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EMANUELA MASTRODOMENICO

LA TUTELA DELLA QUALITA’ DELL’ARIA E LE CRITICITA’ DELLE

AUTORIZZAZIONI INTEGRATE AMBIENTALI

La tutela della qualità dell’aria è una delle priorità dettate dalle politiche comunitarie

degli ultimi decenni e fissate nella c.d. direttiva quadro 62 del 1992, così come

riformata dalla direttiva 50 del 2008. La disciplina comunitaria detta i principi

fondamentali inerenti al monitoraggio della qualità dell’aria e alla zonizzazione del

territorio e sancisce la corretta diffusione delle informazioni relative allo stato di

qualità dell’aria per singole zone. Nei casi in cui siano raggiunti o superati i valori

limite di fattori inquinanti tollerati, gli Stati membri sono tenuti a predisporre appositi

piani di intervento e a garantire la diffusione delle connesse informazioni.

Le difficoltà di attuazione di tale sistema di tutela sono state sottolineate dalla

condanna dell’Italia nel 2006, da parte della Corte di giustizia, per l’inadempienza agli

obblighi di informazione al pubblico in casi di raggiungimento dei valori limite. La vera

difficoltà, tuttavia, sembra risiedere nel fatto che quando si parla di procedimenti in

materia ambientale non si fa riferimento a un modello unitario, ma a una serie di

procedimenti, ciascuno volto alla tutela di uno specifico bene ambientale e dotato di

proprie caratteristiche, benché tutti ispirati dai principi comunitari.

La tematica è complessa e non può prescindere dalla nozione di interesse

ambientale, a sua volta strettamente connesso con il principio costituzionale di tutela

della salute.

All’interno del procedimento amministrativo, l’interesse ambientale investe la tutela

dell’ambiente (interesse diffuso) e della salute individuale (diritto soggettivo). Si pensi,

in particolare, all’autorizzazione integrata ambientale o AIA. La sua disciplina è

caratterizzata dalla tutela del diritto soggettivo alla salute e dell’interesse diffuso alla

salubrità ambientale. A riguardo è stato detto che la natura eterogenea dell’interesse

ambientale avrebbe ostacolato il processo di semplificazione dei procedimenti a esso

connessi. Questa complessità è sottolineata anche nei commenti alla disciplina

comunitaria e interna in materia di tutela della qualità dell’aria e repressione

dell’inquinamento atmosferico.

L’AIA sarebbe stata concepita dal legislatore come strumento di monitoraggio e

controllo dell’inquinamento, in un’ottica di semplificazione amministrativa. La

semplificazione non potrebbe, però, legittimare deroghe alle singole discipline di

settore. Inizialmente, sembrava essere stata favorita un’applicazione estensiva

dell’AIA, alla quale si poteva ricorrere anche al di fuori delle ipotesi previste

testualmente dalla legge, grazie alla c.d. clausola di apertura contenuta nel d.lgs.

59/2005 e snaturando di fatto l’originaria ratio di semplificazione.

Successivamente, il d.lgs. 7/2008, oltre a sancire il principio dell’azione ambientale,

ricondusse nell’AIA una molteplicità di autorizzazioni, accordandole valenza sostitutiva

rispetto a ogni altro parere o nulla osta avente a oggetto l’attività autorizzata. In

questo modo si incentivò la possibilità di valutare l’incidenza ambientale di svariate

attività potenzialmente inquinanti in un unico contesto procedimentale.

Rimane il fatto che a seguito della domanda di AIA si instaura un vero e proprio

procedimento amministrativo analogo con quello di valutazioni di impatto ambientale

(VIA). Le differenze tra i due procedimenti si fonderebbero sulla distinta natura dei

provvedimenti che ne scaturiscono.

Il gestore dell’impianto ha facoltà di chiedere l’integrazione tra AIA e VIA e questa

prevarrebbe rispetto al procedimento di rilascio dell’altra, che viene sospeso. Entro 30

giorni dall’acquisizione della VIA può venir indetta una conferenza di servizi per il

rilascio dell’AIA che si deve concludere entro 60 giorni dal rilascio della prima, mentre

l’intero procedimento deve concludersi entro 150 giorni. Se, invece, all’interno della

conferenza di servizi è avviato un accordo di programma, tale termine è raddoppiato.

Alcuni commentatori, però, affermano che tale ipotesi sarebbe solo un’evenienza

occasionale. La VIA autorizza un progetto, mentre l’AIA è rilasciata preliminarmente

all’avvio dell’attività e deve essere periodicamente rinnovata. Dunque, mentre un

progetto, pur avendo ottenuto l’AIA, potrebbe non ottenere un giudizio positivo in sede

di VIA, il caso contrario non sarebbe ammissibile. È comprensibile che il legislatore

italiano abbia previsto che, in caso di loro proposizione contestuale, la VIA faccia luogo

all’AIA, oppure che, nel caso sia prevista una valutazione di assoggettabilità, l’AIA

possa essere richiesta solamente alla fine dell’eventuale provvedimento di esclusione

da VIA del progetto.

Nella VIA, dopo la fase di partecipazione di tutti i soggetti portatori di interessi

coinvolti e quella istruttoria condotta dalle commissioni tecniche, il giudizio finale ha

natura politica e non è sindacabile dal giudice amministrativo per ragioni tecniche.

L’AIA, invece, comporterebbe la rimozione di un limite all’esercizio di un diritto nella

fase di discrezionalità tecnica, come tale soggetta al sindacato giurisdizionale, benché

“debole” nel senso che il giudice non può sostituirsi a un potere già esercitato, ma

deve solo stabilire se la valutazione complessa operata nell’esercizio del potere debba

essere ritenuta corretta sia sotto il profilo delle regole tecniche applicate, sia nella fase

della contestualizzazione della norma posta a tutela della conformità a parametri

tecnici.

Il d.lgs. 128/2010 ha riformato la disciplina dell’AIA, collocandola nella parte seconda

del Codice dell’ambiente assieme alle procedure per la valutazione ambientale

strategica (VAS) e d’impatto ambientale (VIA), a loro volta ricomprese nel

procedimento di prevenzione e riduzione integrata dell’inquinamento (IPPS).

Nella nuova disciplina necessitano di apposita autorizzazione la prima installazione e il

trasferimento dell’impianto da un luogo all’altro. Questa previsione non si discosta da

quanto sancito dall’art. 6 del DPR 203/1988, che imponeva la presentazione di una

domanda di autorizzazione prima della costruzione di un nuovo impianto. L’unica

novità riguarda l’estensione del predetto obbligo anche alle attività senza impianto. A

tal fine si adotta una definizione più ampia di gestore, da intendersi come «la persona

fisica o giuridica che ha un potere decisionale circa l’installazione o l’esercizio

dell’impianto» o «circa l’esercizio dell’attività».

Riguardo all’oggetto dell’AIA, la novella fa riferimento alla nozione di stabilimento e

non solo di impianto. La riforma non è semplicemente terminologica, poiché la nozione

di stabilimento ha contenuti più ampi rispetto a quella di impianto, ricomprendendo

anche tutte le attività che producono emissioni, al di là di quanto riguarda il semplice

ciclo di trasformazione di una singola attività.

Tuttavia, molteplici sembrano i punti di contrasto con il principio di semplificazione e

efficacia. Ad esempio, il riferimento all’attività e non al solo impianto rischia di

costringere i gestori «ad avviare complesse procedure autorizzatorie riguardanti

l’intero stabilimento anche laddove si dovessero installare o modificare singoli

impianti».

A ciò si aggiungano ulteriori aggravi. La prima fase procedimentale vera e propria è

quella di verifica. Entro 30 giorni dalla presentazione della domanda, l’autorità

competente verifica la completezza della stessa e della documentazione allegata e

qualora lo ritenga necessario richiede integrazioni al proponente, il quale deve

depositare i documenti attestanti le informazioni ulteriori entro 30 giorni.

Nel caso in cui l’istante non proceda a adempiere in tempo, e non richieda una proroga

del termine in ragione della complessità della documentazione da presentare, l’istanza

si intende ritirata. Invece, se la domanda è completa, entro 30 giorni dal suo

ricevimento l’autorità competente comunica l’avvio del procedimento e il luogo dove

depositare i documenti per la consultazione da parte del pubblico. Entro i 15 giorni

successivi l’impresa provvede alla pubblicazione di un annuncio con l’indicazione dei

propri estremi identificativi e del luogo dell’impianto, nonché dell’ufficio dove sono

depositati gli atti e presso il quale l’interessato può trasmettere le proprie

osservazioni. La pubblicazione deve avvenire su un quotidiano provinciale o regionale,

per gli impianti regionali, o nazionale, per gli impianti nazionali, nonché sul sito web

del gestore. Tali prescrizioni assumono particolare importanza qualora sia indetta, a 30

giorni dalla domanda, una conferenza di servizi istruttoria. Entro i successivi 120 giorni

dall’indizione della stessa occorre giungere a una decisione.

In caso di mancata pronuncia, non si applica la disciplina del silenzio significativo, ma

il gestore dell’impianto ha la facoltà, entro 60 giorni dalla scadenza del termine

precedente, di investire della questione il ministero competente, notificando tale

richiesta all’autorità che dovrebbe rilasciare l’autorizzazione. Quest’ultima è tenuta a

pronunciarsi entro e non oltre 90 giorni. Si applica, quindi, il principio per cui le

autorizzazioni in materia ambientale devono avere natura preventiva e espressa.

Inoltre, devono essere acquisite obbligatoriamente le prescrizioni del sindaco per le

lavorazioni insalubri, nonché il parere dell’ISPRA per gli impianti di rilevanza statale o

delle ARPA per quello di rilievo regionale e, in ogni caso, la decisione finale deve

essere presa entro 150 giorni, che diventano 180 se è stata richiesta un’integrazione

istruttoria.

Il provvedimento di AIA dura 5 anni, ma può durare anche 6 se l’azienda possiede

certificati UNI EN ISO 14001, 8 nel caso l’impianto sia registrato EMAS e 10 in caso di

allevamenti). Secondo la novella del 2010, l’autorità competente può imporre il

rinnovo dell’autorizzazione prima della scadenza se una modifica del contenuto

dell’autorizzazione risulti necessaria per garantire il rispetto dei valori limite di qualità

sulla base della precedente autorizzazione.

È indubbio che l’autorizzazione non possa limitarsi a consenti

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Publisher
A.A. 2013-2014
46 pagine
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SSD Scienze giuridiche IUS/10 Diritto amministrativo

I contenuti di questa pagina costituiscono rielaborazioni personali del Publisher MarkM91 di informazioni apprese con la frequenza delle lezioni di Diritto amministrativo e studio autonomo di eventuali libri di riferimento in preparazione dell'esame finale o della tesi. Non devono intendersi come materiale ufficiale dell'università Università degli Studi di Bari o del prof Mastrangelo Donatantonio.