenni storici
La legge numero 2248 del 1865 attribuiva al giudice ordinario il potere di conoscere dei vizi dell’atto amministrativo.
Questa legge, però considerava come vizi solo l’incompetenza e la violazione di legge, non anche l'eccesso di potere.
È stato con la legge 3761 del 1877 che per la prima volta viene considerato come vizio dell'atto amministrativo anche
l'eccesso di potere. In effetti la legge non dava una definizione dell'eccesso di potere, stabilendo solo la competenza per
i relativi giudizi alle sezioni unite della Corte di Cassazione, che aveva il potere di annullare gli atti che ne erano affetti.
Le definizione dell'eccesso di potere fu quindi lasciata alla dottrina e alla giurisprudenza.
Il concetto di eccesso di potere fu quindi diversamente configurato, finché con la legge istitutiva della quarta sezione del
Consiglio di Stato, fu accolta la tesi dell’eccesso di potere come vizio dell’atto amministrativo. E fu proprio il Consiglio
di Stato, che con la sentenza numero 3 del 1892, a recepire la figura dottrinale delle figure sintomatiche dell'eccesso di
potere.
Nozione
L’eccesso di potere costituisce uno dei tre vizi di legittimità dell’atto amministrativo.
Nel momento in cui l'amministrazione pone in essere un atto amministrativo, deve rispettare due ordini di regole: quelle
derivanti dalla legge, dai regolamenti... e quelle che in buona sostanza derivano dalla relazione tra
formali, sostanziali,
la situazione concreta su cui l’atto amministrativo è destinato ad incidere e la previsione generale ed astratta della
norma.
Quando si afferma che l'autorità deve valutare la situazione concreta su cui la norma viene ad incidire, occorre che
questa:
1. individui con precisione ed esattezza la situazione concreta (o situazione di fatto) su cui l'atto è destinato ad
incidere;
2. che la situazione concreta sia correttamente rappresentata;
3. che il processo valutativo segua un corretto iter logico, tale che il contenuto dell'atto sia coerente con le
norme e la situazione concreta.
Il difetto di uno di questi elementi comporta che l'atto sia viziato dall'eccesso di potere, che quindi può derivare da
un’inesatta individuazione o una falsa rappresentazione della realtà, od anche da un’illogica valutazione del rapporto
intercorrente tra questa e l’atto amministrativo.
L'inesatta individuazione e la una falsa rappresentazione si possono dimostrare con l’esistenza di una realtà concreta
diversa da quella individuata e rappresentata dall’autorità.
L'illogica valutazione deve essere provata entrando nel merito dell'azione dell'autorità, giudicando il giudizio del
soggetto che ha emanato l'atto. si possono distinguere in diverse categorie. Alcuni di essi sono
I sintomi di eccesso di potere intrinseci all'atto:
consistono cioè in modi di essere della sua redazione, e sono rilevabili da una semplice lettura di esso. Altri sono
e quindi sono rilevabili attraverso la
estrinseci rispetto all'atto, ma intrinseci al procedimento di cui questo è il risultato;
lettura e il raffronto dei documenti procedimentali. Altri, infine, sono e sono
estrinseci sia all'atto che al procedimento
rilevabili solo da un raffronto dell'atto con comportamenti dell'organo indipendenti da questo.
Effetti
L'eccesso di potere è una delle tre cause di annullabilità dell'atto amministrativo.
Caratteri
Perché si verifichi nel concreto un eccesso di potere occorre che:
l'atto sia discrezionale, in quanto gli atti vincolati hanno un contenuto predeterminato e pertanto rispetto a
• questi non si può configurare l'eccesso di potere;
l'atto realizzi uno sviamento del potere, tale per cui il fine realizzato dall'atto nel caso concreto è diverso da
• quello previsto dalla legge;
l'eccesso di potere sia provato.
•
Figure sintomatiche
Nel diritto amministrativo sono state elaborate, sin dal XIX secolo, alcune figure sintomatiche dell'eccesso di potere;
semplificando si può dire che queste figure rappresentano degli indizi in presenza dei quali l'atto amministrativo
potrebbe risultare invalido.
Le figure sintomatiche dell'eccesso di potere sono:
sviamento di potere;
• travisamento ed erronea valutazione dei fatti;
• illogicità e contradditorietà della motivazione;
• contraddittorietà tra più atti successivi;
• inosservanza di circolari;
• disparità di trattamento;
• ingiustizia manifesta;
• violazione e vizi del procedimento
• vizi della volontà
• mancanza di idonei parametri di riferimento.
•
Differenze con il vizio di merito
L'eccesso di potere si concretizza quando tramite l'atto amministrativo viene perseguita una finalità diversa dalla finalità
tipica prevista dall'ordinamento giuridico; il vizio di merito invece attiene la violazione delle regole di opportunità,
e
convenienza buona amministrazione.
Con l'eccesso di potere si realizza una violazione di norme giuridiche, mentre con i vizi di merito si realizza una
violazione di norme non giurdiche.
Differenze con incompetenza
Mentre l'eccesso di potere attiene la causa dell'atto, l'incompetenza, relativa od assoluta, attiene l'autorità da cui
promana l'atto.
43-A CHI SPETTA LA NOMINA DEGLI IMPIEGATI STATALI
Il Capo dello Stato
L’assemblea nazionale, formata dai componenti dei Governi, delle Camere di Consiglio e delle Corti
Costituzionali, elegge il Capo dello Stato e, nei casi di richiesta di almeno 1/3 dei componenti, lo
giudica. Il Capo dello Stato è eletto a vita a maggioranza relativa e con votazione segreta, su proposta
di qualunque componente l’Assemblea Nazionale della quale non deve far parte da almeno 3 anni. È
scelto tra i cittadini che siano contemporaneamente elettori delle 3 Camere.
Il Capo dello Stato nomina il delegato che lo sostituisce nei casi di impedimento e che assume
l’incarico tra la morte di uno e la elezione del successore. Il delegato, quando assume le funzioni di
Capo dello Stato, nomina il vice delegato.
Il Capo dello Stato rappresenta tutti i cittadini e i loro interessi nei confronti degli altri Stati; il
ministero degli esteri, pertanto, è il capo di ogni corte costituzionale.
Il Capo dello Stato presiede l’Assemblea Nazionale che a maggioranza relativa decide la guerra e
conclude la pace.
Il Capo dello Stato, su proposta dei governi interessati, firma i trattati internazionali.
Impiegati statali
Gli impiegati dello Stato sono divisi in 31 gradi, con stipendio che da coefficiente 1 per il 1° grado,
sale 1,2 - 1,4- 1,6-... sino a 7. Gli stipendi sono comprensivi di tutto ed esclusi da imposte o tasse.
Gli impiegati dello Stato sono assunti per bienni con concorso esterno ad esami; il non corretto
comportamento verso il pubblico o i superiori li esclude dai concorsi successivi.
45-ACCORDI SOSTITUTIVI
Sono accordi tra amministrazione e privati.
a) accordo procedimentale, anche detto integrativo o preliminare: si inserisce nell’ambito di un
procedimento amministrativo già avviato, ha funzione determinativa del contenuto dell’atto, ma non
costitutiva dei suoi effetti, da imputarsi esclusivamente al provvedimento finale adottato sul suo
presupposto; può sempre essere concluso;
b) accordo sostitutivo: si inserisce nell’ambito di un procedimento già avviato, in funzione
surrogatoria del provvedimento del quale produce gli effetti; sostituisce il provvedimento e può
essere concluso solo nei casi previsti dalla legge (vale a dire da una legge diversa da quella generale
sul procedimento amministrativo)
in sintesi dunque:
integrativi: integrano l'atto finale, vale a dire che ne determinano il contenuto.
sostitutivi: sostituiscono il provvedimento adottato e possono essere posti in essere solo se esiste
una legge che li autorizzi.
i primi sono atti strumentali al provvedimento, i secondi sono atti conclusivi.
47-ATTI AMMINISTRATIVI DERIVANTI DA AUTORIZZAZIONI
Autorizzazione (Diritto)
L'Autorizzazione è un particolare provvedimento amministrativo con il quale la pubblica amministrazione rimuove un
limite posto dalla legge per l'esercizio di un diritto.
Con questo provvedimento non si assegna la titolarità di alcun diritto, ma se ne permette l'esercizio a chi ne è già
titolare.
In questo modo l'amministrazione pubblica può verificare che l'esercizio del diritto da parte del titolare non sia
pregiudizievole per gli interessi della collettività.
Tipologia
L'autorizzazione può essere se prevede modalità con le quali il diritto possa essere esercitato, o se
modale non modale
non è previsto alcuno specifico vincolo nell'esercizio di tale diritto.
Legge 241/1990
La legge 241/1990, nell'ambito della semplificazione amministrativa, ha previsto due nuovi meccanismi per diminuire
l'onere dell'autorizzazione prevedendo:
Denuncia in luogo di autorizzazione, per la quale in luogo del conseguimento dell'autorizzazione l'interessato
• produce una auto-denuncia di inizio attività, rispetto alla quale l'amministrazione deve effettuare i controlli
autoritativi entro un termine certo;
silenzio-assenso,
il meccanismo del per il quale l'autorizzazione si ha per concessa se la pubblica
• amministrazione non risponde entro un termine certo dalla presentazione della domanda.
Requisito per ottenere la licenza per esercitare qualsiasi attività commerciale è la frequenza della scuola dell'obbligo,
ossia il possesso della licenza delle scuole medie inferiori.
La legge ha abolito l'obbligo e la validità delle licenze per numerose attività commerciali.
La licenza era vista come una forma di contingentamento delle quote, una limitazione alla libertà di iniziativa
economica, prevista dalla Costituzione, e alla concorrenza e al libero mercato.
All'obbligo della licenza, è stato spesso sostituito quello del possesso di una qualifica, tramite la frequenza obbligatoria
e il superamento di esami in appositi percorsi professionalizzanti, uniformi a livello nazionale, che prevedono periodi di
tirocinio, sostitutivi della formazione dei cosiddetti "ragazzi di bottega".
In precedenza, chi voleva avviare un'attività commerciale, per la difficoltà di ottenere la licenza per un nuovo esercizio,
doveva rilevarne uno già avviato, con il relativo costo delle licenze e periodo di apprendistato.
L'abolizione delle licenze ha diminuito il valore commerciale di certe attività, sebbene un esercizio avviato, con un
proprio marchio e una clientela, corrisponda a un maggiore prezzo di mercato.
Autorizzazioni particolari
In dottrina si discute sulla natura di particolari procedimenti amministrativi. Per la maggior parte di questa, pur
presentando peculiarità, il Nulla osta, l'Abilitazione e la Registrazione sono forme particolari di autorizzazione.
Più controversa è la classificazione della Licenza come di un particolare tipo di autorizzazione.
48-ATTI DIVERSI DAI PROVVEDIMENTI
Atto amministrativo
Un è un atto giuridico posto in essere da un'autorità amministrativa
atto amministrativo
nell'esercizio di una sua funzione amministrativa. Esso è espressione di un potere amministrativo,
produttivo di effetti indipendentemente dalla volontà del soggetto o dei soggetti cui è rivolto.
Caratteristiche
Un atto amministrativo è:
unilaterale,
un atto in quanto ha efficacia indipendentemente dalla volontà del soggetto cui è destinato (a cui
• può anche essere imposto);
autorità amministrativa
un atto emanato da una (atto soggettivamente amministrativo);
• un atto emanato da un'autorità amministrativa nell'esercizio delle sue funzioni amministrative (atto
• oggettivamente amministrativo);
esterno,
un atto dato che non sono considerati atti amministrativi quegli atti posti in essere dall'autorità
• amministrativa nei confronti di sé stessa (detti atti meramente interni, come le circolari).
nominativo,
un atto in quanto ciascuna tipologia di atto è prevista nominativamente dalla legge.
•
Struttura
Un atto amministrativo, nella generalità dei casi, presenta una struttura formale composta da:
intestazione (indica l'autorità da cui emana l'atto)
• preambolo
• motivazione (valuta comparativamente gli interessi, indicando le ragioni per le quali si preferisce soddisfare
• un interesse in luogo di un altro)
dispositivo (è la parte precettiva, che costituisce l'atto di volontà della Pubblica Amministrazione)
• luogo
• data
• sottoscrizione (contiene la firma dell'autorità che emana l'atto o di quella delegata)
•
Contenuto
Rispetto al contenuto dell'atto amministrativo si distinguono:
elementi
• essenziali
o accidentali
o elementi naturali
o
requisiti
•
La mancanza di un elemento essenziale determina la nullità dell'atto amministrativo, mentre la mancanza di un requisito
determina l'annullabilità dell'atto, cioè la possibilità che sia annullato, su istanza di parte d'ufficio da parte della
Pubblica Amministrazione.
Gli elementi accidentali si possono applicare soltanto agli atti amministrativi negoziali; infatti rispetto agli atti
amministrativi gli elementi accidentali non hanno ragion d'essere (si pensi, ad esempio, all'assurdo di una certificazione
di nascita sottoposta a condizione sospensiva).
Gli elementi accidentali devono essere possibili e leciti. Gli elementi accidentali illeciti o impossibili non comportano la
nullità o l'annullabilità dell'atto amministrativo, ma si considerano come non apposti.
Gli elementi naturali sono quegli elementi che si considerano sempre inseriti nell'atto, anche se non apposti
espressamente, in quanto previsti dalla legge per il tipo astratto di atto.
Elementi essenziali
Sono elementi essenziali dell'atto amministrativo:
la capacità del soggetto che emana l'atto
• la dichiarazione
• l'oggetto, ossia la su cui l'atto amministrativo incide
res
• causa
la
• la motivazione
• la forma
• Il destinatario
•
Capacità del soggetto
Il soggetto che emana l'atto amministrativo deve avere la capacità, ovvero la competenza, ad emanarlo. Se l'atto è
emanato da un soggetto che non è organo della pubblica amministrazione, non si è in presenza di un atto
amministrativo.
In casi particolari espressamente previsti dalla legge, l'attività posta in essere da un privato può qualificarsi come
amministrativa e ci si riferisce al privato come ad un un esempio è il caso di un cittadino che in
funzionario di fatto;
presenza di catastrofi naturali svolga volontariamente attività di natura pubblica.
Dichiarazione
La dichiarazione è l'atto con cui la Pubblica Amministrazione rende conoscibile al suo esterno la propria volontà. In
alcuni casi il silenzio può assumere la valenza di una dichiarazione di volontà come per il silenzio-assenso o il silenzio-
rifiuto.
Causa
La causa è la finalità tipica di pubblico interesse prevista dall'ordinamento per l'atto.
Ad esempio, la causa dell'espropriazione consiste nel trasferimento coattivo del bene da un privato alla Pubblica
Amministrazione, dietro il corrispettivo di un indennizzo.
Alla pubblica amministrazione non è attribuito un generico potere di porre in essere tutti quegli atti che realizzino
l'interesse pubblico; al contrario sono attribuiti tanti poteri specifici, ciascuno dei quali realizza uno specifico interesse
pubblico, rappresentato dalla causa.
Motivazione
La motivazione si collega sia alla dichiarazione che alla forma dell'atto amministrativo.
Per l'articolo 3 della legge 241 del 1990, ad esclusione degli atti normativi e di quelli a contenuto generale, deve
riportare:
i presupposti di fatto
• le ragioni giuridiche che hanno determinato le ragioni dell'amministrazione
•
La motivazione non può consistere in una formula stereotipata o generica, come ad esempio per motivi di servizio.
Ovviamente è superflua, e quindi non è necessaria, la motivazione in un atto di mera certificazione (es. un certificato di
nascita) o in un atto che sia cioè che la Pubblica Amministrazione è obbligata, per disposizione di legge, a
dovuto,
rilasciare.
Per il vero, sebbene alcune trattazioni manualistiche indichino nella motivazione uno degli elementi essenziali dell'atto
amministrativo, questa affermazione è discutibile. Contro la sua fondatezza milita, innanzitutto, il fatto che la
motivazione è richiesta dalla legge per i soli provvedimenti amministrativi (e non per tutti gli atti). In secondo luogo, la
mancanza di uno degli elementi essenziali (anche a mente dell'art. 21 septies della legge 7 agosto 1990, n. 241) è causa
di nullità dell'atto. Invece, la mancanza o l'insufficienza della motivazione è causa di annullabilità. Per queste
considerazioni, dunque, è più corretto sostenere che la motivazione è un elemento necessario alla validità di tutti i
provvedimenti amministrativi, ma non un elemento essenziale. Quanto agli atti amministrativi non provvedimentali, la
motivazione - sulla base dei principi tradizionali affermati dalla giurisprudenza - sembra essere dovuta per le
dichiarazioni di scienza o di conoscenza ove essi comportino una qualificazione giuridica o discrezionale dei fatti
accertati (ad. es., per gli atti ispettivi). La motivazione è dovuta, inoltre, per gli atti non provvedimentali di natura
discrezionale.
Forma
La forma è un elemento che si lega alla dichiarazione, determinato per legge. Nel diritto amministrativo la forma degli
atti è tendenzialmente libera, potendo l'atto amministrativo rivestire sia la forma scritta (es. un verbale) sia la forma
orale (es. un atto iussivo) sia la forma simbolica o per immagini (es. un segnale stradale, che dai più si ritiene essere un
atto di natura iussiva). In genere è la legge che stabilisce quale forma l'atto debba assumere, in ossequio ai principi di
tipicità e nominatività degli atti. In difetto, occorre valutare il grado di incidenza dell'atto sulle situazioni giuridiche dei
destinatari e la natura degli interessi in gioco, richiedendosi preferibilmente la forma scritta nel caso di provvedimenti
limitativi della sfera giuridica altrui.
Se la forma è essenziale, la sua violazione comporta, di regola, l'annullabilità dell'atto ed il relativo vizio è quello della
violazione di legge. Se si ritiene peraltro che la forma sia un elemento costitutivo all'atto, la sua mancanza comporta la
nullità dell'atto. Se invece la violazione attiene ad un aspetto meramente formale, che non incide sugli elementi
essenziali, allora il vizio può essere sanato mediante autocorrezione (es., in caso di mera irregolarità) ovvero mediante il
principio del raggiungimento dello scopo.
Destinatario
È l’organo pubblico o il soggetto privato nei cui confronti si producono gli effetti del provvedimento. Il destinatario
deve essere determinato o determinabile: la sua mancanza determina la nullità dell’atto, l’errata individuazione
comporta l’annullabilità.
Elementi accidentali
Sono elementi accidentali:
il termine; che indica il giorno dal quale l'atto deve iniziare a produrre gli effetti
• la condizione; che è un fatto futuro incerto
• il modo
• la riserva, allorché la pubblica amministrazione nel provvedere su una data materia, si riserva di adottare
• future determinazioni in ordine all'oggetto stesso
Termine
Il termine rappresenta un avvenimento e a partire dal quale (è il c.d. termine iniziale) o fino al quale (è il
futuro certo
c.d. termine finale) l'atto avrà efficacia. Il termine può essere posto discrezionalmente solo agli atti per i quali la legge
non prescrive diversamente; infatti è la legge stessa che prevede l'apposizione di un termine.
Condizione
La condizione rappresenta un avvenimento ed
futuro incerto.
Può trattarsi di una condizione per cui gli effetti dell'atto si realizzano al verificarsi dell'avvenimento, o di
sospensiva,
una condizione per cui gli effetti dell'atto cessano al verificarsi dell'avvenimento. La condizione può essere
risolutiva,
apposta a tutti gli atti discrezionali di amministrazione attiva e a quelli di controllo ma non può essere apposta agli atti
consultivi.
Modo
Il modo può essere apposto ad un atto amministrativo solo nei casi previsti dalla legge; ad esempio la licenza di guida
può comportare un modo (l'uso degli occhiali) per il privato.
Requisiti
I requisiti sono le componenti che incidono sulla validità e sull'efficacia dell'atto e quindi si distinguono in:
requisiti di leggittimità, la cui mancanza comporta l'annullabilità dell'atto
• requisiti di efficacia, necessari invece perché l'atto produca concretamente i suoi effetti
•
I requisiti di legittimità sono i requisiti che la legge richiede perché l'atto amministrativo, oltre che esistente, sia valido
cioè legittimo; la loro mancanza perciò è un vizio e comporta l'illegittimità dell'atto.
Classificazione
In genere si distingue tra la categoria dei provvedimenti amministrativi ed una categoria residuale di atti che non ricade
nella prima.
Provvedimenti amministrativi
• Autorizzazioni
o Licenze
o Concessioni, tra cui una forma particolare è il Permesso di costruire
o Ordini
o Atti ablativi
o
Atti che non sono Provvedimenti amministrativi
• Pareri
o Atti di controllo
o Atti propulsivi
o Atti ricognitivi
o Atti paritetici
o
Efficacia
L'efficacia è la qualità dell'atto amministrativo di poter validamente produrre gli effetti per i quali è stato posto in
essere.
L'atto in quanto prodotto dalla Pubblica Amministrazione per finalità di pubblico
amministrativo,
interesse è produttivo di effetti indipendentemente, ma anche contro, la volontà del soggetto, o dei
soggetti, interessato dall'atto.
In base alla loro efficacia gli atti amministrativi si distinguono in:
atti costitutivi, che creano, modificano od estinguono un rapporto giuridico pre-esistente
• atti dichiarativi, che si limitano ad accertare una data situazione senza influire su di essa
•
Nella generalità dei casi gli atti amministrativi hanno efficacia, e quindi operano, dal momento in
cui sono posti in essere (normalmente ci si riferisce a questo momento come alla fase decisoria).
Per disposizione di legge o della stessa amministrazione gli atti amministrativi possono però avere
efficacia cioè hanno efficacia a partire da un periodo futuro. Rispetto all'efficacia dell'atto
differita,
amministrativo si riporta la pronuncia del Consiglio di Stato sez. VI, 7 agosto 2002, n. 4126 che
recita:
« I provvedimenti amministrativi hanno carattere costitutivo e producono effetti a decorrere dalla
data della loro emanazione, con la sola eccezione dei casi in cui una norma disponga diversamente
(perché richiede il superamento di un controllo preventivo di legittimità ovvero la notifica dell'atto
al suo destinatario), oppure dei casi in cui un obbligo di fare (ad esempio imposto con un
provvedimento contingibile ed urgente) divenga concretamente esigibile a seguito della sua
»
comunicazione al destinatario.
Generalmente ci si riferisce ai casi in cui l'atto amministrativo diviene efficace in un momento
successivo a quello in cui è stato deliberato dal'organo che ne aveva la competenza, come agli atti
che necessitano di un'ulteriore fase, che è la fase integrativa dell'efficacia.
Invalidità
Un atto amministrativo può essere invalido perché contrario a norme giuridiche, e allora si tratta di un atto
oppure perché è contrario al principio costituzionale della (art. 97
amministrativo illegittimo, buona amministrazione
della costituzione), è allora si tratta di un atto amministrativo inopportuno.
L'atto illegittimo può essere viziato in modo più o meno grave, dando luogo a due categorie di invalidità degli atti
amministrativi: gli atti nulli e gli atti annullabili. Un atto amministrativo è se:
nullo
c'è (colui che ha emanato l'atto non aveva potere di farlo);
incompetenza assoluta
• manca uno degli elementi essenziali (inesistenza o indeterminabilità del soggetto o dell'oggetto, illegittimità
• del contenuto, mancanza di finalità intesa come interesse pubblico, eccetera).
Mentre un atto amministrativo risulta quando:
annullabile
c'è (l'organo che ha emanato l'atto è competente, ma non colui che se ne è occupato
incompetenza relativa
• ad esempio perché inferiore gerarchicamente a chi ne aveva il potere);
c'è (l'atto va contro una legge dello Stato);
violazione di legge
• c'è (disparità di trattamento, illogicità della motivazione, disparità di trattamento, ingiustizia
eccesso di potere
• manifesta, eccetera).
Per parte della dottrina esiste una terza categoria di invalidità degli atti amministrativi: quella degli atti amministrativi
inesistenti.
49-ATTIVITA’ DEL CONSIGLIO DI STATO
Consiglio di Stato (Italia)
Il è un Organo di rilievo costituzionale della Repubblica Italiana, previsto
Consiglio di Stato
dall'articolo 100 della Costituzione, che lo inserisce tra gli organi ausiliari del Governo, nonché
organo giurisdizionale amministrativo, essendo titolare anche di funzioni giurisdizionali, in
posizione di terzietà rispetto alla Pubblica amministrazione, ai sensi dell'articolo 103 della
Costituzione.
Il Consiglio di Stato ha quindi una doppia natura, una amministrativa e una giurisdizionale.
Quale organo amministrativo il Consiglio di Stato è il supremo organo di consulenza giuridica-
amministrativa dell'Esecutivo, mentre come organo di giurisdizione amministrativa è preposto alla
tutela dei diritti e degli interessi legittimi dei privati nei confronti della Pubblica Amministrazione.
50-AUTONOMIA E DECENTRAMENTO
Solo con la Costituzione si afferma il Principio di decentramento e quello di Autonomia locale, come principi
portanti dell’organizzazione del nuovo Stato (art.5) e il sistema di governo si articola in una struttura
pluralistica che vede accanto allo stato un insieme di enti del governo territoriale (regiorni, province..)cui la
Costituzione stessa nel testo originario, riserva un ambito di governo loro proprio, come espressione
politica delle comunità di riferimento.
Il disegno autonomistico viene completato con la l.cost.n.3/2001 che modifica la Costituzione identificando
la Repubblica in un insieme di ENTI GOVERNATIVI tra loro equiparati e differenziati solo con riferimento alla
comunità rispettivamente amministrata e per la differente dimensione degli interessi coinvolti.
51-AVVISO DI AVVIO DEL PROCEDIMENTO (art.7 L.proc.amm.) (pag 305)
L’avvio del procedimento deve essere comunicato ai soggetti nei confronti dei quali il provvedimento finale
è destinato a produrre effetti diretti ed a quelli che per legge debbono intervenirvi, nonché ai soggetti,
diversi dai diretti destinatari, che siano individuati o individuabili alla cui sfera soggettiva possa derivare un
pregiudizio dal provvedimento finale. (prima del 1990 quest’obbligo non c’era)
C’è un’eccezione all’obbligo di comunicazione:l’utilizzo di POTERI D’URGENZA che consentono
all’amministrazione di intervenire prontamente per evitare il pericolo di un grave danno.
Ci sono anche dei limiti ad esempio quando il procedimento è connesso strettamente ad una precedente
iniziativa dell’amministrazione, già conosciuta dall’interessato o quando l’avvio del procedimento sia stato
attivato ad istanza di parte.
L’inadempimento dell’obbligo di comunicazione costituisce VIZIO DI VIOLAZIONE di legge e comporta la
ILLEGITTIMITA’ del provvedimento finale emanato. Tuttavia detto vizio può essere dedotto solo dal
soggetto nel cui interesse la comunicazione è prevista.
52-COLLEGIALITA’ (pag.183) (pag.18 degli appunti)
UFFICI MONOPERSONALI E UFFICI COLLEGIALI.
Il modulo della collegialità presenta il vantaggio di consentire il confronto diretto e immediato dei diversi
punti di vista; e da luogo ad un risultato deliberativo che è senz’altro frutto di detto conferimento senza
necessità di ulteriori mediazioni o valutazioni comparative.
Con nomina o elezione si crea COLLEGIO in astratto, con la convocazione del Presidente invece si costituisce
in concreto il COLLEGIO.
-QUORUM STRUTTURALI
-COLLEGI PERFETTI (presenza di tutti i membri)
-QUORUM FUNZIONALI
53-COMPETENZA GIUDICE AMMINISTARTIVO
Giustizia amministrativa
Col termine si fa riferimento all’insieme di mezzi che l'ordinamento giuridico predispone a
giustizia amministrativa
tutela delle situazioni giuridiche dei soggetti nei confronti della pubblica amministrazione.
I mezzi così predisposti sono detti in quanto sono posti a tutela dei singoli ed operano per iniziativa
garanzie giustiziali
dei medesimi. Questo li distingue dalle che comprendono i controlli esercitati dal parlamento sul
garanzie politiche,
potere esecutivo, e dalle che comprendono i controlli esercitati d'ufficio sull'operato degli
garanzie amministrative,
organi amministrativi da parte di altri organi amministrativi.
L'esistenza di un sistema di giustizia amministrativa è una delle caratteristiche essenziali dello stato di diritto poiché, in
questo modo, si rende effettiva la sottoposizione della pubblica amministrazione alla legge, secondo il principio di
legalità.
I mezzi di tutela [modifica]
La tutela delle situazioni giuridiche nei confronti della pubblica amministrazione può essere demandata ad un organo
della stessa pubblica amministrazione, adito dal soggetto leso mediante un oppure ad un giudice
ricorso amministrativo,
investito della controversia a seguito dell'esercizio di un'azione da parte del soggetto leso.
Ricorsi amministrativi [modifica]
I ricorsi amministrativi possono essere rivolti allo stesso organo che ha emanato l'atto con il quale è stata lesa la
situazione giuridica (opposizione), al suo superiore gerarchico (ricorso o ad altro organo. In particolare,
gerarchico)
rientrano in quest'ultima categoria i ricorsi agli organi del presenti in alcuni ordinamenti: si
contenzioso amministrativo,
tratta di organi amministrativi collegiali che, peraltro, possono unire alle competenze in materia di ricorsi anche altre
competenza amministrative.
Tutela giurisdizionale [modifica]
È evidente che la tutela giurisdizionale offre maggiori garanzie al soggetto leso rispetto ai ricorsi amministrativi, per la
posizione di terzietà e di indipendenza dal potere esecutivo in cui si trova il giudice. In certi ordinamenti,
principalmente quelli di common law, la tutela nei confronti della pubblica amministrazione è demandata, in linea di
principio, agli stessi giudici competenti per le controversie tra privati (cosiddetto sistema mentre in altri
monistico),
ordinamenti è damandata a giudici speciali (giudici che caratterizzano il cosiddetto sistema
amministrativi, dualistico).
In alcuni degli ordinamenti dove c'è il giudice amministrativo (ad esempio quello francese) sono devoluti allo stesso
tutti i rapporti di cui è parte la pubblica amministrazione, salve le eccezioni stabilite dalla legge. In altri ordinamenti
(Belgio, Paesi Bassi ecc.), invece, sono devolute al giudice amministrativo determinate materie, mentre la competenza
generale rimane al giudice ordinario. L'ordinamento italiano ha adottato un peculiare criterio di ripartizione delle
giurisdizione, imperniato sulla natura della situazione giuridica soggettiva lesa: se è un diritto soggettivo sussiste la
giurisdizione ordinaria, se invece è un interesse legittimo sussiste la giurisdizione amministrativa (questo criterio
generale è peraltro integrato da quello basato sulla materia, nei casi eccezionali di giurisdizione esclusiva).
La giustizia amministrativa in Italia [modifica]
Nel sistema italiano di giustizia amministrativa sono presenti sia i ricorsi amministrativi, sia la tutela giurisdizionale.
I primi sono esperibili innanzi ad organi amministrativi non giurisdizionali e sono, di regola, il ricorso gerarchico
proprio e il ricorso straordinario al Presidente della Repubblica; sono, invece, esperibili nei soli casi previsti dalla legge
il ricorso in opposizione e il ricorso ad altri organi amministrativi (detto ricorso gerarchico improprio).
La tutela giurisdizionale è ripartita, ai sensi dell'articolo 113 Costituzione (Contro gli atti della pubblica
amministrazione è sempre ammessa la tutela giurisdizionale dei diritti e degli interessi legittimi dinanzi agli organi di
giurisdizione ordinaria o amministrativa.Tale tutela giurisdizionale non può essere esclusa o limitata a particolari mezzi
di impugnazione o per determinate categorie di atti. La legge determina quali organi di giurisdizione possono annullare
.
gli atti della pubblica amministrazione nei casi e con gli effetti previsti dalla legge stessa ), fra gli organi di
giurisdizione ordinaria e quelli di giurisdizione amministrativa, secondo il criterio della natura della situazione giuridica
tutelata, di cui si è detto. Sono giudici amministrativi con competenza generale i tribunali amministrativi regionali
(TAR) e il Funzioni giurisdizionali amministrative con competenza per specifiche materie sono
Consiglio di Stato.
attribuite alla e alle provinciali e regionali.
Corte dei conti commissioni tributarie
54-CONFERENZE DI SERVIZI (pag.322 del libro)
La è un istituto della legislazione italiana di semplificazione amministrativa dell'attività della
Conferenza di Servizi
pubblica amministrazione, volta ad acquisire autorizzazioni, atti, licenze, permessi e nulla-osta comunque denominati
mediante convocazione di apposite riunioni collegiali, i cui termini sono espressamente disposti dalla normativa vigente
(Legge 241/90 e s.m.i.).
Le determinazioni della Conferenza di Servizi si sostituiscono alle autorizzazioni finali ed hanno lo scopo di velocizzare
la conclusione di un procedimento amministrativo, ad esclusione di concessioni edilizie, permessi di costruire e DIA.
Libro:La è un modello di istruttoria orale attraverso cui le Amministrazionicoinvolte nel
Conferenza dei servizi
procedimento, anziché esprimersi attraverso atti scritti, vengono invitate dall’Amministrazione procedente intorno ad un
tavolo ad esprimere le loro determinazioni.
E’ un modello procedimentale e non un Ufficio speciale della PA.
Nella FASE ISTRUTTORIA come in quella DECISORIA la produce un’accelerazione ed
Conferenza dei Servizi
un’ottimizzazione dei tempi procedurali contribuendo al Buon andamento dell’amministrazione.
57-DIFFERENZE TRA INDENNIZZO E RISARCIMENTO
Indennizzo
In generale l'indennizzo è il pagamento dovuto ad un soggetto per un pregiudizio da lui subìto che, però, non consegue
ad un atto illecito e, quindi, a responsabilità civile. In ciò l'indennizzo si differenzia dal che è invece
risarcimento,
dovuto per un danno, ossia un pregiudizio conseguente ad atto illecito e come tale fonte di responsabilità civile. Per
questo motivo la situazione di chi è tenuto all'indennizzo è talvolta denominata sebbene
responsabilità da atto lecito,
l'uso del termine "responsabilità", tradizionalmente associata al concetto di illecito, sia in questo caso poco appropriato.
Mentre l'obbligo di risarcimento dei danni cagionati da atto illecito è previsto da una norma generale (nel nostro
ordinamento l'art. 1218 del codice civile per la responsabilità contrattuale e l'art. 2043 c.c. per quella extracontrattuale),
non esiste una norma generale che preveda l'obbligo di indennizzo per pregiudizi da atto lecito, perché gli atti leciti
sono, per definizione, consentiti dall'ordinamento e, come tali, non possono dare luogo a sanzione a carico di chi li
compie. Nondimeno, in alcuni casi l'ordinamento, per motivi di equità, ritiene che chi ha compiuto l'atto, pur lecito,
debba farsi carico di una parte delle conseguenze negative che dallo stesso sono sorte a danno di altri, addossandogli
l'obbligo di indennizzo.
L'esempio più significativo di indennizzo è quello previsto in caso di espropriazione per pubblica utilità: la perdita della
proprietà che deriva dal provvedimento espropriativo è di per sé lecita ma chi beneficia dell'espropriazione (di solito,
ma non necessariamente, una pubblica amministrazione) deve indennizzare il proprietario espropriato per il sacrificio
del suo diritto. Nel nostro ordinamento tale diritto dell'espropriato è riconosciuto a livello costituzionale (art. 42).
RISARCIMENTO E INDENNIZZO:
Il risarcimento del danno consiste nell’‘integrale’ riparazione della lesione subíta in conseguenza di
un’attività ‘antigiuridica’.
L’indennizzo, invece, è la somma di denaro dovuta a titolo di ristoro patrimoniale per riparare
‘parzialmente’ la diminuzione economica subíta dalla parte in conseguenza di un atto ‘lecito’ (diminuzione
che consegue, quindi, a fatti che sacrificano diritti altrui ma che non sono antigiuridici in quanto
autorizzati o imposti da una norma di legge).
In tal senso milita il riferimento all’‘indennizzo’ da parte dell’articolo 42, comma tre, della Costituzione:
«La proprietà privata può essere, nei casi preveduti dalla legge, e salvo indennizzo, espropriata per
motivi di interesse generale».
L’indennizzo (e non il risarcimento) dell’esproprio è una somma di denaro che lo Stato o altro ente
pubblico versa al privato per compensarlo della perdita della proprietà del bene per causa d'interesse
generale (perdita della proprietà in conseguenza di un atto ‘lecito’: l'‘espropriazione’ [per pubblica
utilità]).
58-DIRIGENZA
DIRIGENTE:
In senso generale un è una persona che fa parte del management di un'organizzazione; il termine è, quindi,
dirigente
sinonimo di manager. In senso più specifico il dirigente è il lavoratore preposto alla direzione di un'azienda pubblica o
privata,oppure di una parte di essa, che esplica le sue funzioni con autonomia decisionale, al fine di promuovere,
coordinare e gestire la realizzazione degli obiettivi aziendali. Il dirigente così inteso, pertanto, svolge tipicamente
funzioni manageriali, anche se non tutti coloro che svolgono tali funzioni sono dirigenti.
Amministrazioni pubbliche
Nella pubblica amministrazione italiana un dirigente è un lavoratore dipendente dello stato o altro ente pubblico
incaricato di dirigere un ufficio, anche di notevole complessità. Ad un dirigente possono inoltre essere attribuite
funzioni ispettive, di consulenza, studio e ricerca o la rappresentanza della propria amministrazione in contesti
internazionali.
Dirigente (pubblica amministrazione italiana)
Nella pubblica amministrazione italiana un è un lavoratore dipendente dello stato o altro ente pubblico
dirigente
incaricato di dirigere un ufficio, anche di notevole complessità, assumendo le capacità e i poteri del privato datore di
lavoro. Ad un dirigente possono inoltre essere attribuite funzioni ispettive, di consulenza, studio e ricerca o la
rappresentanza della propria amministrazione in contesti internazionali.
Evoluzione storica
Nelle amministrazioni statali italiane la figura del dirigente fu introdotta con il D.P.R. 748/1972, che creò la nuova
carriera dirigenziale, scindendola da quella In questo modo, per la prima volta nella storia amministrativa
direttiva.
ministeri una figura dotata di attribuzioni proprie, direttamente conferite dalla legge
italiana, venne introdotta nei
(quindi un organo amministrativo in senso proprio), senza necessità di delega da parte del ministro, che superava la
logica organizzativa fortemente accentrata, di ascendenza cavourriana, sulla quale si era fino ad allora basata
l'organizzazione ministeriale. La dirigenza fu articolata in tre qualifiche, in ordine ascendente: primi dirigenti, dirigenti
e In seguito la dirigenza fu estesa anche alle altre amministrazioni pubbliche, pur con una
superiori dirigenti generali.
disciplina non sempre corrispondente a quella statale (ad esempio, negli enti locali i dirigenti erano suddivisi in due sole
qualifiche) e con un ruolo meno incisivo di quello attribuito a quest'ultima. Le menzionate riforme introdussero anche
un nuovo tipo di responsabilità di risultato, la responsabilità dirigenziale, che gravava solo sui dirigenti e che veniva a
differenziarli nettamente dal resto del pubblico impiego.
Il fine ispiratore di dette riforme - separare il momento politico dell'azione amministrativa, affidato agli organi di
governo, da quello tecnico-gestionale, affidato ai dirigenti - non fu tuttavia raggiunto, sia perché gli organi politici
continuarono a mantenere incisivi poteri d'ingerenza sull'operato dei dirigenti, sia perché questi ultimi si mostrarono
piuttosto restii ad esercitare i nuovi poteri, assumendosi le conseguenti responsabilità.
Disciplina attuale
Il sostanziale fallimento delle riforme degli anni '70 spiega perché la nuova stagione di riforme, che ha preso il via con
il D.Lgs. 29/1993, ha posto in primo piano il potenziamento del ruolo dirigenziale.
Separazione tra politica ed amministrazione [modifica]
Uno dei criteri ispiratori della riforma è il enunciato nell'art. 4
principio di separazione tra politica e amministrazione,
del D.Lgs. 165/2001, e che, nelle intenzioni, stabilisce una separazione netta tra politica e gestione.
Secondo tale principio:
"Gli organi di governo esercitano le funzioni di indirizzo politico-amministrativo, definendo gli obiettivi ed i
• programmi da attuare ed adottando gli altri atti rientranti nello svolgimento di tali funzioni, e verificano la
rispondenza dei risultati dell'attività amministrativa e della gestione agli indirizzi impartiti";
"Ai dirigenti spetta l'adozione degli atti e provvedimenti amministrativi, compresi tutti gli atti che impegnano
• l'amministrazione verso l'esterno, nonché la gestione finanziaria, tecnica e amministrativa mediante
autonomi poteri di spesa di organizzazione delle risorse umane, strumentali e di controllo. Essi sono
responsabili in via esclusiva dell'attività amministrativa, della gestione e dei relativi risultati".
Potere di organizzazione delle risorse umane
Il più significativo dei poteri di organizzazione è quello relativo alle risorse umane, attribuito ai dirigenti dall'art. 5 del
D.Lgs. 165/2001, secondo il quale "le determinazioni per l'organizzazione degli uffici e le misure inerenti alla gestione
dei rapporti di lavoro sono assunte dagli organi preposti alla gestione con la capacità e i poteri del privato datore di
lavoro". Nell'esercizio di questo potere, il dirigente è vincolato dalle legge e dagli Questi ultimi sono
atti organizzativi.
atti pubblici (regolamenti, atti amministrativi) adottati dagli organi di governo ai sensi dell'art. 2 del D.Lgs. 165/2001,
secondo il quale "le amministrazioni pubbliche definiscono, secondo principi generali fissati da disposizioni di legge e,
sulla base dei medesimi, mediante atti organizzativi secondo i rispettivi ordinamenti, le linee fondamentali di
organizzazione degli uffici; individuano gli uffici di maggiore rilevanza e i modi di conferimento della titolarità dei
medesimi; determinano le dotazioni organiche complessive".
Qualifica e incarichi dirigenziali
La è stata scissa dall'incarico La prima è ora unica (sebbene articolata, nelle
qualifica dirigenziale dirigenziale.
amministrazioni dello Stato, in due fasce) e viene conferita in modo stabile con il contratto individuale di lavoro, a
seguito di una procedura concorsuale. L'incarico dirigenziale, invece, riguarda lo specifico ufficio al quale il dirigente è
preposto ed è conferito a tempo determinato, con un separato contratto, preceduto da un provvedimento amministrativo;
il conferimento è deciso dall'organo politico o dal dirigente di livello superiore con ampia discrezionalità. Dunque, la
qualifica è solo più un presupposto per il conferimento di incarichi dirigenziali ed, anzi, le norme più recenti hanno
consentito, seppur entro ristretti limiti numerici, il conferimento di tali incarichi anche a dipendenti della pubblica
amministrazione o ad estranei privi di qualifica dirigenziale. D'altra parte, i rapporti di sovraordinazione/subordinazione
tra dirigenti non sono più legati, come in passato, alla qualifica posseduta ma all'incarico di volta in volta ricoperto;
inoltre, nella retribuzione del dirigente la parte correlata alla qualifica, e perciò uguale per tutti (detta trattamento
ha oggi un peso molto minore della parte correlata all'incarico ricoperto (detta
fondamentale), retribuzione di posizione,
alla quale si aggiunge la correlata al grado di conseguimento degli obbiettivi assegnati).
retribuzione di risultato
Bisogna infine aggiungere che non tutti gli incarichi dirigenziali comportano la direzione di un ufficio, infatti secondo
l'art. 19 del D.Lgs. 165/2001 "I dirigenti ai quali non sia affidata la titolarità di uffici dirigenziali svolgono, su richiesta
degli organi di vertice delle amministrazioni che ne abbiano interesse, funzioni ispettive, di consulenza, studio e ricerca
o altri incarichi specifici previsti dall'ordinamento" (sono i cosiddetti dirigenti di staff).
La direttiva n° 10/2007 della Presidenza del Consiglio dei Ministri, Dipartimento per la Funzione Pubblica, tratteggia le
linee guida per l'affidamento e la revoca degli incarichi dirigenziali.
La Corte di Cassazione, con sentenza n° 9814 del 14 aprile 2008, ha stabilito che nel conferimento degli incarichi la PA
è obbligata a valutazioni anche comparative, all’adozione di adeguate forme di partecipazione ai processi decisionali e
ad esternare le ragioni giustificatrici delle scelte, alla luce anche delle clausole generali di correttezza e buona fede
nonché dei principi di imparzialità e di buon andamento di cui all'art. 97 Cost.
Inoltre è generalmente accertata (Cass. 3880/2006) la natura privatistica (non provvedimentale) dell’incarico, che
pertanto non sarebbe espressione di poteri autoritativi, con conseguente sottoposizione alla giurisdizione del Giudice
ordinario.
Infine la Corte di Cassazione, con sentenza 29817 del 19 dicembre 2008, ha ribadito l'esistenza del principio di
turnazione degli incarichi dirigenziali che costituisce il fondamento dell'assegnazione alle mansioni in parola.
Responsabilità dirigenziale
Parallelamente ai più incisivi poteri riconosciuti ai dirigenti è stata rafforzata la ora
responsabilità dirigenziale,
disciplinata dall'art. 21 del D.Lgs. 165/2001.
Il mancato raggiungimento degli obiettivi accertato attraverso le risultanze del sistema di valutazione ovvero
l'inosservanza delle direttive imputabili al dirigente, previa contestazione e ferma restando l'eventuale responsabilità
disciplinare secondo la disciplina contenuta nel contratto collettivo, comportano l'impossibilita' di rinnovo dello stesso
incarico dirigenziale. In relazione alla gravità dei casi, l'amministrazione può inoltre, previa contestazione e nel rispetto
del principio del contraddittorio, revocare l'incarico collocando il dirigente a disposizione dei ruoli ovvero recedere dal
rapporto di lavoro secondo le disposizioni del contratto collettivo.
Al di fuori dei casi precedenti, al dirigente nei confronti del quale sia stata accertata, previa contestazione e nel rispetto
del principio del contraddittorio secondo le procedure previste dalla legge e dai contratti collettivi nazionali, la
colpevole violazione del dovere di vigilanza sul rispetto, da parte del personale assegnato ai propri uffici, degli standard
[1]
quantitativi e qualitativi fissati dall'amministrazione la retribuzione di risultato e' decurtata, sentito il Comitato dei
garanti, in relazione alla gravità della violazione di una quota fino all'ottanta per cento.
La mancata emanazione di provvedimenti amministrativi nei termini costituisce inoltre elemento di valutazione della
responsabilità dirigenziale (Legge 69/2009)
Il rispetto dei termini per la conclusione dei procedimenti rappresenta un elemento di valutazione dei dirigenti; di esso
si tiene conto al fine della corresponsione della retribuzione di risultato.
Le pubbliche amministrazioni e i soggetti privati preposti all’esercizio di attività amministrative sono tenuti al
risarcimento del danno ingiusto cagionato in conseguenza dell'inosservanza dolosa o colposa del termine di conclusione
del procedimento. Le relative controversie sono attribuite alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo e il
diritto al risarcimento del correlato danno si prescrive in cinque anni.
Contrattualizzazione del rapporto di lavoro
Il rapporto di lavoro dei dirigenti con l'amministrazione di appartenenza, così come quello della generalità dei
dipendenti pubblici, è ora un rapporto di diritto privato, instaurato in virtù di un contratto (cosiddetta
o, meno propriamente, del rapporto di lavoro); come tale ricade nella disciplina
contrattualizzazione privatizzazione
generale civilistica del lavoro dipendente per gli aspetti non disciplinati da norme speciali (di fatto piuttosto limitati). È
stata così superata la precedente impostazione che lo delineava come rapporto di diritto pubblico, instaurato e gestito
mediante atti amministrativi. È rimasto di diritto pubblico il rapporto di lavoro di alcune categorie di dipendenti
pubblici: gli appartenenti alla carriera prefettizia e diplomatica, il personale delle forze di polizia ecc. (in un primo
tempo era stato escluso dalla contrattualizzazione anche il rapporto di lavoro dei dirigenti generali).
In conseguenza della contrattualizzazione, anche il rapporto di lavoro dei dirigenti pubblici è ora oggetto di disciplina
da parte della contrattazione collettiva. Ai fini della contrattazione la dirigenza è divisa in otto aree, cui corrispondono i
comparti del pubblico impiego:
I (Aziende, Ministeri),
• II (Regioni ed Autonomie locali),
• III (Sanità - amministrativa, sanitaria, tecnica e professionale),
• IV (Sanità - medica e veterinaria),
• V (Scuola),
• VI (Agenzie fiscali, Enti pubblici non economici),
• VII (Ricerca, Università ),
• VIII (Presidenza del Consiglio dei Ministri)
•
alle quali si aggiunge l'area che raggruppa gli enti cd. ex art. 70 D.Lgs. 165/2001 (CNEL, ENEA, CONI, ENAC, EUR
etc.)
Risultati delle riforme
Con le riforme degli anni '90, si è realizzata, almeno sulla carta, una netta separazione di funzioni tra organi politici e
dirigenti, tanto che, secondo molti giusamministrativisti, l'esercizio di funzioni gestionali da parte dei primi
configurerebbe un'ipotesi di incompetenza assoluta, alla quale consegue la nullità dell'atto. Inoltre è venuto meno il
tradizionale rapporto gerarchico che legava il vertice politico dell'amministrazione (ministro, sindaco ecc.) ai dirigenti,
sostituito da un più tenue rapporto di in virtù del quale l'organo di governo può emanare
direzione politica, direttive,
che indicano al dirigente gli obiettivi da perseguire ed eventualmente i criteri ai quali attenersi, ma non può più emanare
che invece vincolano in modo puntuale il comportamento del destinatario.
ordini,
Va peraltro osservato che l'evoluzione verso la separazione tra politica e gestione è stata, nella pratica, grandemente
ostacolata da una certa cultura, tuttora vigente nella nostra pubblica amministrazione, che vede, da una parte, i politici
assai restii a privarsi dei loro poteri e, dall'altra, i dirigenti non sempre propensi ad assumersi nuove responsabilità e a
rivendicare il loro ruolo di autonomia. Inoltre l'ampia discrezionalità ora attribuita agli organi politici in merito
all'attribuzione e alla revoca degli incarichi dirigenziali nonché, in certi casi, allo stesso reclutamento dei dirigenti in
deroga al principio costituzionale del pubblico concorso, ha finito per introdurre nel sistema italiano elementi di spoils
system e accentuare il legame fiduciario tra politici e dirigenti, minacciando l'imparzialità e professionalità di questi
ultimi.
Funzioni
Amministrazioni statali
La qualifica dirigenziale è unica, ma articolata, nelle amministrazioni dello Stato, in due fasce: sono collocati nella
prima fascia i dirigenti cui è attribuita la responsabilità di direzione di un ufficio dirigenziale generale; sono collocati
nella seconda fascia i dirigenti cui è attribuita la responsabilità di direzione di un ufficio dirigenziale non generale.
Compiti e funzioni dei dirigenti delle amministrazioni statali sono elencati negli artt. 16 e 17 del D.Lgs. 165/2001.
Dirigenti generali
L'art. 16 del D.Lgs. 165/2001 si occupa dei (direzioni generali e uffici equiparati)
dirigenti di uffici dirigenziali generali
stabilendo che "I dirigenti di uffici dirigenziali generali, comunque denominati, nell'ambito di quanto stabilito
dall'articolo 4 esercitano, fra gli altri, i seguenti compiti e poteri:
a) formulano proposte ed esprimono pareri al Ministro nelle materie di sua competenza;
• a bis) propongono le risorse e i profili professionali necessari allo svolgimento dei compiti dell’ufficio cui sono
• preposti anche al fine dell’elaborazione del documento di programmazione triennale del fabbisogno di
personale;
b) curano l'attuazione dei piani, programmi e direttive generali definite dal Ministro e attribuiscono ai
• dirigenti gli incarichi e la responsabilità di specifici progetti e gestioni; definiscono gli obiettivi che i dirigenti
devono perseguire e attribuiscono le conseguenti risorse umane, finanziarie e materiali;
c) adottano gli atti relativi all'organizzazione degli uffici di livello dirigenziale non generale;
• d) adottano gli atti e i provvedimenti amministrativi ed esercitano i poteri di spesa e quelli di acquisizione
• delle entrate rientranti nella competenza dei propri uffici, salvo quelli delegati ai dirigenti;
e) dirigono, coordinano e controllano l'attività dei dirigenti e dei responsabili dei procedimenti
• amministrativi, anche con potere sostitutivo in caso di inerzia, e propongono l'adozione, nei confronti dei
dirigenti, delle misure previste dall'articolo 21;
f) promuovono e resistono alle liti ed hanno il potere di conciliare e di transigere, fermo restando quanto
• disposto dall'articolo 12, comma 1, della legge 3 aprile 1979, n. 103;
g) richiedono direttamente pareri agli organi consultivi dell'amministrazione e rispondono *ai rilievi degli
• organi di controllo sugli atti di competenza;
h) svolgono le attività di organizzazione e gestione del personale e di gestione dei rapporti sindacali e di
• lavoro;
i) decidono sui ricorsi gerarchici contro gli atti e i provvedimenti amministrativi non definitivi dei dirigenti;
• l) curano i rapporti con gli uffici dell'Unione europea e degli organismi internazionali nelle materie di
• competenza secondo le specifiche direttive dell'organo di direzione politica, sempreché tali rapporti non
siano espressamente affidati ad apposito ufficio o organo;
l bis) concorrono alla definizione di misure idonee a prevenire e contrastare i fenomeni di corruzione e a
• controllarne il rispetto da parte dei dipendenti dell’ufficio cui sono preposti."
Il comma 5 del medesimo articolo aggiunge che: "Gli ordinamenti delle amministrazioni pubbliche al cui vertice è
segretario generale, capo dipartimento o altro dirigente comunque denominato, con funzione di
preposto un
coordinamento di uffici dirigenziali di livello generale, ne definiscono i compiti ed i poteri."
Gli atti e i provvedimenti adottati dai dirigenti preposti al vertice dell'amministrazione e dai dirigenti di uffici
dirigenziali generali non sono suscettibili di ricorso gerarchico.
Dirigenti giudiziari
Con il DECRETO LEGISLATIVO 25 Luglio 2006, n. 240 avente ad oggetto “ Individuazione delle competenze dei
magistrati capi e dei dirigenti amministrativi degli uffici giudiziari”, si e’ tentata una divisione dei compiti tra magistrati
a capo degli uffici giudiziari (presidenti di Tribunale o Procuratori della Repubblica) ed i Dirigenti Amministrativi degli
stessi uffici, personale non togato dipendente organicamente dal Ministero della Giustizia – Dipartimento
dell’Organizzazione Giudiziaria.
Si e’ cosi chiarito che “sono attribuite al magistrato capo dell’ufficio giudiziario la titolarita’ e la rappresentanza
dell’ufficio, nei rapporti con enti istituzionali e con i rappresentanti degli altri uffici giudiziari, nonché la competenza ad
adottare i procedimenti necessari per l’organizzazione dell’attivita’ giudiziaria e, comunque, concernenti la gestione del
personale di magistratura ed il suo stato giuridico”, mentre al dirigente amministrativo spettano la gestione delle risorse
umane, finanziarie e strumentali.
Ogni anno i due soggetti sono tenuti a redigere concordemente un programma delle attivita’ da svolgersi nel corso
dell’anno.
La riforma non ha tuttavia prodotto tutti i suoi effetti sia per la resistenza dei magistrati a spogliarsi dei propri compiti
amministrativi, anche se suscettibili di interferire con l’esercizio della giurisdizione, sia per la mancata attuazione delle
Direzioni Regionali dell’Organizzazione Giudiziaria.
Amministrazioni non statali
Quanto alle amministrazioni non statali, l'art. 27 del D.Lgs 165/2001 stabilisce che: "Le regioni a statuto ordinario,
nell'esercizio della propria potestà statutaria, legislativa e regolamentare, e le altre pubbliche amministrazioni,
nell'esercizio della propria potestà statutaria e regolamentare, adeguano ai princìpi dell'articolo 4 e del presente capo
[contenente i citati art. 16 e 17] i propri ordinamenti, tenendo conto delle relative peculiarità". Va peraltro notato che la
distinzione tra dirigenti di uffici dirigenziali generali e altri dirigenti non è presente in tutte le amministrazioni non
statali.
Un'elencazione delle funzioni dirigenziali è altresì contenuta, per i comuni, le province e gli enti locali assimilati, nel
D.Lgs. 18 agosto 2000, n. 267 (Testo unico delle leggi sull'ordinamento degli enti locali) il quale all'art. 107, comma 3,
stabilisce che: "Sono attribuiti ai dirigenti tutti i compiti di attuazione degli obiettivi e dei programmi definiti con gli atti
di indirizzo adottati dai medesimi organi [ossia organi di governo dell'ente], tra i quali in particolare, secondo le
modalità stabilite dallo statuto o dai regolamenti dell'ente:
a) la presidenza delle commissioni di gara e di concorso;
• b) la responsabilità delle procedure d'appalto e di concorso;
• c) la stipulazione dei contratti;
• d) gli atti di gestione finanziaria, ivi compresa l'assunzione di impegni di spesa;
• e) gli atti di amministrazione e gestione del personale;
• f) i provvedimenti di autorizzazione, concessione o analoghi, il cui rilascio presupponga accertamenti e
• valutazioni, anche di natura discrezionale, nel rispetto di criteri predeterminati dalla legge, dai regolamenti,
da atti generali di indirizzo, ivi comprese le autorizzazioni e le concessioni edilizie;
g) tutti i provvedimenti di sospensione dei lavori, abbattimento e riduzione in pristino di competenza
• comunale, nonché i poteri di vigilanza edilizia e di irrogazione delle sanzioni amministrative previsti dalla
vigente legislazione statale e regionale in materia di prevenzione e repressione dell'abusivismo edilizio e
paesaggistico-ambientale;
h) le attestazioni, certificazioni, comunicazioni, diffide, verbali, autenticazioni, legalizzazioni ed ogni altro atto
• costituente manifestazione di giudizio e di conoscenza;
i) gli atti ad essi attribuiti dallo statuto e dai regolamenti o, in base a questi, delegati dal sindaco."
•
L'art. 109 del D.Lgs. 267/2000 precisa poi che: "Nei comuni privi di personale di qualifica dirigenziale le funzioni di
cui all'articolo 107 ... possono essere attribuite, a seguito di provvedimento motivato del sindaco, ai responsabili degli
uffici o dei servizi, indipendentemente dalla loro qualifica funzionale, anche in deroga a ogni diversa disposizione."
Forma degli atti
È invalso l'uso di denominare (spesso nella prassi abbreviato in "determina") il provvedimento adottato
determinazione
dal dirigente nella sua qualità di organo dell'amministrazione, sebbene tale uso non sia omogeneo tra le varie
amministrazioni (in alcune - tra le quali le amministrazioni statali - si usa la denominazione in
decreto dirigenziale;
altre si usa il termine generico "provvedimento").
Delega di funzioni dirigenziali e vicedirigenza
L'art. 17, comma 1 bis, del D.Lgs. 165/2001 (inserito dalla L. 145/2002) prescrive che i dirigenti non generali, per
specifiche e comprovate ragioni di servizio, possono delegare per un periodo di tempo determinato, con atto scritto e
motivato, alcune delle competenze comprese nelle funzioni di cui alle lettere b), d), ed e) del comma 1 dell’art. 17
(escluse, quindi, quelle ad essi delegate dai dirigenti generali) a dipendenti che ricoprano le posizioni funzionali più
elevate nell’ambito degli uffici ad essi affidati. Il tal caso non trova applicazione l’art. 2103 del codice civile; il
delegato, quindi, non potrà rivendicare alcun diritto ad un superiore inquadramento, in conseguenza dell’esercizio delle
funzioni delegate, anche prolungato nel tempo, come invece previsto per i lavoratori privati.
Con questa disposizione si vuole fare fronte a quella "saturazione gestionale" che rischia in alcuni casi di soffocare la
dirigenza, facilitando la trasformazione del dirigente pubblico in un moderno soggetto manageriale, ossia un
programmatore, gestore di risorse e processi e controllore dei relativi flussi, più che un diretto produttore di atti.
La stessa ratio è sottesa all'art. 17 bis del D.Lgs. 165/2001 (parimenti introdotto dalla L. 145/2002), che stabilisce: "La
contrattazione collettiva del comparto Ministeri disciplina l’istituzione di un’apposita area della nella
vice dirigenza
quale è ricompreso il personale laureato appartenente alle posizioni C2 e C3, che abbia maturato complessivamente
cinque anni di anzianità in dette posizioni o nelle corrispondenti qualifiche VIII e IX del precedente ordinamento. In
sede di prima applicazione la disposizione di cui al presente comma si estende al personale non laureato che, in
possesso degli altri requisiti richiesti, sia risultato vincitore di procedure concorsuali per l’accesso alla ex carriera
direttiva anche speciale". In questo modo si vuole evidentemente a creare nell'amministrazione pubblica una figura
professionale analoga a quella dei quadri del settore privato.
La norma, non ancora attuata, ha sollevato dubbi sulla legittimità della soluzione adottata dal legislatore. L’art. 17 bis,
infatti, invece di introdurre direttamente la categoria della vice dirigenza, ne "delega" il compito alla contrattazione
collettiva, che però non è libera di individuare chi deve confluire nell’area, dovendosi conformare alla soluzione dettata
dal legislatore, che ha fissato puntualmente l'ambito soggettivo di identificazione degli appartenenti alla nuova area
contrattuale. Verrebbe così leso il principio che attribuisce alla contrattazione collettiva una competenza esclusiva in
tema di inquadramento.
L'art. 17 bis norma stabilisce che "I dirigenti possono delegare ai vice dirigenti parte delle competenze di cui all’art.
17". Mentre il comma 1 bis dell'art. 17, pur sancendo un ambito di delega più limitato, è immediatamente applicabile, la
delega di compiti alla vice dirigenza è subordinata ad una previsione collettiva che introduca la categoria; questa, d'altra
parte, ha carattere di stabilità e permanenza, laddove la delega prevista dal comma 1 bis dell'art. 17 ha una durata
limitata e transitoria. Ancora non appare chiaro quale siano i poteri delegabili ai vice dirigenti, ed in particolare, se i
dirigenti di seconda fascia possano delegare i compiti ad essi già delegati da parte dei dirigenti generali: la sub-delega,
per principio generale non è ammessa in assenza di una legge che non la consenta espressamente. Né tanto meno è
chiaro a quali vice-dirigenti possano essere delegati poteri gestori e soprattutto in applicazione di quali criteri.
Accesso alla qualifica dirigenziale
Condizioni imprescindibili per l'accesso ad una posizione di dirigente pubblico sono il possesso di un diploma di laurea
e di un'adeguata esperienza lavorativa. Il reclutamento può avvenire secondo diverse modalità.
Reclutamento per concorso
L’accesso alla qualifica di dirigente di ruolo nelle amministrazioni statali è disciplinato dall’ art. 28 del D.Lgs.
165/2001 ed avviene normalmente per concorso per esami bandito dalle singole amministrazioni oppure per corso-
concorso selettivo di formazione bandito dalla Scuola Superiore della Pubblica Amministrazione.
Al possono essere ammessi:
concorso per esami
i dipendenti di ruolo delle pubbliche amministrazioni, muniti di laurea, che abbiano compiuto almeno 5 anni
• di servizio in posizioni funzionali per l’accesso alle quali è richiesto il possesso del diploma di laurea (per i
dipendenti delle amministrazioni statali reclutati a seguito di corso-concorso, il periodo di servizio è ridotto a
quattro anni);
i soggetti in possesso della qualifica di dirigente in enti e strutture pubbliche, muniti del diploma di laurea,
• che abbiano svolto per almeno due anni funzioni dirigenziali;
coloro che hanno ricoperto incarichi dirigenziali o equiparati in amministrazioni pubbliche per un periodo non
• inferiore a cinque anni, purché muniti di diploma di laurea;
i cittadini italiani, forniti di idoneo titolo di studio universitario, che hanno maturato, con servizio
• continuativo per almeno quattro anni presso enti od organismi internazionali, esperienze lavorative in
posizioni funzionali apicali per l’accesso alle quali è richiesto il possesso del diploma di laurea.
Al possono essere ammessi, a seguito di apposita selezione:
corso-concorso
soggetti muniti di laurea nonché di uno dei seguenti titoli: laurea specialistica, diploma di specializzazione,
• dottorato di ricerca, o altro titolo post-universitario rilasciato da istituti universitari italiani o stranieri, ovvero
da primarie istituzioni formative pubbliche o private (riconosciute con decreto del Presidente del Consiglio
dei Ministri);
dipendenti di ruolo delle pubbliche amministrazioni, muniti di laurea, che abbiano compiuto almeno cinque
• anni di servizio, svolti in posizioni funzionali per l'accesso alle quali è richiesto il possesso del diploma di
laurea;
dipendenti di strutture private, collocati in posizioni professionali equivalenti a quelle che consentono ai
• dipendenti pubblici l'accesso al concorso per esami, se sono muniti del diploma di laurea e hanno maturato
almeno cinque anni di esperienza lavorativa in tali posizioni professionali all'interno delle strutture stesse.
Gli ammessi al corso-concorso seguono un corso della durata di dodici mesi, seguito, previo superamento di esame, da
un semestre di applicazione presso amministrazioni pubbliche o private. Al termine, i candidati sono sottoposti ad un
esame-concorso finale. Ai partecipanti al corso e al periodo di applicazione è corrisposta una borsa di studio.
Invece, i vincitori dei concorso per esami, anteriormente al conferimento del primo incarico dirigenziale, frequentano
un ciclo di attività formative organizzato dalla Scuola superiore della pubblica amministrazione (che può anche
comprendere l'applicazione presso amministrazioni italiane e straniere, enti o organismi internazionali, istituti o aziende
pubbliche o private).
Uno speciale corso concorso è altresì previsto per il reclutamento dei dirigenti scolastici. Secondo l'art. 29 del D.Lgs.
165/2001 "Al corso concorso è ammesso il personale docente ed educativo delle istituzioni statali che abbia maturato,
dopo la nomina in ruolo, un servizio effettivamente prestato di almeno sette anni con possesso di laurea, nei rispettivi
settori formativi".
Il Corso Concorso di Formazione Dirigenziale presso la SSPA si caratterizza per la sua estrema selettività, al punto che
non sono mai stati coperti tutti i posti messi a bando. Al primo corso-concorso, svoltosi tra il 1997 e il 1999 i
concorrenti all'ammissione furono oltre 20.000; partecipanti alle prove preselettive culturali ed attitudinali, circa 8000;
ammessi alle prove scritte (due, scelte a sorpresa il giorno delle prove, tra nove materie giuridiche, economiche e
sociali) circa 700; ammessi alle prove orali (una quindicina di materie) circa 100; ammessi al corso 95; idonei, alla fine
del corso, una ottantina.
L'accesso alla qualifica dirigenziale nelle amministrazioni non statali avviene con modalità analoghe alle
amministrazioni statali, anche se raramente è previsto il corso-concorso.
Assunzione diretta
Un'ulteriore fattispecie di reclutamento, non subordinato all'esperimento del concorso per esami oppure al corso-
concorso, è prevista dall'art. 19 del D.lgs. 165/2001. In base a tale disposizione ciascuna amministrazione, entro
determinati limiti, può conferire incarichi dirigenziali a soggetti esterni, individuati tra:
chi non appartiene ai ruoli dell’amministrazione chiamante ma è già dirigente presso altra pubblica
• amministrazione "contrattualizzata", ovvero di organi costituzionali, previo collocamento fuori ruolo,
comando o analogo provvedimento;
chi, anche non dirigente, sia in possesso di particolare e comprovata qualificazione professionale e
• abbia svolto attività in organismi ed enti pubblici o privati ovvero aziende pubbliche o private con
o esperienza acquisita per almeno un quinquennio in funzioni dirigenziali, o
abbia conseguito una particolare specializzazione professionale, culturale o scientifica desumibile
o dalla formazione universitaria e post universitaria, da pubblicazioni scientifiche o da concrete
esperienze di lavoro maturate, anche presso amministrazioni statali, in posizioni funzionali previste
per l’accesso alla dirigenza, o docenza universitaria, delle magistrature e dei ruoli degli
provenga da settori di ricerca, della
o avvocati e dei procuratori dello Stato.
Tali incarichi sono a tempo determinato e non possono comunque eccedere il termine di cinque anni.
Nel caso di dirigenti provenienti da altre amministrazioni il limite è del 10% della dotazione organica dei dirigenti
appartenenti alla prima fascia e del 5% della dotazione organica di quelli appartenenti alla seconda fascia. Invece, nel
caso di dirigenti provenienti dall'esterno, il limite è del 10% della dotazione organica dei dirigenti appartenenti alla
prima fascia e dell’8% della dotazione organica di quelli appartenenti alla seconda fascia.
Ai dirigenti incaricati può essere riconosciuta, oltre al normale trattamento economico una indennità commisurata alla
specifica qualificazione professionale, tenendo conto della temporaneità del rapporto e delle condizioni di mercato
relative alle specifiche competenze professionali.
Il Consiglio di Stato nell'Adunanza della Commissione speciale pubblico impiego del 27 febbraio 2003 ha fornito tre
importanti indicazioni per la corretta applicazione della norma, stabilendo che:
gli enti pubblici diversi dallo Stato possano conferire incarichi a soggetti esterni ai sensi del comma 6 dell’art.
• 19 solo a seguito dell’adozione di appositi regolamenti di organizzazione che ai sensi dell’art. 27 del D.Lgs.
165/2001 recepiscano i contenuti delle norme dettate per la dirigenza statale;
gli incarichi dirigenziali ai sensi del comma 6, dell’art. 19, possono essere conferiti solo a soggetti esterni
• all’amministrazione che intende conferirli;
le percentuali stabilite dal comma 6 dell’art. 19 sono inderogabili.
•
L'individuazione dei soggetti idonei a ricoprire l’incarico è del tutto discrezionale ed è subordinata unicamente
all'impossibilità di reperire le speciali professionalità nell'ambito della dirigenza di ruolo: non occorre operare una
comparazione valutativa (concorso) in capo a più soggetti astrattamente idonei a ricoprire l’incarico. Si ritiene
sufficiente la verifica della sussistenza dei requisiti indicati dalla legge in capo al soggetto cui si intende conferire
l’incarico. Tale eccessiva discrezionalità ha dato quindi luogo a frequenti abusi.
La mobilità dirigenziale tra settore pubblico e privato
La L. 145/2002 (agli artt. 7, 8, 9) consente, secondo modalità differenziate, l’utilizzo di dirigenti pubblici presso enti e
organismi pubblici e privati diversi dall'amministrazione di appartenenza.
I dirigenti delle pubbliche amministrazioni (nonché gli appartenenti alla carriera diplomatica e prefettizia e,
limitatamente agli incarichi pubblici, anche i magistrati ordinari, amministrativi e contabili e gli avvocati e i procuratori
dello Stato) possono essere collocati in aspettativa senza assegni, per lo svolgimento di attività presso soggetti e
organismi, pubblici o privati, anche operanti in sede internazionale. (comma 1, art 23 bis D.Lgs. 165)
Vengono più precisamente individuate due ipotesi di "mobilità":
il collocamento in aspettativa, a domanda dell'interessato, per lo svolgimento di attività presso soggetti
• privati o pubblici;
l' assegnazione temporanea di personale presso imprese private, disposta direttamente dall'amministrazione,
• sempre con il consenso dell’interessato.
La prima dà al dipendente la possibilità di compiere una diversa esperienza lavorativa presso altra amministrazione o
soggetti privati.
La seconda, invece, risponde prevalentemente ad un interesse dell'amministrazione, fatto proprio nei "singoli progetti di
interesse specifico" che giustificano l’assegnazione.
59-DISCREZIONALITA’ TECNICA
Di regola l’attività discrezionale della P.A. può essere oggetto, in sede giurisdizionale, soltanto di un
“sindacato estrinseco” (circoscritto cioè alla verifica della conformità del provvedimento amministrativo, frutto
dell’attività della P.A., a quei limiti generali del potere discrezionale, la cui inosservanza comporta l’illegittimità
del provvedimento assunto, sotto il profilo dell’eccesso di potere).
Ed è proprio l’eccesso di potere (con le correlative figure sintomatiche elaborate dalla giurisprudenza per
declinarlo) che è stato visto come il “grimaldello” che permette la valutazione dell’attività discrezionale
amministrativa, ossia quale “strumento di verifica giudiziale del corretto esercizio del potere discrezionale”.
Un sindacato più rigoroso è previsto per quell'aspetto dell'atività amministrativa che va sotto il nome di
discrezionalità tecnica.
1. La discrezionalità amministrativa.
La nozione di discrezionalità tecnica si inserisce nel più ampio concetto di discrezionalità amministrativa,
rappresentando una delle molteplici distinzioni a quest’ultima riconnesse: attività vincolata, discrezionalità pura,
discrezionalità tecnica, merito amministrativo…
Com’è noto, l’attività amministrativa può essere più o meno “eteroguidata” dalla Legge, che la può determinare
per filo e per segno (vincolando il comportamento della P.A.), oppure in modo elastico, sì da lasciare un certo
ambito di determinazione alla P.A. (di volta in volta, “in relazione all’an, al quid, al quomodo ed al quando”
emanare un dato provvedimento nell’esercizio dei propri poteri: Virga 1995, 3 – 4).
In relazione al contenuto normativo, si distingue quindi un’attività amministrativa più o meno discrezionale (con
ambiti riservati di cd. discrezionalità “pura”).
La formula che si legge di solito nei manuali amministrativi è relativa la fatto che l’ambito di discrezionalità
“pura” amministrativa (a differenza della consueta attività amministrativa) è sottratta al sindacato di
legittimità del giudice amministrativo, in quanto “impinge nel ‘merito’ dell’attività amministrativa”.
La discrezionalità attiene quindi al “merito” dell’attività amministrativa ed – in quanto tale – è insindacabile.
Parrebbe, quindi, una sorta di “zona franca” della P.A., di “area protetta” (tipo San Marino circondato dall’Italia,
per capirci).
Una sorta di sfera di attività, dai contorni peraltro non ben definiti, al cui interno non operano più gli ordinari
processi di legittimazione e di controllo del provvedimento amministrativo, frutto di quell’attività; al cui interno
opera invece una specie di sospensione del giudizio, giustificata dal fatto che – in quella “riserva” – la norma
lascia completamente alla P.A. il compito di operare la scelta che essa ritenga più opportuna per il
perseguimento dell’interesse pubblico.
Dunque, per quella scelta, il Giudice Amministrativo non può sostituirsi alla P.A. nella valutazione effettuata,
essendo il proprio sindacato limitato alla legittimità degli atti e non involgendo il merito dell’attività
amministrativa.
L’opportunità non è sindacabile.
Uno spazio di potere “assoluto” della P.A. (sia perchè legibus soluta, in quello “spazio vuoto” che la legge stessa
lascia alla valutazione discrezionale dell’amministrazione; sia perché priva, in quello spazio, di un giudice
assegnato a sindacarne l’opportunità).
2. La discrezionalità e il perseguimento dell’interesse pubblico.
Ovviamente, le cose non stanno esattamente così.
Anche laddove l’Amministrazione agisca discrezionalmente essa incontra sempre limiti generali
(perseguimento dell’interesse pubblico coincidente con quello della collettività nel suo complesso; esercizio del
potere conforme alla sua causa o funzionalità per evitare sviamento di potere; rispetto dei precetti di logica e
imparzialità nel processo volitivo attraverso cui si perviene alla scelta discrezionale da parte
dell’amministrazione).
Il potere discrezionale si distingue da quello vincolato, “perché non trova nella legge la predeterminazione di
tutte le modalità da osservare nel suo esercizio, ma solo l’indicazione del limite di contenuto entro cui può
svolgersi, costituito dal fine specifico di pubblico interesse che si vuole soddisfare”. L’autodeterminazione
amministrativa è pur sempre “subordinata al rispetto di condizioni o requisiti non solo di competenza e di
forma, ma anche di corrispondenza ai fini di pubblico interesse cui deve sottostare: corrispondenza che è da
accertare alla stregua di norme logiche o di esperienza o sociali, e la cui mancanza induce illiceità del
comportamento” (Mortati 1975, 238 – 239).
In sostanza, le possibilità di scelta della P.A. sono “graduate in una ben varia gamma”.
“Ma siccome le alternative rimangono in ogni modo limitate dalla necessità di realizzare l’interesse pubblico
generico e specifico (interesse primario) e senza perdere di vista tutti gli altri interessi (secondari) compresenti
(pubblici e privati), l’azione dell’Amministrazione (e ciò la differenzia da quella, autonoma, dei privati, come
pure dall’attività politica) può essere qualificata in tali casi bensì come discrezionale, ma non come libera”
(Sandulli 1989, 593).
In altre parole, anche questa “area riservata della P.A.” non è mero arbitrio.
3. Il sindacato estrinseco.
Se così è, se dei limiti ci sono, se non è attività puramente libera che, come il vento, può indirizzarsi in ogni
dove a suo piacimento, anche per essa deve ipotizzarsi una sorta di controllo possibile.
Si è sottolineato che di regola l’attività discrezionale della P.A. può essere oggetto, in sede giurisdizionale,
soltanto di un “sindacato estrinseco” (circoscritto cioè alla verifica della conformità del provvedimento
amministrativo, frutto dell’attività della P.A., a quei limiti generali del potere discrezionale, la cui inosservanza
comporta l’illegittimità del provvedimento assunto, sotto il profilo dell’eccesso di potere).
Ed è proprio l’eccesso di potere (con le correlative figure sintomatiche elaborate dalla giurisprudenza per
declinarlo) che è stato visto come il “grimaldello” che permette la valutazione dell’attività discrezionale
amministrativa, ossia quale “strumento di verifica giudiziale del corretto esercizio del potere discrezionale”.
“Quest’ultimo, difatti, pur rimanendo un vizio di legittimità e non di merito, consente al giudice di compiere un
sindacato più incisivo e penetrante dell’esercizio del potere discrezionale. La verifica del rispetto dei criteri di
preordinazione alla cura dell’interesse pubblico, di logicità, di razionalità e di uguaglianza, che devono informare
il potere discrezionale, consente l’esplicazione di un giudizio che spesso si situa ai confini del merito
amministrativo” (Caringella 2003, 1184).
4. La discrezionalità tecnica.
In tale quadro, già di per sé abbastanza variegato, si inserisce il concetto di “discrezionalità tecnica” di cui
peraltro fa largo uso la giurisprudenza.
Con detto termine, si fa riferimento ai casi in cui la scelta amministrativa non riguarda ciò che è più opportuno
fare per soddisfare un pubblico interesse, ma ha ad oggetto una situazione di fatto (presupposto per
l’emanazione del necessario e conseguente provvedimento amministrativo) da accertarsi mediante “valutazioni
di carattere tecnico” (il “pregio” storico-architettonico di un immobile per disporne il vincolo, la “preparazione
almeno sufficiente” di un alunno per la promozione, la “variazione essenziale” di un abuso edilizio per
l’ingiunzione di demolizione, oppure ancora la “non idoneità” per l’esclusione dal concorso…).
“Dalla discrezionalità amministrativa – la quale importa sempre una valutazione e ponderazione di interessi, e
un potere di scelta in ordine all’agire… - va tenuta ben distinta la cd. discrezionalità tecnica (rectius: potere di
valutazione tecnica). Questa non implica valutazione e ponderazione di interessi, né possibilità di scelta (in
ordine all’agire) alla stregua di esse. Nei casi in questione la scelta (del comportamento da tenere) alla stregua
degli interessi pubblici fu eseguita a priori, una volta per tutte, e in modo vincolante, dal legislatore; e
all’Amministrazione è rimessa semplicemente una valutazione (dei fatti posti dalla legge a presupposto
dell’operare) alla stregua di conoscenze (e perciò di regole) tecniche, quali quelle della medicina, dell’estetica,
dell’economia, dell’agraria, ecc… Una volta compiuta tale valutazione, l’autorità amministrativa è poi vincolata
(salvo che disponga anche di discrezionalità amministrativa) a provvedere in quel certo modo che l’ordinamento
prevede” (Sandulli 1989, 594).
Peraltro, da altri autori si sostiene che “impropriamente si parla di discrezionalità tecnica” con riferimento ai casi
in cui l’agente, per poter esplicare un’attività a lui imposta, deve procedere preventivamente all’accertamento di
situazioni di fatto tali da richiedere valutazioni le quali sono da attingere a discipline tecniche. “Infatti in tali casi
fa difetto l’elemento caratteristico della discrezionalità e cioè la determinazione di ciò che è più opportuno fare
per soddisfare un pubblico interesse” (Mortati 1975, 239 – 240).
60-DISTINZIONE TRA ORGANO E UFFICIO (pag.189 libro) amministrativo;
Sotto il profilo organizzativo, l'unità organizzativa minima degli enti pubblici è costituita dall'ufficio si tale unità minima
amministrativo
costituisce una specie l'organo che si caratterizza per la sua attitudine ad esprimere e/o a manifestare la volontà
ufficio di imputazione.
dell'ente. In tale prospettiva l'organo amministrativo può anche definirsi come un
specifica quota della competenza amministrativa
L'organo amministrativo è, dunque, titolare di una dell'ente del quale fa parte e si
avvale, nell'esercizio della potestà nell'ambito della sfera di competenza assegnata, dell'attività strumentale dell'ufficio amministrativo
complesso di beni e persone strumentali
servente e, cioè, del all'esercizio delle potestà attribuite all'organo amministrativo
medesimo. chiave soggettiva,
Sotto il profilo dogmatico, dell'organo amministrativo si sono fornite diverse ricostruzioni. In l'organo viene
identificato con il suo titolare (tale tesi è stata criticata in quanto non riesce a distinguere quando la persona fisica agisca in qualità di
profilo oggettivo, compleso di attribuzioni
organo a quando a titolo personale); sotto il invece, l'organo viene identificato come un
(tale teoria, tuttavia, non spiega tutta la casistica delle incompatibilità e dei difetti di legittimazione idonei a viziare l'atto dell'organo).
teoria mista tanto la persona
Prevale, dunque, la per la quale l'organo è (organo individuale) o il complesso di persone (organo
centro di
collegiale) titolate all'esercizio delle funzioni rientranti nella sfera di competenza assegnata, sia, sotto il profilo obiettivo, il
imputazione di detta competenza amministrativa. il titolare rapporto
Gli elementi strutturali dell'organo amministrativo sono, dunque, (il funzionario) che ha, con l'organo medesimo , un
di immedesimazione organica esprimerne e/o di manifestarne la volontà potestà
e che esercita la funzione di all'esterno e la che
attribuzioni poteri
individua le concrete (la sfera di competenza) dell'organo amministrativo ed i per lo svolgimento dell'attività di
legale rappresentanza
competenza. Tra gli organi amministrativi ve ne sono taluni titolari della dell'ente dell'attitudine, cioè, a
manifestare la volontà dell'ente nei rapporti con i terzi
rapporto di immedesimazione organica,
Con riferimento al si tratta di una peculiare forma di rapporto d'organizzazione tra il titolare
dell'organo e l'ente del quale l'organo manifesta la volontà che la dottrina ha elaborato onde superare le difficoltà connesse alla
rappresentanza.
tradizionale ricostruzione di tale rapporto come riconducibile nell'alveo della Tale ultimo istituto non consentiva
effetti giuridici.
l'imputazione dell'attività del titolare all'ente cui erano riferibili solo gli Attraverso il rapporto di immedesimazione
esprime direttamente la
organica, invece, il titolare dell'organo, nell'esercizio dell'attività rientrante nella sfera di attribuzioni assegnate,
volontà dell'ente è non una volontà propria; ne consegue la riferibilità diretta all'ente pubblico, sia dell'attività, sia dei relativi effetti.
complesso di beni strumentali e persone servizio di uno o
L'ufficio amministrativo è, invece, come già visto, quel che sono poste al
più organi funzioni
al fine di consentirne l'espletamento delle funzioni. L'ufficio amministrativo è, dunque, caratterizzato dalle
assegnate incorporato stabilmente
(proprie della persona giuridica di cui fa parte) e dall'essere nella struttura della persona giuridica.
distinzione
Mette conto sottolineare che la tra organo amministrativo ed ufficio amministrativo, in considerazione della
sfumata; organi a
procedimentalizzazione dell'attività amministrativa, è molto in particolare, la dottrina ritiene di poter individuare
rilevanza endoprocedimentale i quali, pur se non direttamente capaci di esprimere la volontà dell'ente nei quali sono incorporati
strutturalmente, vincolano, tuttavia, l'organo deputato ad esprimerne la volontà e, in tal modo, concorrono alla formazione della volontà
organi procedimentali.
medesima; si è parlato, infatti, di
Il titolare dell'organo amministrativo potere di impegnare
ha, dunque, il l'ente di cui fa parte verso i terzi mentre il titolare dell'ufficio
amministrativo non ha tale potere. Dalla figura del titolare dell'organo amministrativo (o dell'ufficio amministrativo) va mantenuta distinta
preposto.
quella del Il titolare è sempre preposto all'organo amministrativo ma, in mancanza del titolare, può essere preposto all'organo
supplente o un sostituto.
o all'ufficio amministrativo un delegare l'esercizio
I titolari e, a maggior ragione, gli alri preposti di organi ed uffici che non ne siano titolari non possono della potestà
o delle funzioni attribuite se non nei casi previsti dalla legge.
Il rapporto organico che si instaura tra il preposto all'ufficio e l'ufficio stesso può essere di fatto o di diritto; in quest'ultimo caso, l'atto
di assegnazione.
costituitivo di detto rapporto è l'atto
Organo (diritto)
di una persona giuridica è la persona fisica o l’insieme di persone fisiche che agisce per essa, compiendo atti
Organo
giuridici. Gli atti giuridici compiuti dall’organo sono imputati alla persona giuridica, come fossero stati compiuti dalla
stessa, sicché si dice che tra organo e persona giuridica s'instaura una relazione di detta
immedesimazione organica
anche termine quest’ultimo ritenuto da molti improprio giacché il rapporto giuridico presuppone una
rapporto organico,
pluralità di soggetti di diritto tra i quali intercorre, mentre in questo caso vi è un solo soggetto, la persona giuridica, del
quale l’organo non è altro che una parte.
Quanto appena detto differenzia l’immedesimazione organica dalla essendo questa un vero e proprio
rappresentanza,
rapporto giuridico in virtù del quale un soggetto di diritto (il agisce per un altro soggetto (il
rappresentante)
imputando a questo gli effetti dei propri atti. L’organo, a differenza del rappresentante, non imputa alla
rappresentato),
persona giuridica soltanto gli effetti degli atti compiuti, ma anche gli atti stessi; ne segue che, per l’ordinamento
giuridico, sono atti non dell’organo ma della persona giuridica.
Finora si è sempre parlato di organi costituiti da persone fisiche; in realtà è logicamente concepibile anche una persona
giuridica che agisce quale organo di un’altra persona giuridica ed, in effetti, in diritto positivo non mancano esempi,
seppur rari, di questa soluzione. In tal caso, ovviamente, ad agire per la persona giuridica saranno le persone fisiche
organi dell’organo-persona giuridica.
Organi e uffici
Il concetto di organo si distingue da quello più generale di che denota qualsiasi unità elementare nella quale si
ufficio,
articola la struttura organizzativa della persona giuridica, a prescindere dal fatto che le sue attività si traducano in atti
giuridici a rilevanza esterna (o, come si suol dire, idonei ad impegnare l'ente nei rapporti con i terzi). Ne segue che gli
organi della persona giuridica sono suoi uffici, deputati al compimento di atti giuridici imputati all’ente di appartenenza,
ma non tutti gli uffici sono organi. In un'ottica prettamente giuridica, l'ufficio che non sia anche organo svolge funzioni
strumentali, atte a mettere l'organo in condizioni di realizzare i suoi atti, anche quando, come avviene non di rado nella
pratica, quest'ultimo si limita a far proprio l'atto predisposto dall'ufficio. Va peraltro notato che la distinzione tra organi
ed uffici è questione di prospettiva: per l'ordinamento esterno all'ente sono rilevanti solo i rapporti tra l'ente stesso e gli
altri soggetti, per cui sono considerati organi solo gli uffici attraverso i quali questi rapporti si esplicano; per
l'ordinamento interno all'ente, invece, sono rilevanti anche i rapporti tra uffici, sicché questi possono essere considerati
[1]
tutti organi .
Struttura interna degli uffici
A ciascun ufficio sono assegnate uno o più persone fisiche (gli una della quali (il
addetti all’ufficio) titolare dell’ufficio
o assume una posizione di preminenza (si dice, infatti, che è "preposto all’ufficio"), essendo responsabile
funzionario)
dell’unità organizzativa e dirigendone il lavoro. Se l’ufficio è anche organo della persona giuridica, il suo titolare è la
persona fisica che agisce all’esterno per essa.
Oltre agli uffici che hanno quale titolare una sola persona fisica, e sono detti ve ne sono altri, detti
monocratici,
la cui titolarità è attribuita ad un costituito da una pluralità di persone fisiche. Gli uffici si
collegiali, collegio,
distinguono inoltre in e i secondi, a differenza dei primi, sono costituiti da una pluralità di uffici,
semplici complessi:
monocratici o collegali.
Talvolta la titolarità di un ufficio comporta di diritto la titolarità di un altro ufficio; si parla in questi casi di unione reale
[2]
tra gli uffici (un esempio è rappresentato dal sindaco italiano che è al contempo organo del comune ed ufficiale del
Governo, ossia organo dello Stato). In altri casi, al contrario, la titolarità di un ufficio esclude quella di un altro; si parla,
allora, di incompatibilità.
Tra la persona giuridica e le persone fisiche addette ai suoi uffici s'instaura un che va tenuto distinto
rapporto di servizio
dall’immedesimazione organica anche perché, a differenza di questa, è un vero e proprio rapporto giuridico tra due
soggetti di diritto, in forza del quale la persona fisica presta la propria attività lavorativa a favore della persona
giuridica. Il rapporto di servizio assume nella maggior parte dei casi la veste di rapporto di lavoro dipendente, ma vi
sono anche casi in cui l’addetto presta il suo servizio a titolo non professionale (si parla, in questi casi, di funzionari
o addirittura coattivo (si pensi al caso del servizio militare obbligatorio).
onorari)
La titolarità dell'ufficio può essere attribuita per un determinato periodo di tempo, come avviene di solito per i
funzionari onorari; scaduto il termine il titolare cessa dalle funzioni. Tuttavia, per garantire la continuità di
funzionamento dell'organo, può essere previsto che continui ad esercitare le sue funzioni anche dopo tale scadenza, in
attesa della nomina o elezione del successore; si parla, in questo caso, di prorogatio.
Competenza, delega e supplenza
Se la persona giuridica ha un solo organo, questo esercita tutti i poteri e le facoltà spettanti alla persona giuridica. Se,
invece, come normalmente accade, gli organi sono più di uno, i poteri e facoltà sono ripartiti tra gli stessi, in relazione
alla divisione del lavoro operata nella struttura organizzativa. In questo caso la sfera di poteri e facoltà attribuita a
ciascun organo costituisce la sua gli atti compiuti dall’organo al di fuori di tale sfera sono invalidi e
competenza;
precisamente affetti dal vizio di incompetenza.
L'ordine delle competenze può essere derogato con la l'atto attraverso la quale un organo (delegante) trasferisce
delega,
ad un altro organo (delegato) l'esercizio di poteri e facoltà rientranti nella sua sfera di competenza. Poiché deroga
l'ordine delle competenze, il potere di delega deve essere conferito da una norma avente forza non inferiore a quella che
ha attribuito le competenze derogate. Così, nell'ordinamento amministrativo italiano, dove l'attribuzione delle
competenze è materia soggetta a riserva di legge relativa, ai sensi dell'art. 97 della Costituzione, il potere di delega deve
parimenti essere previsto da una legge o altra fonte del diritto avente forza di legge.
La delega si distingue dalla rappresentanza, di cui si è detto sopra, perché quest'ultima da luogo ad un rapporto giuridico
intercorrente tra distinti soggetti giuridici (il rappresentante e il rappresentato), laddove la delega intercorre tra due
organi (il delegante e il delegato) dello stesso soggetto.
La delega si distingue inoltre dalla che si ha quando un organo (supplente) esercita le competenze spettanti
supplenza,
ad altro organo, a seguito dell'impossibilità di quest'ultimo di funzionare, per assenza o impedimento del suo titolare.
Anche la supplenza deve essere prevista da una norma avente forza non inferiore a quella che ha conferito la
competenza. Di solito le norme che prevedono la supplenza prestabiliscono in via generale l'organo (detto vicario)
[3]
destinato a funzionare quale supplente di un altro .
Collegi
Sono detti quegli uffici (di solito denominati ecc.) il cui
collegiali consiglio, comitato, commissione, assemblea, giunta
titolare non è una sola persona fisica ma una pluralità di persone fisiche che formano un ossia che concorrono
collegio,
attribuiti al collegio come tale e non
all’attività dell’ufficio partecipando alla formazione di atti unitari (le deliberazioni)
ai singoli componenti (i del collegio).
membri
Collegi perfetti e imperfetti
I collegi si distinguono in (o e (o I collegi perfetti sono quelli che possono deliberare
perfetti reali) imperfetti virtuali).
solo con la presenza di tutti i membri; i collegi di questo tipo (il cui esempio tipico sono i collegi giudicanti) hanno
solitamente ridotte dimensioni e spesso prevedono, a fianco dei membri la presenza di membri che
effettivi, supplenti
subentrano ai primi in caso di assenza o impedimento, in modo da assicurare la continuità di funzionamento dell'ufficio.
I collegi imperfetti (il cui esempio tipico sono gli organi politici, legislativi ed esecutivi) possono invece deliberare con
la presenza di una parte soltanto dei membri, sempre che sia stato raggiunto il (comunemente detto
quorum strutturale
ossia un determinato numero di membri, spesso fissato nella metà più uno dei componenti il collegio.
numero legale),
Presidente e segretario
In ogni collegio vi è un che di regola è anche membro del collegio. Compito del presidente è convocare le
presidente
sedute, dirigerne lo svolgimento e proclamare il risultato delle votazioni. Non di rado a queste funzioni interne al
collegio, il presidente (così come eventualmente altri membri del collegio) assomma funzioni esterne, riguardo alle
quali agisce come titolare di un ufficio monocratico. In certi collegi il presidente è eletto dai membri, in altri è eletto o
nominato dall'esterno.
Oltre al presidente in ogni collegio vi è un il cui compito precipuo è la documentazione dell'attività del
segretario
collegio attraverso la redazione del Il segretario non è necessariamente membro del collegio e quindi
verbale di seduta.
investito del diritto di voto; talvolta, però, pur non votando, ha funzioni consultive, esprimendo pareri sulle proposte di
deliberazione.
Funzionamento dei collegi
A differenza degli uffici monocratici, quelli collegiali possono funzionare solo in determinati periodi di tempo, le
durante i quali i membri, regolarmente convocati, sono riuniti. La è l'atto, comunicato ai membri
sedute, convocazione
del collegio, con il quale il presidente stabilisce la data e il luogo della riunione, nonché il suo ossia
ordine del giorno,
l'elenco delle materie che saranno trattate e sulle quali il collegio può validamente deliberare. Talvolta, a garanzia del
regolare funzionamento del collegio, è previsto l'obbligo del presidente di convocarlo trascorso un certo lasso di tempo
dall'ultima seduta oppure su richiesta di un certo numero di membri o di un'autorità esterna di vigilanza.
L'apertura e la chiusura della seduta è dichiarata dal presidente; tra questi due momenti il collegio può validamente
deliberare. Di solito la deliberazione è preceduta da una discussione, diretta dal presidente al fine di assicurarne
l'ordinato svolgimento. Talvolta il collegio affida ad uno dei suoi membri (relatore) l'incarico di esaminare la materia
oggetto di deliberazione e riferire agli altri. Nei collegi di maggiori dimensioni, quali le assemblee di tipo parlamentare,
l'esame delle proposte di deliberazione e una prima discussione sulle stesse avvengono nell'ambito di collegi interni
(solitamente denominati o nei quali l'organo si articola, che poi riferiscono al collegio
commissioni sottocommissioni)
nel suo complesso.
DESCRIZIONE APPUNTO
Domande diDiritto amministrativo con particolare riferimento alle seguenti tematiche: il ruolo svolto dalla l.80/2005 in materia di procedimento amministrativo, nuova normativa e semplificazione amministrativa, termine di conclusione del procedimento, ricorso amministrativo, ricorso collettivo e cumulativo, principi giurisprudenziali comuni ai procedimenti.
I contenuti di questa pagina costituiscono rielaborazioni personali del Publisher trick-master di informazioni apprese con la frequenza delle lezioni di Diritto Amministrativo e studio autonomo di eventuali libri di riferimento in preparazione dell'esame finale o della tesi. Non devono intendersi come materiale ufficiale dell'università Bologna - Unibo o del prof Cammelli Marco.
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