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DIRITTO DI ACCESSO E TRASPARENZA DELLA PUBBLICA AMMINISTRAZIONE
Prof.ssa A. Simonati
L’articolo 97 della Costituzione contiene i principi di imparzialità e buon andamento della
pubblica amministrazione: se fosse andata in porto la riforma costituzionale del 2016, sarebbe stato
aggiunto un riferimento al principio di trasparenza; quindi, per il legislatore italiano, il principio di
trasparenza è un corollario del principio di buon andamento.
Il principio di buon andamento si esplica nella teoria originaria del diritto amministrativo in
efficienza, efficacia e economicità: sicuramente, la pubblica amministrazione deve agire secondo il miglior
raggiungimento dell’interesse pubblico, attività che sicuramente è costosa; quindi, il modo in cui i
macroprincipi si devono confrontare con il principio di proporzionalità.
Il principio di trasparenza è strettamente collegato a queste disposizioni: il legislatore italiano,
da molto tempo, ha codificato questo principio, in particolare all’inizio della 241/1990, menzionandola
senza definirla; quindi, è necessario in primo luogo domandarsi in cosa consista giuridicamente il
principio di trasparenza. Trasparenza e pubblicità, evidentemente, non sono sinonimi: la pubblicità
comporta la pubblicazione di determinati provvedimenti; la pubblicazione avviene, in base al principio
di legalità, quando è richiesta dalla legge: la pubblicità può servire a raggiungere la trasparenza, ma non
si risolve nella stessa.
La definizione di trasparenza ha origine nel 1907: il principio di trasparenza è quello in base al
quale l’attività che la pubblica amministrazione deve essere conoscibile nel suo dinamico dispiegarsi e
controllabile nei suoi prodotti finali; alla prima parte di questa definizione si potrebbe oggi aggiungere
una parte: il principio di trasparenza deve essere conoscibile nel suo dinamico dispiegarsi
procedimentalizzato. Gli amministrati devono essere in possibilità di controllare lo svolgimento
dell’attività amministrativa che li riguarda, anche ai fini della successiva impugnazione; conoscibilità
significa avere a disposizione atti e documenti, ma questo non basta. La trasparenza, per essere
veramente tale, si fonda infatti su un requisito in più, il vero punto nodale della questione: la
comprensibilità dell’attività amministrativa; affinché l’attività sia veramente trasparente, non è
sufficiente che la PA metta a disposizione gli atti, ma devono essere intelleggibili alla comunità: questa
accezione del termine rende il principio più impegnativo per la PA e rende più complessa la convivenza
della trasparenza con il principio di economicità. Un conto è la mera pubblicazione, un altro è rendere
anche comprensibile la propria attività: per questo quindi è necessario calibrare l’attività di
pubblicazione e trasparenza mediante il principio di proporzionalità.
Il principio di trasparenza ha a che fare con un principio quantitativo, da un lato, e dall’altro con
un elemento qualitativo, che siano disponibili in modo da essere comprensibili: inoltre, per essere
veramente trasparenza, in base al principio sopra enunciato, non necessariamente tutta l’attività
dell’amministrazione deve essere resa pubblica; proprio perché la trasparenza deve essere armonizzata
con il principio di efficacia, economicità ed efficienza e perché l’attività dell’amministrazione deve
essere compatibile con la tutela dell’interesse pubblico, non ogni documento deve essere reso pubblico.
Nei sistemi inglesi si parla di casa di vetro: le amministrazioni fra di loro e i cittadini devono
vedersi fra di loro; si dice però che una casa di vetro è molto fragile: la PA non può permettersi di
lavorare in una struttura fragile e quindi servono dei muri portanti che però sono opachi. Il problema è
semplicemente commisurarli alla trasparenza: le sacche di opacità si giustificano con l’intento di
tutelare interessi pubblici importanti (difesa, segreti di Stato, politica monetaria, politica internazionale,
difesa, …) e dall’altro di proteggere le sacche di opacità che corrispondono a diritti soggettivi dei
soggetti interessati, quindi il diritto alla riservatezza.
Nel 2013 è stato emanato il d.lgs. 33, riformato dal 97/2016: questo decreto è stato approvato
in seguito alla riforma Madia, che introdusse norme proprio volte alla maggiore trasparenza della PA; il
decreto 33, nella attuale formulazione, dice molte cose interessanti, fra cui il fatto che si è inserita per la
prima volta la definizione di trasparenza amministrativa, che assomiglia molto poco alla definizione data
poco sopra: 53
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Marco Interdonato © 2017
1. La trasparenza è intesa come accessibilità totale dei dati e documenti detenuti dalle pubbliche amministrazioni, allo scopo di tutelare i diritti
dei cittadini, promuovere la partecipazione degli interessati all'attività amministrativa e favorire forme diffuse di controllo sul perseguimento delle
funzioni istituzionali e sull'utilizzo delle risorse pubbliche.
(comma così modificato dall'art. 2, comma 1, d.lgs. n. 97 del 2016)
2. La trasparenza, nel rispetto delle disposizioni in materia di segreto di Stato, di segreto d'ufficio, di segreto statistico e di protezione dei dati
personali, concorre ad attuare il principio democratico e i principi costituzionali di eguaglianza, di imparzialità, buon andamento, responsabilità,
efficacia ed efficienza nell'utilizzo di risorse pubbliche, integrità e lealtà nel servizio alla nazione. Essa è condizione di garanzia delle libertà
individuali e collettive, nonché dei diritti civili, politici e sociali, integra il diritto ad una buona amministrazione e concorre alla realizzazione di
una amministrazione aperta, al servizio del cittadino.
3. Le disposizioni del presente decreto, nonché le norme di attuazione adottate ai sensi dell'articolo 48, integrano l'individuazione del livello
essenziale delle prestazioni erogate dalle amministrazioni pubbliche a fini di trasparenza, prevenzione, contrasto della corruzione e della cattiva
amministrazione, a norma dell'articolo 117, secondo comma, lettera m), della Costituzione e costituiscono altresì esercizio della funzione di
coordinamento informativo statistico e informatico dei dati dell'amministrazione statale, regionale e locale, di cui all'articolo 117, secondo comma,
lettera r), della Costituzione.
Si ravvisa una polisemia concettuale, in quanto ad esempio il primo comma è contraddetto dal
secondo; gli interpreti, prima della norma, pensavano che la definizione data venisse accolta dal
legislatore: questa nuova disposizione non significa che ha cancellato la precedente definizione. Il
decreto 33 ha aggiunto altri strumenti, senza abrogare quelli precedenti: oggi, quindi, nel nostro
ordinamento convivono più anime della trasparenza. Non è facile armonizzare queste definizioni, in
quanto spesso sono confliggenti, ma di questo si deve essere consapevoli.
In merito al principio di trasparenza, si parlerà dei diritti di accesso e volutamente si mette in
relazione questa materia con un’introduzione con il principio di trasparenza; ciò non significa però che
il principio di trasparenza si traduca solo nel diritto all’accesso (responsabile del procedimento, 10-bis,
comunicazione di avvio, articolo 9, …). Quanto al diritto di accesso, questo è stato introdotto, in
generale, con gli articolo 22 e seguenti, che hanno subito una serie di rimaneggiamenti successivi: è
interessante analizzare la disciplina in prospettiva diacronica, notando una cosa non scontata; queste
disposizioni, più di altre, hanno tenuto in considerazione gli orientamenti dottrinali ma soprattutto
giurisprudenziali. L’intento era quello di adeguare il diritto vigente al diritto vivente.
Il diritto di accesso
Il diritto di accesso tradizionale è quello di accesso ai documenti amministrativi: è il diritto di
prendere visione ed estrarre copia dei documenti amministrativi; questa definizione, che è oggi
contenuta espressamente nell’articolo 22 della 241/90, è interessante perché riprende una serie di
dibattiti che in passato si sono verificati in dottrina e giurisprudenza. La prima domanda che si sono
posti, a seguito dell’introduzione dell’istituto, è in merito alla natura di diritto soggettivo o interesse
legittimo: la norma parla di giurisdizione esclusiva, quindi da questo punto di vista la questione non è
dirimente.
Se Tizio fa una domanda di accesso civico, e l’amministrazione non dice nulla (in questo caso
sussiste silenzio rigetto) oppure non dà l’autorizzazione, può ripresentare nuovamente la domanda? Se
si qualifica il diritto di accesso come diritto soggettivo, si intende questa situazione come una situazione
di vantaggio del privato nei confronti dell’amministrazione, ma una volta esercitato, si dovrà andare in
giudizio; se si qualifica come interesse legittimo, che non si estingue con l’esercizio del potere, sarà
possibile che il privato, invece di esperire il principio di esperibilità, possa ripresentare nuovamente la
domanda. Dottrina e giurisprudenza, oggi, sono quasi unanimi nel definire il diritto di accesso come
diritto soggettivo: si è quindi trovato un correttivo in merito alla reiterabilità della domanda,
affermando che la seconda debba contenere elementi ulteriori e diversi rispetto alla prima. 54
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Marco Interdonato © 2017
Il privato ha diritto di prendere visione ed estrarre copia: in passato era stata avanzata una
tesi in base alla quale un modo efficace per bilanciare il diritto alla riservatezza e il diritto all’accesso
poteva essere quello di limitare l’accesso alla mera visione, impedendo di prendere copia dei documenti.
Questo ragionamento, secondo Simonati, non aveva alcun senso: è chiaro che l’accesso è meno invasivo
se non viene esercitato su dati riservati altrui, ma nella maggior parte dei casi il soggetto sa già il
contenuto dei documenti che lo riguardano e infatti vuole conoscere il contenuto dei documenti che
riguardano altri soggetti.
Si deve quindi vedere nel singolo caso è più forte l’aspirazione di chi chiede l’accesso o di chi
vorrebbe un riserbo nei dati personali; se il diritto alla riservatezza era più forte, anche se il soggetto
non prende copia, questo è stato violato. Tanto è vero, che dopo attenta valutazione, questa tesi è stata
sostanzialmente abbandonata ed il legislatore ha codificato appunto l’esercizio del diritto sia nel
prendere visione che nel prenderne copia; questa scelta è in capo al privato