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Pertanto, applicando il già visto criterio della spendita del nome, e poiché nel mandato senza

rappresentanza il rapporto tra il mandante e il mandatario è irrilevante per i terzi (che trattano

esclusivamente con il mandatario e <<non hanno alcun rapporto con il mandante>>; art.

1705), deve essere considerato imprenditore il prestanome, che agisce con i terzi come

titolare dell’impresa, e non l’imprenditore occulto, che dirige l’impresa ma senza apparire

all’esterno .

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Questo modo di operare non solleva particolari problemi fin quando gli affari prosperano e i creditori sono

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regolarmente pagati dall’imprenditore palese. Ne solleva invece di ben gravi quando gli affari vanno male ed il

soggetto <<utilizzato>> dal dominus sia - come spesso accade - una persona fisica nullatenente o (ed è questa la

soluzione più semplice e comoda) una società per azioni o a responsabilità limitata con capitale irrisorio (c.d. società

di comodo o etichetta).

Certamente i creditori potranno provocare il fallimento del prestanome; questi ha agito in proprio nome ed

ha perciò acquistato la qualità di imprenditore commerciale. È indubbio però che, data l’insufficienza del relativo

patrimonio, i creditori ben poco potranno ricavare dal fallimento di questi. E se si ammette che obbligato nei loro

confronti è solo l’imprenditore palese, il risultato ultimo sarà che il rischio di impresa non sarà sopportato dal reale

dominus, ma è da questi trasferito - attraverso lo schermo dell’imprenditore palese - sui creditori o quanto meno sui

creditori più deboli. Su quei creditori cioè (piccoli fornitori, lavoratori, enti previdenziali) che non sono in grado di

premunirsi contro il dissesto del prestanome costringendo il reale interessato a garantire personalmente i debiti

contratti in proprio nome dal primo. E questo modo fraudolento di operare può essere causa di una serie di dissesti

a catena, dato che i creditori dell’imprenditore palese sono a loro volta in larga parte imprenditori.

D’altra parte, se pure dovesse scoprirsi l’esistenza di un accordo regolante i rapporti tra l’imprenditore occulto e

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l’imprenditore palese, tale accordo dovrebbe essere considerato alla stregua di un mandato senza rappresentanza.

La tesi esposta consente all’effettivo titolare di sottrarsi ai rischi e alle responsabilità

dell’impresa, interponendo un’altra persona tra sé ed i terzi (le banche, i fornitori, i dipendenti

ecc.). Tali rischi formalmente gravano sul prestanome, ma sostanzialmente vengono trasferiti sui

creditori dell’impresa: nel caso di dissesto dell’impresa, infatti, i creditori potranno agire

soltanto sul patrimonio del prestanome, che spesso è una persona nullatenente (cioè priva di

beni) oppure una società fittizia.

Sul punto possiamo menzionare tre ulteriori orientamenti inclini ad individuare regole di

imputazione ulteriori rispetto a quelle sopra illustrate.

A) Per affermare la responsabilità del dominus, parte della dottrina ha ritenuto che per

l’attività di impresa opererebbero principi parzialmente diversi da quelli ricavabili dalla

disciplina del mandato senza rappresentanza; principi, come quello della paternità dell’agire 7

che consentirebbero di imputare anche al reale dominus i debiti contratti dall’imprenditore

palese e, secondo una tesi più spinta, consentirebbero altresì di sottoporre il primo al

fallimento. Questo servirebbe a neutralizzare i pericoli per i creditori, insiti nella rigorosa

applicazione del principio della spendita del nome, escludendo che la stessa sia requisito

necessario ai fini dell’imputazione della responsabilità per i debiti di impresa.

B) Un altro filone ha fatto leva sul cosiddetto principio di inscindibilità potere-

responsabilità. E cioè il principio che chi esercita il potere di direzione di un’impresa se ne

assume necessariamente anche il rischio e risponde delle relative obbligazioni. Questo

principio si desumerebbe da una serie di norme dettate in tema di società di persone (artt.

2267, 1° comma, 2291, 2318, 2320) ed in passato anche di società di capitali (artt. 2362, 2497,

2° comma) e sarebbe di generale applicazione. Esso consentirebbe perciò di affermare che,

quando l’attività di impresa è esercitata tramite prestanome, responsabili verso i creditori sono

sia il prestanome sia il dominus, per quanto solo il primo acquisti la qualità di imprenditore e,

quindi, sia senz’altro esposto al fallimento, dato che solo il suo nome è stato speso nel traffico

giuridico.

Critica. La tesi non è corretta perché guardando le norme in tema di società di persone

ci si avvede che l’esposizione illimitata del patrimonio dei soci alle obbligazioni sociali ben può

prescindere dalla titolarità dei poteri di amministrazione: rispondono delle stesse obbligazioni,

così, tutti i soci di società in nome collettivo ed i soci accomandatari delle società in

accomandita semplice, quand’anche non investiti della gestione dell’impresa.

C) L’ultimo indirizzo è quello legato al nome di Walter Bigiavi che ha elaborato la teoria

dell’imprenditore occulto, partendo dalle premesse dell’indirizzo B) ma giungendo a

conclusioni diverse.

Secondo tale teoria il dominus di un’impresa formalmente altrui non solo risponderà

insieme a questi, ma fallirà sempre e comunque qualora fallisca il prestanome. Lo spunto per

questa teoria è stata una norma della legge fallimentare (vecchio art. 147, 2° comma, ora

confluito nell’attuale 4° comma dello stesso articolo).

Socio occulto In base a tale principio, responsabile è colui il quale realmente compie le scelte e impartisce ordini (il mandatario/

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imprenditore occulto)

Tale norma dispone che il fallimento della società si estende anche ai soci la cui

esistenza sia scoperta dopo la dichiarazione di fallimento della società e dei soci palesi. È

questo il cosiddetto fallimento del socio occulto di società palese.

La teoria proseguiva affermando che l’art. 147, 2° comma (vecchio testo), fosse

applicabile per analogia alla diversa ipotesi in cui i soci abbiano occultato l’esistenza stessa

della società di persone. All’ipotesi, cioè, in cui chi contratta con i terzi si presenta come

imprenditore individuale mentre ha in realtà alle spalle uno o più soci occulti, sicché è socio

Società occulta occulto di una società occulta. E l’applicazione analogica sarebbe stata giustificata dal fatto

che fra le due ipotesi (socio occulto di società palese e società occulta) la differenza potrebbe

essere solo quantitativa, potrebbe essere cioè determinata solo dal numero di soci: società con

due soci palesi ed uno occulto nel primo caso; società con un socio palese ed uno occulto e

perciò essa stessa occulta, nel secondo caso. Oggi, peraltro, il fallimento dei soci occulti di una

società occulta è disposto espressamente dal nuovo art. 147, 5° comma.

La teoria prosegue affermando che, se fallisce la società occulta, è inevitabile che

fallisca anche l’imprenditore occulto, dato che <<sul terreno giuridico la situazione è infatti la

stessa, nulla importando il fatto che chi rimane fra le quinte sia soltanto un socio di chi appare

in pubblico o sia, invece, l’esclusivo titolare dell’impresa gestita dal prestanome>>.

E proseguendo per la via così intrapresa si arriva ad affermare la responsabilità e

l’esposizione al fallimento di chiunque (palesemente o occultamente) domini un’impresa a lui

formalmente non imputabile.

È così affermata la responsabilità del socio tiranno di una società per azioni.

Dell’azionista cioè che in fatto <<usa della società come cosa propria>> e ne dispone a suo

piacimento <<con l’assoluto disprezzo delle regole fondamentali del diritto societario>>.

Regole che vengono sistematicamente violate anche attraverso la confusione dei rispettivi

patrimoni: il socio utilizza il patrimonio della società per scopi personali e viceversa impiega il

proprio patrimonio per pagare i debiti della società o per finanziarla indirettamente attraverso

la sistematica concessione di garanzie ai creditori della società.

È altresì affermata anche la responsabilità dell’azionista sovrano. Dell’azionista cioè

che, pur rispettando le regole di funzionamento della società, in fatto domini l’impresa

societaria in forza del possesso di un pacchetto azionario di controllo.

Critica 1) La tesi non è corretta perché guardando le norme in tema di società di

persone ci si avvede che l’esposizione illimitata del patrimonio dei soci alle obbligazioni sociali

ben può prescindere dalla titolarità dei poteri di amministrazione: rispondono delle stesse

obbligazioni, così, tutti i soci di società in nome collettivo ed i soci accomandatari delle società

in accomandita semplice, quand’anche non investiti della gestione dell’impresa.

Critica 2) Nel fallimento del socio occulto di società palese è fuori contestazione che

esiste una società con soci a responsabilità illimitata; è fuori contestazione, inoltre, che il

soggetto successivamente scoperto sia socio di tale società; è fuori contestazione, infine, che

gli atti di impresa siano stati posti in essere in nome della società. Ciò che è stato occultato è

solo il reale numero dei soci ed il socio occulto risponde e fallisce esattamente per lo stesso

motivo per cui rispondono e falliscono i soci palesi: perché fa parte della società. Vale a dire,

pur sempre in base ad un criterio formale: partecipazione ad una società di persone .

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Né è qui in gioco il principio della spendita del nome dato che neppure il nome dei soci palesi è stato

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direttamente speso.

Nel fallimento del socio occulto di società occulta è del pari fuori contestazione che

esiste una società a responsabilità illimitata e che i soggetti successivamente scoperti ne fanno

parte. Anche i soci occulti di società occulta rispondono e falliscono sulla base di un criterio

formale oggettivo: far parte di una società di persone con soci illimitatamente responsabili .

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Nella fattispecie imprenditore occulto-imprenditore palese non esiste nessuna

società fra dominus e prestanome, dato che nel rapporto che si instaura fra i due mancano tutti

gli elementi costitutivi

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Scienze giuridiche IUS/04 Diritto commerciale

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