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3) IL PROBLEMA DELLA SINDACABILITA' DA PARTE DEL GIUDICE DEI PRESUPPOSTI DI UN
PROVVEDIMENTO → Vanno considerate altre due ipotesi, in cui il problema del rapporto tra poteri del giudice e
poteri dell'amministrazione potrebbe porsi in termini diversi:
- discrezionalità con riferimento alla valutazione di un presupposto di fatto, può sembrare paradossale che il merito della
valutazione di un presupposto di fatto sia considerato insindacabile dal giudice, dal momento che l'effettiva esistenza del
potere dell'amministrazione è l'effetto giuridico del venire in essere della fattispecie descritta dalla norma e quindi può
apparire come un problema di interpretazione di quest'ultima, la cui soluzione potrebbe sembrare naturale che spetti al
giudice, come avviene ordinariamente in situazioni analoghe nei rapporti tra privati (per es. se si debba valutare la
correttezza di un comportamento).
Quando l'esistenza della fattispecie, costituente il presupposto del potere dell'amministrazione, deve essere oggetto essa
stessa di una valutazione a risultato opinabile, si comprende come la sostituzione del giudice nell'esercizio di tale
valutazione debba essere negata, per le stesse ragioni per cui non gli si riconosce la legittimazione a sindacare il merito
delle decisioni il cui contenuto costituisca esercizio di discrezionalità amministrativa o tecnica.
Anche in relazione a questa attività di valutazione la giurisprudenza parla di discrezionalità-tecnica, ma ritiene ormai
possibile che il giudice verifichi la correttezza intrinseca dell'esercizio del potere anche usando le regole e le conoscenze
tecniche della scienza applicata all'amministrazione pubblica (per es. nel caso di riconoscimento del particolare
interesse storico-culturale o artistico di cose, quale presupposto per l'imposizione di limitazioni ai poteri del
proprietario).
Non vi è, invece, motivo di escludere l'intervento del giudice quando l'esistenza della fattispecie-presupposto non esige
valutazioni, ma richiede di essere semplicemente accertata applicando regole tecnico-scientifiche certe (quindi non è
necessario che si faccia alcuna scelta neppure di tipo tecnico) ed in tal caso non vi sarebbe alcuna ragione per
riconoscere un potere esclusivo dell'amministrazione di accertare i fatti presupposti e pertanto se il giudice accerta
l'esistenza del presupposto può negare l'esistenza di un potere decisionale della pubblica amministrazione;
4) nelle situazioni in cui, in presenza di un certo presupposto, la legge prevede l'emanazione di un atto a contenuto
vincolato.
IL PROBLEMA DEL POTERE VINCOLATO → Nel caso di “potere vincolato” da parte dell’amministrazione, il
giudice può affermare l'obbligo dell'amministrazione di emanare l'atto con quel determinato contenuto, ma resta
comunque la necessità che l'atto sia emanato. La giustificazione della previsione di poteri vincolanti potrebbe essere
quella di assicurare il buon funzionamento dell'amministrazione di regolazione (consentendo dei controlli efficaci) o di
prestazione (assicurando conoscenze indispensabili per apprestare in modo efficace ed efficiente un servizio pubblico:
per es. nel caso dell'iscrizione alla scuola dell'obbligo).
Le misure legislative di semplificazione, tra cui l’art. 19 LPA, sulla cui base si può in generale fare a meno di atti
amministrativi di questo tipo, sembrano confermare che, al contrario, la previsione del permanere della necessità di un
atto amministrativo vincolato (cioè le eccezioni di cui all’art. 19 LPA) possa interpretarsi come attribuzione di un potere
effettivo, anche se non discrezionale, dell'amministrazione.
Capitolo X - PRINCIPI E REGOLE DELL'ATTIVITA' AMMINISTRATTIVA.
I principi e le regole dell'attività amministrativa sono suddivisibili in tre gruppi, a seconda che:
1) limitino l'ambito delle decisioni e quindi delle scelte discrezionali;
2) determinino le modalità delle decisioni (non solo quelle discrezionali);
3) impongano la trasparenza, che è una condizione per l'attuazione degli altri due principi o per la verificabilità
della loro osservanza.
1. Limiti all’ambito delle decisioni discrezionali.
1.1. Divieto di ledere gli interessi giuridicamente protetti dei cittadini.
Dato il principio di legalità, nel senso della generale soggezione delle amministrazioni al diritto, le decisioni
discrezionali delle amministrazioni non possono consistere in scelte contrastanti con puntuali disposizioni della legge o
con principi e norme generali di diritto comune, inoltre devono evitare lesioni degli interessi giuridicamente protetti dei
cittadini.
1) Principio del diritto civile che ha origine nel precetto del diritto romano neminem ledere: (principio alla base
delle norme contenute nell’art. 2043 c.c.: è una norma primaria, contiene cioè un divieto e non una sanzione, specifica
che il “danno ingiusto” è quello non consentito dalla legge, si tratta dunque di una responsabilità non tipizzata).
Secondo tale principio è esclusa la liceità di azioni di qualsiasi tipo (decisioni e attività materiali) che arrecano danno
alle persone o loro patrimonio, con dolo o colpa, se non autorizzate dalla legge; l'autorizzazione esiste solo nei casi in
cui la legge attribuisca poteri autoritari, che consentano l'emanazione di provvedimenti tipici capaci di incidere sui
diritti (per es. la PA non può vietare lo svolgimento di un'attività che la legge non le consente di impedire).
2) Principio del legittimo affidamento: le amministrazioni devono tenere in conto anche le aspettative che i
cittadini, in buona fede, possono legittimamente maturare circa la stabilità degli effetti di precedenti decisioni. È un
principio cui fa ricorso anche il diritto comunitario, con riferimento non solo all'attività amministrativa, ma pure, entro
certi limiti, a quella giurisdizionale e legislativa. Da tale principio non possono derivare limitazioni per le decisioni
vincolate, cioè quelle decisioni che non comportano scelte; tuttavia se gli effetti di tali decisioni appaiono in contrasto
con “l'affidamento”, se ne possono trarre conseguenze circa l'eventuale illegittimità costituzionale della legge che le
impone.
Vengono di frequente richiamati anche i principi di:
3) Principio di buona fede (oggettiva)
4) Principio di correttezza
1.2. Finalizzazione delle scelte alla realizzazione dei diritti a prestazione.
L’ambito delle scelte discrezionali è delimitato non solo da divieti, ma anche da doveri positivi:.
DIRITTI A PRESTAZIONI E DISCREZIONALITA' ORGANIZZATIVA → nei casi in cui dall'ordinamento
risultano dei diritti sociali, consistenti in veri propri diritti a prestazioni da parte delle amministrazioni, l'ambito delle
scelte discrezionali è limitato a quelle funzionali alla loro realizzazione. In tali casi cioè, non solo non sono ammissibili
le decisioni dirette a contraddire tali diritti, ma neppure sono ammissibili le scelte che si ponessero un obiettivo diverso,
per quanto di per sé non censurabile, da quello della loro realizzazione. Questo tipo di limitazione riguarda in
particolare la discrezionalità-organizzativa, visto che quest'ultima consiste in scelte di mezzi per raggiungere obiettivi
dati. L'ambito della discrezionalità sarà limitato alla scelta delle diverse possibili modalità organizzative, con le quali si
possono realizzare i diritti in questione, restando escluse scelte contrastanti con il perseguimento di tale obiettivo.
Un'attività amministrativa che violi quest'obbligo può essere considerata lesiva di un diritto.
1.3. Finalizzazione delle scelte all’attuazione dell’interesse pubblico primario.
Anche quando non vi siano diritti a prestazioni pubbliche da realizzare, un vincolo finalistico delimita l'ambito delle
possibili scelte discrezionali.
Principio di legalità-indirizzo, art. 1 LPA: “l’attività amministrativa persegue i fini determinati dalla legge”, questo
articolo esprime la necessità che le scelte discrezionali siano finalizzate al perseguimento dell'interesse pubblico, in
particolare dell’interesse pubblico primario.
Talvolta non è facile stabilire quale debba essere considerato l'interesse pubblico primario.
INDIVIDUAZIONE DELL’INTERESSE PUBBLICO PRIMARIO → a tal fine si possono trarre indicazioni anche
dalle disposizioni relative agli apparati ai cui organi sia stata attribuita la competenza a prendere la decisione, nel senso
che gli apparati sono identificati in primo luogo dai compiti che devono svolgere e tali compiti corrispondono alla cura
di determinati interessi; cosicché se una certa decisione è di competenza dell'organo di un certo apparato, si può fare
riferimento alle attribuzioni generali di quest'ultimo, per trarne indicazioni circa gli interessi primari che il legislatore ha
presumibilmente inteso indicare. In relazione alle funzioni strumentali questo aspetto non ha un rilievo diretto.
2. Modalità delle decisioni.
I principi sopra visti devono essere applicati insieme ai “principi generali dell'attività amministrativa” (imparzialità,
buon andamento, responsabilità e trasparenza, ragionevolezza), sulla cui base sono stabilite le modalità secondo cui le
decisioni devono essere prese
2.1. Imparzialità e regole conseguenti.
2.1.1. Profilo soggettivo: doveri di astensione.
Dal principio di imparzialità si ricavano alcune regole riguardanti “chi” prende le decisioni, oltre che alle regole sul
“come” le decisioni devono essere prese:
1) Imparzialità e conflitto di interessi: chi è chiamato a prendere una decisione deve essere imparziale, cioè non
deve avere interessi propri rilevanti rispetto all'oggetto di una sua decisione; ciò significa che i suoi interessi personali
non devono essere né coincidenti, né contrapposti a quelli, pubblici o privati, su cui possono incidere le sue scelte;.
L'assenza di conflitti di interesse è richiesta a chiunque prenda decisioni (anche se siano esercizio di discrezionalità
tecnica ed anche se vincolate) che comunque incidono su interessi di terzi, così da evitare anche il sospetto che
eventuali errori mascherino in realtà degli inammissibili favoritismi.
2) Obblighi di astensione: l'obbligo di astensione, con specifico riferimento agli amministratori locali, comporta
l’astensione appunto dalla discussione o dalla votazione di deliberazioni riguardanti interessi propri o di loro parenti o
affini fino al quarto grado.
3) Il codice di comportamento dei dipendenti delle pubbliche amministrazioni: le disposizioni di questo codice
costituiscono specificazioni esemplificative degli