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CASI INERENTI A RESPINGIMENTI ED ESPULSIONI
Primo caso. Il caso in questione condanna fortemente lo stato italiano sotto un duplice profilo, non solo sostanziale, riconoscendo che appunto la lesione vi è effettivamente stata, ma anche sotto il profilo procedurale, riconoscendo in capo al legislatore italiano il dovere appunto, mancato, di implementare con qualsiasi mezzo (obbligo positivo) tutti gli strumenti idonei affinché il divieto sia effettivo. Il caso riguarda l'irruzione nelle scuole diaz e pascoli occupate dai black block da parte degli agenti di pubblica sicurezza. La corte e prima ancora la cassazione riconoscono in merito che effettivamente gli occupanti sono stati effettivamente soggetti a trattamenti non proporzionati al comportamento di resa da questi assunto. La cassazione infattistabilisce che i soggetti in questioni sono stati sottoposti a trattamenti punitivi e umilianti non giustificati. Il processo penale però si chiude con una mancata o meglio parziale condanna degli agenti poiché nell'ordinamento italiano non era previsto un reato di tortura e quindi gli agenti vennero condannati per reati minori. I ricorrenti presentano ricorso alla corte di Strasburgo che appunto stabilisce vi siano stati atti di tortura e quindi condanna l'Italia ex articolo tre, ma non solo appunto per aver posto in essere simili trattamenti, bensì anche perché non essendo previsto un reato di tortura nell'ordinamento italiano i responsabili risultano essere stati non adeguatamente puniti (considerato anche che per via delle lungaggini dei processi i reati minori si sono anche prescritti). Secondo caso. Il caso termina anche questa volta con una condanna nei confronti della Francia per violazione del divieto di tortura. Le forze di polizia francesi.Avevano infatti proceduto, da quanto emerso nelle indagini, ad un legittimo fermo di polizia, successivamente convalidato dall'autorità giudiziaria, durante il quale però gli agenti avevano sottoposto il soggetto a varie sevizie che lo hanno portato a sofferenze tanto fisiche che mentali tali da integrare appunto una condotta lesiva dell'articolo 3 della convenzione.
Terzo caso. Anche qui la sentenza si pone come decisione di condanna verso lo stato tedesco. I profili fattuali sono molti simili alla causa francia vs selmouni. Il ricorrente lamenta infatti di aver subito, durante un interrogatorio, pressioni, minacce e abusi tali da indurlo a confessare un reato che in realtà non avrebbe commesso, chiedendo quindi che venisse meno la validità della sua ammissione di colpevolezza. La corte torna più volte, a seguito di diversi ricorsi, sul caso in questione condannando la germania per violazione ex articolo 3. La corte in questa sentenza ribadisce il
caratteredi assolutezza del divieto in questione e infatti neppure nel caso in cui il soggetto,come nella fattispecie, sia stato sottoposto a interrogatorio o indagine perché accusato di aver commesso delitti aberranti, sia possibile venir meno o derogare a tale divieto. Quinto caso. Il caso è particolarmente rilevante, non solo per il fatto che l'Italia sia stata nuovamente condannata per violazione ex articolo 3 e, non solo; ma ha posto un problema anche interno all'ordinamento circa l'apposizione del segreto di stato che ha interessato persino la corte costituzionale pronunciatasi con sentenza 106/2009. Sotto il profilo fattuale emerge che sul territorio italiano si è svolta una cosiddetta "consegna straordinaria" ossia una prassi tale per cui si sequestra una persona e la si spedisce in un altro luogo, ovviamente tutto ciò a insaputa del soggetto di fatti detenuto. Il protagonista di tale "consegna" era un appartenente adUn'organizzazione terroristica che si era rifugiata in Italia e successivamente alla consegna era appunto tornata in territorio egiziano. Tale pratica ha portato l'uomo in questione ad essere rinchiuso in una cella a condizioni anguste e sottoposto a sevizie di ogni genere. Tale detenzione dura per un certo periodo, dopodiché viene liberato riportando notevoli conseguenze psicofisiche, ma successivamente senza l'avvio di un processo e quindi arbitrariamente si decide di detenerlo nuovamente infliggendogli le medesime condizioni. A fronte quindi della prima sparizione nel 2003 la moglie di Nasr ne denuncia la scomparsa alle autorità italiane e nel 2009 si giunge grazie al tribunale di Milano ad una sentenza che appunto accertava il sequestro e condannava alcuni soggetti autori del fatto. Il problema si pose sostanzialmente per quanto riguarda l'apposizione da parte dello stato italiano appunto del segreto di stato che ha in sostanza lasciato impuniti i colpevoli.
La pronuncia della corte cost. ha poi avallato tale decisione riconoscendo incapo al pubblico potere in sostanza una forte discrezionalità in merito all'apposizione del segreto. Il ricorrente quindi si rivolge alla corte edu che condanna l'Italia non solo a fronte dell'articolo 3 poiché la prassi della consegna si è consumata sul suolo italiano, ma anche per aspetti legati alla violazione dell'articolo 5,8,13 (quindi anche sotto l'aspetto prettamente procedurale). Apporre il segreto ha infatti impedito che i colpevoli (ritenuti tali da una sentenza del tribunale di milano) rimanessero in sostanza impuniti. Un elemento da evidenziare nella sentenza riguarda il fatto che nonostante la violazione del divieto di tortura si sia effettivamente svolta per mano dello stato egiziano, la cedu condanna comunque l'Italia per violazione dell'articolo tre. Questo perché la giurisprudenza della corte di Strasburgo ha elaborato appunto una.suainterpretazione tale per cui lo stato integra violazione del divieto di tortura anche nel caso in cui sia a conoscenza del fatto che il soggetto se appunto mandato in altro luogo, proprio qui possa essere sottoposto a sevizie e torture più o meno gravi (si pensi ai casi in cui la corte ha sottolineato il divieto per gli stati firmatari della cedu di estradare individui rei che in quel luogo possano essere sottoposti a pena di morte). Ciò in relazione a quanto detto precedentemente circa il carattere inderogabile del divieto di tortura che appunto non subisce deroghe neppure in relazione ad un’eventuale estradizione. Sesto e settimo caso. I casi Sulemainovic vs Italia e Torreggiani verso Italia rappresentano un esempio di violazione dell’articolo 3 riguardanti la condizione carceraria, nel caso di specie italiana. La prima delle due sentenze, del 2009, viene definita una cosiddetta sentenza pilota, ossia una sentenza nella quale la corte manifesta espressamente cheQualora si dovesse presentare alla sua attenzione un fatto simile/uguale a quello appena deciso ella agirà esattamente allo stesso modo, o meglio applicherà, tenendo pur sempre in debita rilevanza le eventuali differenziazioni del caso, la medesima ratio decidendi e quindi la medesima sanzione.
Nel primo caso il ricorrente si lamenta appunto delle condizioni di sovraffollamento delle celle italiane, essendo stato infatti detenuto in celle che adibite a 2/3 persone ne ospitavano in realtà molte di più. Nel secondo caso il ricorrente lamenta la medesima situazione, aggiungendo la mancanza di acqua calda, luce e in sostanza condizioni troppo anguste. La corte in entrambe le sentenze procede per una condanna dello stato italiano. Stabilisce inoltre una dimensione che le celle dei vari stati devono presentare, preannunciando quindi una condanna per tutti quegli stati che non adempiano a tale misura. Tale decisione ha avuto un riscontro non poco rilevante sul piano economico.
Dei singoli stati. Ottavo caso. Il caso è stato deciso con la condanna dell'Italia. I due ricorrenti di nazionalità rispettivamente somala ed eritrea, lasciano il suolo africano partendo dalla Libia, per mezzo di imbarcazioni clandestine, dirette in Italia. Tali mezzi vengono intercettati e rispediti sul suolo libico. I ricorrenti lamentano che durante tale operazione non siano stati in alcun modo informati riguardo a cosa stavano andando incontro, non sono stati sottoposti a nessuna operazione di identificazione e una volta giunti in territorio libico vengono obbligati a lasciare le navi italiane. La corte condanna l'Italia ex articolo 3 in virtù dell'interpretazione "estensiva" che si dà allo stesso o, meglio, riconoscendo allo stesso un ampio raggio d'azione. Infatti l'Italia viene condannata in virtù del fatto che la corte riconosce effettivamente la possibilità reale e concreta che i soggetti ritrasferiti e
rilasciati in terra africana potessero essere sottoposti a trattamenti inumani e degradanti e, quindi, l'Italia potendo essere perfettamente cosciente di ciò li abbia esposti a tali rischi. La questione inoltre si pone sotto il profilo della violazione da parte dell'Italia anche del protocollo 4 articolo 4, che impone un divieto allo stato di espellere degli stranieri senza aver considerato le circostanze personali degli stessi individui. Tale è stato proprio il comportamento dello stato italiano che ha in sostanza proceduto ad un allontanamento/espulsione sostanzialmente arbitraria. Decimo caso. Il caso riguarda un argomento di notevole peso, ossia la compatibilità della pena ergastolana con il divieto espresso dall'articolo 3. La sentenza kafkaris vs cipro del 2008 (una leading case) pone il linea di principio l'ammissibilità delle due purché appunto la sanzione del fine pena mai non sia sproporzionata rispetto al reato commesso e vi sia.Una possibilità, de iure o de facto, tale per cui si rende possibile al condannato la "speranza di ottenere la liberazione". Prima di analizzare il caso bisogna quindi premettere che nel regno unito esiste un tipo di condanna che prevede appunto l'ergastolo senza possibilità di scarcerazione (per determinati reati) se non in estremis. Tale modello era stato applicato appunto ai ricorrenti che quindi lamentavano l'impossibilità per loro di essere sottoposti ad una pur minima riduzione della pena o comunque beneficio, proprio in virtù del fine rieducativo e di reinserimento della pena. La corte ritiene che tale metodologia applicata dal regno unito sia contraria all'articolo 3 condannando il regno unito. Si stabilisce quindi che debbano esservi dei sistemi tali per cui sia possibili rivalutare se nel caso di specie il soggetto detenuto presenti ancora tutti quei profili che ne giustificano la restrizione così forte della pena.
principio di libertà. Il caso riguarda la richiesta di estradizione di Jens Soering, un cittadino tedesco, da parte del Regno Unito agli Stati Uniti. Soering era accusato dell'omicidio di due persone negli Stati Uniti e il Regno Unito aveva accettato di estradarlo in base a un trattato di estradizione tra i due paesi. La Corte Europea dei Diritti dell'Uomo ha esaminato il caso e ha stabilito che l'estradizione di Soering violerebbe l'articolo 3 della Convenzione Europea dei Diritti dell'Uomo, che proibisce la tortura e i trattamenti inumani o degradanti. La Corte ha ritenuto che Soering sarebbe stato sottoposto a un rischio reale di essere condannato a morte negli Stati Uniti e che l'estradizione avrebbe costituito una violazione dell'articolo 3. Questa decisione ha stabilito un corollario fondamentale al principio di libertà, sottolineando che gli Stati non possono estradare una persona verso un paese in cui è a rischio di subire trattamenti inumani o degradanti. La decisione ha avuto un impatto significativo sulle pratiche di estradizione in Europa e ha contribuito a rafforzare la protezione dei diritti umani.