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TERZO CHE EGLI TRATTA PER IL PREPONENTE; TUTTAVIA IL TERZO PUO’
AGIRE ANCHE CONTRO IL PREPONENTE PER GLI ATTI COMPIUTI
DALL’INSTITORE, CHE SIANO PERTINENTI ALL’ESERCIZIO
DELL’IMPRESA A CUI E’ PREPOSTO.
Si tratta di una fattispecie che Bigiavi considera molto simile a quella
dell’imprenditore occulto anche se occorre considerare una differenza astratta che a
volte nei fatti si confonde: la fattispecie dell’institore e quella dell’imprenditore
occulto non sono identiche perché con l’institore si parla esclusivamente di
rappresentanza non essendo egli un imprenditore, a differenza dell’imprenditore
palese che è in realtà imprenditore, esercita attività di impresa e spende il proprio
nome.
Il primo inciso della norma (fino al punto e virgola) non ci dice nulla di più
sull’istituto proprio della rappresentanza mentre la seconda parte sottolinea il fatto
che il terzo contraente può agire nei confronti dell’imprenditore anche se l’institore
non ne spende il nome. Il fatto che l’imprenditore ai sensi dell’art 2208 è responsabile
anche se l’institore non spende il suo nome permette di dire che la norma è
suscettibile a interpretazione analogica per la fattispecie dell’imprenditore occulto.
Il primo riferimento di Bigiavi alla figura dell’institore ha come finalità quella di
considerare il rapporto dell’imprenditore occulto nei confronti dei terzi, si tratta
sostanzialmente della valutazione dei rapporti esterni.
In merito ai rapporti interni Bigiavi cerca si spiegare la sua tesi tirando in ballo
un’ulteriore norma:
2297- Mancata registrazione: FINO A QUANDO LA SOCIETA’ NON E’
ISCRITTA NEL REGISTRO DELLE IMPRESE, I RAPPORTI TRA LA SOCIETA’
E I TERZI, FERMA RESTANDO LA RESPONSABILITA’ ILLIMITATA E
SOLIDALE DI TUTTI I SOCI, SONO REGOLATI DALLE DISPOSIZIONI
RELATIVE ALLA SOCIETA’ SEMPLICE. TUTTAVIA SI PRESUME CHE
CIASCUN SOCIO CHE AGISCE PER LA SOCIETA’ ABBIA LA
RAPPRESENTANZA SOCIALE, ANCHE I GIUDIZIO. I PATTI CHE
ATTRIBUISCONO LA RAPPRESENTANZA AD ALCUNO SOLTANTO DEI SOCI
O CHE LIMITANO I POTERI DI RAPPRESENTANZA NON SONO OPPONIBILI
AI TERZI, A MENO CHE SI PROVI CHE QUESTI NE ERANO A
CONOSCENZA.
In questa norma vengono trattate le società irregolari. Per le società di capitali
l’iscrizione nel registro delle imprese ha efficacia costitutiva, al contrario le società di
persone se non si iscrivono, ciò non comporta che non vengano ad esistenza ma che
ad esse si applica una disciplina diversa. Anche in caso di mancata registrazione, la
società di persone esiste ma subirà una disciplina maggiormente gravosa tipizzata
all’art. 2297. Il potere di rappresentanza si presume in capo al socio che agisce per
conto della società, anche se la società non è registrata. Attraverso un reticolato di
norme, Bigiavi sostiene l’estensione della responsabilità.
Anche nel caso di mancata registrazione permane la responsabilità dei soci e colui
che agisce ha la rappresentanza. L’estensione analogica in questo caso è più
complessa, ma si può estendere con una frase chiara:
come la disciplina delle società irregolari prevede che colui che agisce si reputi che
sia il rappresentante, così l’imprenditore palese che agisce per conto
dell’imprenditore occulto ha la rappresentanza, quindi, risultano entrambi
responsabili. Si comprende bene che Bigiavi attraverso un reticolato di norme estende
la rappresentanza dall’imprenditore palese all’imprenditore occulto.
Si ricordi, inoltre, che la società irregolare non è iscritta, quindi non è conoscibili dai
terzi ecco perché Bigiavi riprende la fattispecie considerandola analoga.
Bigiavi, dunque, nella sua trattazione della tesi considera sia l’ambito esterno che
l’ambito interno ovvero il potere di agire dell’imprenditore palese (rapporti interni,
analogia con l’art 2297), sia la responsabilità nei confronti dei terzi (rapporto esterno,
analogia con l’art 2208).
Tutte queste considerazioni derivano dal fatto che Bigiavi tra spunto per la sua tesi da
un problema sociale di tutela dei terzi L’argomento di Bigiavi di carattere sociale che
più ha avuto seguito è quello della tutela dei terzi. Di solito avviene che
l’imprenditore palese è nullatenente, per cui coloro che hanno fatto affidamento (si
utilizza in maniera appropriata il termine affidamento, richiamando la TEORIA
DELL’AFFIDAMENTO DEI TERZI) si trovano di fronte ad un soggetto privo di
patrimonio e non vengono pagati. I creditori dell’imprenditore palese non risultano
affatto tutelati perché non avranno un patrimonio su cui rivalersi.
Questa funzione sociale si evidenzia all’interno di una serie di norme e non solo dal
sentire comune, ovvero l’art 2297 e 2208: lo spirito è quello della tutela del terzo, che
il legislatore presume essere un soggetto debole.
Bigiavi, inoltre, non si limita a preoccuparsi del problema dell’estensione della
responsabilità, ma anche della fallibilità.
Tutto l’impianto delle procedure concorsuali è fondato sulla valutazione della
sussistenza del presupposto soggettivo e del presupposto oggettivo in capo
all’imprenditore che sia responsabile di determinati debiti: occorre valutare
l’insolvenza e lo stato di crisi (presupposto oggettivo) e se si tratta di un imprenditore
commerciale medio - grande (presupposto soggettivo). Le obbligazioni fanno capo
all’imprenditore palese per cui questa difficoltà emerge anche negli studi della
dottrina. Per questo Bigiavi prende in considerazione una norma, l’ art. 147 legge
fallimentare, norma sull’estensione del fallimento nell’ambito delle società di
persone.
Nelle società di persone uno degli elementi tipologici è la responsabilità illimitata e
solidale in capo ai soci: i creditori in via di escussione possono rifarsi sul patrimonio
dei cosi, infatti, nelle società di persone vi è autonomia patrimoniale imperfetta
(relativa) e tale principio di responsabilità illimitata vale anche in tema fallimentare
perché nel momento in cui fallisce una società di persone falliscono anche i soci
illimitatamente responsabili di quella società. Il creditore sociale potrà rifarsi
nell’ambito del fallimento del socio illimitatamente responsabile. Il fallimento copre
tanto la società di persone quanto automaticamente il socio illimitatamente
responsabile. Il 147 non si limita a questo concetto ma dispone anche che fallisce
anche il socio occulto della società di persone fallita. E’, quindi, possibile che vi
siano anche dei soci che non risultano tali all’interno del contratto sociale ma che
tuttavia esercitino l’attività. Tra imprenditore palese e occulto vi è un rapporto
assimilabile a quello di società irregolare. Il legislatore evidenzia come nel nostro
ordinamento valga un principio realistico in ambito societario, ma solo per le società
di persone. Infatti, anche la società di fatto ha un rilievo societario e ad essa si applica
la disciplina della società di persone. Secondo Bigiavi, tra imprenditore occulto e
palese si costituisce una società di fatto occulta: l’imprenditore occulto è un socio di
capitali, mentre quello palese presta la sua opera. Il budget dell’imprenditore occulto
è utilizzato dall’imprenditore palese per esercitare l’attività economica: tutto ciò che
sarà l’utile, sarà distribuito tra imprenditore palese ed occulto. Se vi saranno delle
perdite, fallisce soltanto l’imprenditore palese. A questa fattispecie si applica la
disciplina della società di persone. Quindi secondo Bigiavi lo strumento per estendere
la fallibilità dall’imprenditore palese a quell’occulto è quello di ritenere che tra i due
esista una società occulta. Fallisce sia la società occulta che i soci (palesi ed occulti)
della società fallita. Si tratterebbe, dunque, di una società di fatto, non iscritta e
occulta.
La teoria di Bigiavi è stata confutata da Ascarelli.
Vi sono una serie di ragioni che portano ad una teoria completamente opposta a
quella di Bigiavi. Partendo innanzitutto dalla diretta proporzionalità tra potere e
responsabilità potremmo dire che mentre nelle società di persone chi ha potere di
gestire è anche colui che è responsabile, mentre nelle società di capitali il potere di
gestire è in capo agli amministratori, che di regola non sono soci. Gli amministratori
sono responsabili esclusivamente qualora non adempiano diligentemente alle
obbligazioni sottese al proprio incarico e questo inadempimento comporti un danno
per la società, che è cosa diversa dall’estensione della responsabilità sociale in capo
ai soci, d’altronde la società di capitali è organizzata per organi che costituiscono la
corporate governance. I soci sono responsabili limitatamente al loro conferimento
nella società mentre la società risponde con il proprio patrimonio. Nelle società di
capitali, dunque, il potere di gestire è nelle mani dell’amministratore o,
eventualmente nel caso di più amministratori, del consiglio di amministrazione. Il
rapporto tra potere e responsabilità è di pari dignità ma opposto nelle società di
capitali rispetto alle società di persone. Se questo è vero, non esiste un rapporto
generalizzato proporzionale tra potere e responsabilità. Si deduce, quindi, che se non
esiste un principio generale per l’estensione della responsabilità in capo a chi ha il
potere di decidere, ciò significa che non si può imputare all’imprenditore occulto la
responsabilità degli atti compiuti dall’imprenditore palese.
Mentre Bigiavi, riprendendo l’art 2297, affermava che l’imprenditore palese avesse la
rappresentanza dell’imprenditore occulto, Ascarelli diceva che si tratta piuttosto di
una norma sulla spendita del nome: va letta, quindi, nel senso che qualora esista una
società di persone che non sia registrata nel registro delle imprese ed un socio agisca
in nome e per conto della società, solo in questo caso si deve reputare che il socio ne
abbia la rappresentanza. Per applicare l’art. 2297 è necessario che il socio spenda il
nome della società, al contrario Bigiavi affermava che non fosse necessaria la
spendita del nome. Ciò vuol dire che la norma è un portato del principio della
spendita del nome. Se