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IL PROVVEDIMENTO AMMINISTRATIVO
Nei primi studi dedicati al provvedimento amministrativo questo viene
presentato come l’atto amministrativo per eccellenza, cioe’ dotato di
imperatività (in grado di incidere unilateralmente sulla sfera giuridica
del destinatario) e di autotutela (in quanto idoneo ad essere eseguito
dal suo stesso autore). Tuttavia questa è una visione superata del
provvedimento amministrativo, anche se manca una nozione
normativa chiara e ciò ha obbligato la dottrina e la giurisprudenza a
elaborare diverse nozioni di provvedimento amministrativo. Esistono
quattro teorie: per la teoria della funzionalizzazione dell’azione
amministrativa il provvedimento è un atto amministrativo tipico e
nominato mediante il quale la P.A. unilateralmente impartisce
disposizioni o comandi che costituiscono, modificano o estinguono
situazioni soggettive di privati; per la teoria negoziale il
provvedimento è una manifestazione di volontà, espressione di
discrezionalità amministrativa, con la quale la P.A. persegue finalità
pubbliche; per la teoria formale il provvedimento è un atto che viene
da una autorità amministrativa nell’esercizio di una funzione
amministrativa; la teoria procedimentale dice che il provvedimento è
una dichiarazione di volontà assunta nell’esercizio di un potere
amministrativo da parte dell’autorità amministrativa e destinata a
produrre effetti verso terzi in quanto perfeziona il procedimento
amministrativo.
La mancanza di una nozione si riflette sui caratteri che, secondo la
dottrina, sono quattro:
L’unilateralità – secondo cui il provvedimento non ha bisogno del
• concorso della volontà dei destinatari per esistere. Ciò lo distingue
dai contratti, anche di diritto pubblico, che richiedono il concorso
della volontà di due parti.
La tipicità e nominatività: il primo indica che gli elementi
• costitutivi del provvedimento sono definiti dalla legge, mentre il
secondo ci dice che sono definiti dal legislatore. La tipicità è
espressione del principio di legalità poichè il potere di sacrificare
unilateralmente le posizioni di terzi dev’essere previsto dalla legge
che ne determina anche i presuposti e gli effetti. La tipicità comporta
che il provvedimento sia legittimo solo se vi sia corrispondenza con il
potere amministrativo, infatti, se un atto è fatto per perseguire un
interesse, anche pubblico, diverso da quello per il quale è previsto,
esso è viziato da eccesso di potere per sviamento dell’interesse
pubblico o della causa tipica.
L’imperatività o autoritarietà è il carattere più discusso. Secondo la
• teoria classica il provvedimento è la manifestazione di un potere
d’imperio della P.A. che costituisce l’essenza stessa del
provvedimento, riferendosi quindi al potere di costruire, modificare,
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ed estinguere le posizioni giuridiche di terzi mediante il proprio atto
unilaterale. L’imperatività ha però perso diversi degli effetti che tale
teoria gli attribuiva. Oggi consiste nell’idoneità a modificare
situazioni giuridiche altrui senza necessità dell’altrui consenso.
L’inoppugnabilità è l’idoneità del provvedimento a divenire
• definitivo decorso un breve termine di decadenza per
l’impugnazione.
Vi è poi un altro carattere tipico del provvedimento che è
l’esecutività, e cioè il potere della P.A. di portare a esecuzione il
provvedimento.
Anche gli elementi costitutivi sono influenzati dalla mancanza di una
nozione di provvedimento. Secondo la teoria negoziale essi sono:
l’agente, il destinatario, la volontà, l’oggetto e la forma. Per la teoria
funzionale invece sono: il soggetto, l’oggetto, il contenuto, la finalità e
la forma. L’elemento di differenza sta nella volontà.
L’agente è l’autore del provvedimento, che puo’ essere un’autorità
amministrativa, un privato esercente una funzione pubblica o un
privato obbligato a svolgere un procedimento di evidenza pubblica. Il
destinatario è il soggetto, pubblico o privato, nei cui confronti un atto
deve produrre i suoi effetti. I requisiti del destinatario sono la
determinatezza o la determinabilità. L’oggetto è un comportamento,
un fatto o un bene sul quale s’indirizza la volontà dell’amministrazione.
I suoi requisiti sono la determinatezza, la possibilità e la liceità. La
forma è il modo con il quale la dichiarazione di volontà espressa
dall’amministrazione è esternata e comunicata ai terzi. Fa eccezione
all’obbligo di manifestazione della volontà il cosiddetto
provvedimento implicito che è caratterizzato dal fatto che la volontà
non è esplicita, ma si desume direttamente da una precedente
manifestazione di volontà. Tale istituto è sorto per dare la possibilità
agli interessati di impugnare un atto e quindi sottoporre l’azione
amministrativa al giudicato del g.a. Si parla invece di provvedimento
amministrativo tacito quando la legge attribuisce, alla scadenza del
termine per la conclusione del procedimento, il significato di
accoglimento (silenzio accoglimento) o reiezione (silenzio rigetto)
dell’atto. La finalità è lo scopo che persegue l’atto e non corrisponde
allo scopo dell’agente ma all’interesse pubblico perseguito
dall’amministrazione poiché ogni atto per essere tale dev’essere
esercizio di una funzione pubblica.
Al provvedimento amministrativo sono applicabili gli elementi
accidentali cioè si possono apporre al provvedimento delle clausole
accessorie che incidono sugli effetti dell’atto. Essi sono: i termini
(sottopone l’efficacia dell’atto o alcuni effetti al verificarsi di un evento
futuro e certo), la condizione (subordina gli effetti dell’atto al
verificarsi di un evento futuro e incerto) e le riserve (dichiarazioni con
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le quali l’amministrazione puo’ esercitare in seguito il medesimo potere
dopo una nuova valutazione degli interessi pubblici).
Un provvedimento amministrativo puo’ dirsi perfetto quando si è
terminato il procedimento necessario per la sua formazione ed è
idoneo a produrre effetti nell’ordinamento giuridico. L’efficacia è
l’attitudine dell’atto a produrre effetti giuridici, mentre la validità è la
conformità dell’atto alle regole dell’ordinamento e la cui mancanza
comporta la nullità o l’annullabilità dell’atto medesimo. Per essere
perfetto, valido ed efficace l’atto dovrà avere, oltre che gli elementi
costitutivi, anche i requisiti la cui mancanza costitutisce un vizio meno
grave ma che incide sulla legittimità o sull’efficacia dell’atto stesso.
I requisiti possono essere di legittimità e di efficacia: i primi, richiesti
dalla legge, sono 1) i presupposti di fatto e di diritto, 2) la compatibilità,
la competenza e la legittimazione (requisiti dell’agente), 3) la
corrispondenza dell’interesse pubblico, la corrispondenza alla causa del
potere, il rispetto dei precetti di logica e imparzialità (sono propri del
profilo funzionale degli atti discrezionali e costituiscono i limiti interni
della discrezionalità, la cui mancata osservanza comporta il vizio per
eccesso di potere), 4) la mancanza di vizi di volontà (diviene vizio di
legittimità qualora comporti uno sviamento dell’atto dalla sua
funzione), 5) l’esistenza e sufficienza della motivazione (elevati a
requisiti di legittimità dalla L 241/90); i secondi sono richiesti affinchè
l’atto, già perfetto, possa produrre i suoi effetti. Si distinguono in
requisiti di esecutività (necessari perche l’atto sia portato ad
esecuzione-controlli, il verificarsi delle condizioni sospensive,
l’accettazione dell’interessato) e di obbligatorietà (in virtù dei quali
l’atto, già perfetto ed esecutivo, diventi obbligatorio per i suoi
destinatari-notificazioni, trasmissione e pubblicazione del
provvedimento). L’efficacia del provvedimento può essere limitata nel
tempo o nello spazio. Di regola i provvedimenti di autorità locali hanno
efficacia limitata alla circoscrizione territoriale dell’autorità che li
emette. Dal punto di vista temporale si distinguono atti di efficacia
istantanea e atti di efficacia permanente (i destinatari sono soggetti ad
attività di vigilanza o d’ingerenza dell’amministrazione).
La struttura di un provvedimento amministrativo è legata alla forma e
al contenuto dell’atto ed è di massima composta da: l’intestazione
(indica l’autorità amministrativa alla quale il provvedimento è
imputabile), il preambolo (indica le norme di legge che gustificano
l’esercizio del potere dell’amministrazione e le risultanze
dell’istruttoria), la motivazione (contiene l’indicazione dei presupposti
di fatto e delle ragioni giuridiche del provvedimento) , il dispositivo
(contiene la parte precettiva del provvedimento nella quale sono
indicati la volontà dell’amministrazione e gli effetti dell’atto), il luogo e
la data di emanazione e la sottoscrizione.
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La motivazione costituisce uno degli elementi cardine del
provvedimento poichè ogni provvedimento dev’essere motivato. La
motivazione deve indicare i presupposti di fatto e le ragioni giuridiche
che hanno determinato la decisione dell’amministrazione. Il contenuto
della motivazione può anche rinviare ad altro atto, in tal caso si parla di
motivazione ab relationem. I provvedimenti si differenziano anche per
l’intensità della motivazione, così da avere: discrezionali, con
motivazioni particolarmente ampie; vincolanti, con motivazioni ridotte
alla c.d. giustificazione cioè alle norme di legge poste a fondamento
dell’atto; positivi, con motivazioni succinte con riferimenti alla
conformità della domanda alla legge o al regolamento; negativi, con
motivazioni analitiche con riferimento alla mancanza dei requisiti. La L
241/90 esclude dall’obbligo della motivazione gli atti normativi e quelli
a contenuto generale. Particolarmente rilevante è il rapporto tra
motivazione e invalidità. Oggi, costituiscono vizio di violazione di legge:
il difetto assoluto di motivazione, l’insufficienza, la mancata indicazione
degli atti ai quali il provvedimento rinvia n