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Inoltre, la Convenzione definendo il concetto di paesaggio in base a ciò che viene percepito come

tale dalle popolazioni interessate, attribuisce un ruolo decisivo alla formazione collettiva e

all’educazione ambientale, preposte all’identificazione, percezione dell’immagine stessa dei luoghi,

oltre che alla loro gestione e pianificazione

La Convenzione amplifica i compiti di tutela a cui era chiamata l’educazione ambientale,

allargandoli non solo all’ambiente geofisico ma anche ai manufatti dell’uomo (mondi aggrediti

dalla modernità e dall’urbanizzazione). Deve far tesoro non solo degli spazi naturali e dell’immenso

patrimonio di bio-diversità della flora e della fauna, ma anche dei beni monumentali e artistici visti

nei loro contesti, nelle reti ecologiche, nelle trame antropologiche e nell’altrettanto immenso

patrimonio immateriale delle comunità locali: fiabe, canti, credenze, modi di cucinare, di riscaldare,

di raccogliere acqua, di costruire, di raccontare, di lavorare, di ballare e di giocare, di formare le

nuove generazioni.

5. L’Italia bella. L’educazione al paesaggio come Bene Comune.

L’ed. ambientale come educazione alla tutela del paesaggio, se oggi rappresenta uno dei cardini

dell’identità europea, è anche cardine dell’identità nazionale, come ricorda l’art. 9 della

Costituzione Italiana.

In Italia, dove l’ambientalismo non è mai stato cultura dominante, i richiami europei alla “coscienza

di paesaggio e luogo” e alla partecipazione attiva, sono stati raccolti più dal sistema “informale”

dell’ed. ambientale che dalla Scuola e dal sistema “formale”.

Per esempio, hanno notevolmente contribuito alla diffusione dell’ed. ambientale e all’ed. alla tutela

del paesaggio tutte le Agenzie INFEA - il Sistema Nazionale della Informazione, Formazione ed

Educazione ambientale - e le Agenzie Regionali di Protezione dell’Ambiente (ARPA).

Importante è anche l’attività delle Associazioni ambientaliste, come x es:

- WWF: che istituisce corsi di formazione, pubblicazioni editoriali, iniziative mediatiche,

campi scuola, programmi didattici;

- Legambiente: che organizza campagne di sensibilizzazione e informazione contro lo smog,

il nucleare, traffico illecito di rifiuti, abusivismo edilizio;

- LIPU: che propone una nuova attenzione sugli animali, x gli uccelli, x il loro habitat e

migrazione; protezione biodiversità e dei suoi contesti.

Queste attività hanno contribuito a fare leggi e a mantenere la legalità, a mettere in campo

conoscenze, esperienze, dati, ma non hanno però diffuso quella visione olistica che aveva come

orizzonte una società + naturale, un’etica della responsabilità.

L’ed. ambientale informale, purtroppo, non ha inciso nel profondo sull’atteggiamento quotidiano e

personale dei cittadini verso la Natura, l’ambiente e il paesaggio. L’<Italia bella> rimane, infatti,

oggi una delle nazioni “civili” più saccheggiate, dissestata nel territorio, sopraffatta dal cemento,

cosparsa di rifiuti. E non solo x l’incapacità e la corruzione dello Stato, ma perché in ogni cittadino

vi è l’introiezione del <modello Montalbano> (poliziotto buono e democratico, eroe della legalità

che vive però in una casa al mare che non rispetta i 300 m di distanza previsti dalla legge; cosa che

passa inosservata visto che ormai una casa dentro il mare non è un abuso ma una normalità. In Italia

prevale un <individualismo proprietario> del singolo che difende il proprio, la proprietà, senza

attenzione x il bene comune, il luogo comune, di uso civico e collettivo).

L’Educazione al Bene Comune dovrebbe essere un prerequisito dell’ed. ambientale informale;

questo significa agire non sui comportamenti ma sui valori, per focalizzare non solo come si fa la

raccolta differenziata, ma come si possano porre nuovi fini e nuovi pensieri. Ma questo solo la

Scuola, l’ed. formale, può farlo.

6. Centralità della scuola ed educazione transdisciplinare.

La scuola italiana resiste alla proposta radicale di una educazione ambientale “profonda”, che non si

fermi ad una prescrizione di buoni comportamenti, ma che ponga la sfida di una modifica

complessiva dei fini e dei saperi, rompendo con il paradigma ostile alla natura e lasciando permeare

di alleanza e amicizia la nuova “alfabetizzazione”, la quale non può che avvenire in tutti i

programmi e per tutte le discipline, rendendo l’ed. ambientale una Educazione Transdisciplinare.

Nella sua prima sistemazione ufficiale, l’educazione ambientale aveva questa connotazione.

Nel 1º accordo di Programma tra il Ministero dell’Ambiente e quello della Pubblica Istruzione del

1995, essa compariva come <una educazione transdisciplinare atta a contaminare i contenuti e i

metodi delle diverse discipline>.

E così pure nella “Carta dei principi per l’educazione ambientale” del 1997, sintetizzata dalla

circolare dello stesso anno (La scuola italiana x l’educazione ambientale); l’educazione

ambientale viene intesa come un punto di vista, una <attenzione> di tutte le discipline verso

l’ambiente. Non deve costituire una disciplina in più.

La circolare ribadiva la centralità della Scuola nella formazione, luogo in cui i giovani possono

apprendere le relazioni sociali e le abilità di cui necessitano per condurre un’esistenza sostenibile.

Nel Documento Educazione in cammino, presentato dal Ministero della Pubblica Istruzione alla 1ª

Conferenza nazionale dell’Educazione Ambientale tenutasi a Genova nel 2000, l’ed. ambientale

viene definita come una “educazione non circoscrivibile entro i confini di una nuova materia, né

identificabile con qualche contenuto preferenziale, ma un modo di intendere l’educazione, la scuola,

la società, che permei tutte le materie ed intervenga in campo socio-economico e culturale”.

L’esternalizzazione dell’ed. ambientale operata nella stagione dell’autonomia prepara così l’atto

conclusivo di cancellazione dell’ed. ambientale dalla scuola, prima operato con la Riforma Moratti

(2004) che la confonde fra le educazioni trasversali extracurriculari come l’ed. alimentare, alla

salute, alla cittadinanza, ecc., sganciandola dai programmi ufficiali; e poi con la Riforma Gelmini

(2008) dove è tornata ad essere quello che era negli anni ’70, cioè un’appendice confinata non più

nei programmi di Scienze ma nelle due ore di Educazione Civica.

7. L’ecologia della mente e l’educazione naturale

La scuola sembra rimasta sorda alla proposta complessiva dell’educazione ambientale, rimanendo

chiusa nei singoli progetti e nelle estemporanee unità didattica. Oggi i bravi insegnanti possono solo

fare visite guidate o trasferire le loro metodologie attive sui singoli contenuti ambientali.

Nelle aule non c è posto x gli erbari o acquari e dal punto di vista strutturale le scuole non

permettono la costruzione di orti botanici (B.Ciari).

Il paradigma dell’educazione ambientale deve essere fondato su saperi e spazi + naturali, + aperti,

su tempi + naturali e lenti, su metodi di insegnamento e apprendimento + naturali, in cui si lascia

spazio al gioco, al corpo, alla contemplazione, restituendo così forza alle dimensioni umane non

strumentali.

Ecologia della mente: la scuola deve uscire dalla logica della risorsa.

Nell’epoca dell’inquinamento globale, immaginazione e fantasia sono le zone corticali + inquinate.

La proliferazione di immagini standardizzate diffuse dai media uccide l’immaginazione libera e

attiva che produce sogni, utopie, racconti, miti, simboli. La distruzione della natura aggrava questo

fenomeno; pensiamo ai grattacieli che oscurano il sole e la visione delle montagne, ai pomodori

geneticamente modificati, alle pecore clonate, alle spiagge finte del Giappone. Sono parti

dell’anima e della mente che spariscono.

Bisogna reagire a questo attacco alla natura, a questa artificializzazione.

La scuola e l’ed. ambientale dovrebbero tornare al concreto, alla materia, alla corporeità,

dovrebbero fare professione di materialismo (da mater e materia): piante, animali, strade all’aria

aperta dove si possono fare vere passeggiate e dove si può esprimere un pensiero libero <all’aria

aperta>, un pensiero non conformista dell’immaginazione e della libertà.

Cap. 2 - Per una coscienza di paesaggio e di luogo.

1. Balvano, un villaggio Bororo.

Nel 1980: ci fu un violentissimo terremoto in Irpinia che provocò tanti morti e case distrutte. Poiché

era inverno e faceva un freddo tremendo, in aiuto alla popolazione superstite arrivò un camion

pieno di piumini caldissimi ma coloratissimi. Le anziane signore di Balvano, un paesino

dell’irpinia, non vollero indossarli, preferirono continuare a portare il loro scialle nero: strumento di

un linguaggio collettivo, un modo simbolico per reagire al dolore e superare insieme, attraverso

segni comuni, il lutto.

Le anziane meridionali sono molto sensibili alla perdita della familiarità dello spazio, spazio di

intimità e spazio di comunità, koinè. Nelle culture tradizionali lo spazio è sempre un continuum tra

interno ed esterno; non è solo un ambiente, uno sfondo, ma un linguaggio comune, il mezzo per

esprimere nel tempo sicurezza affettiva, relazioni di mutua assistenza, cooperazione economica,

comunicazione religiosa ed abilità narrativa. La salsa, la vendemmia, il bucato, il rosario, il

controllo su bambini e giovani, lo scambio di consigli per la cura di anziani, i riti e le feste di

devozione locale, le fiabe e i canti, i soprannomi, sarebbero impraticabili senza questa struttura

fisica che è anche rappresentazione simbolica, rappresentazione di una comunità di appartenenza.

Perderla significa cadere nella solitudine, nel mutismo e nell’anomia. La nonna meridionale <se la

porta sempre appresso>, si comporta come il nomade del deserto che, pur grande viaggiatore, ad

ogni nuovo arrivo monta la tenda ricoprendola di tappeti istoriati nella sua casa di provenienza.

Entrambi mettono in atto una strategia di sopravvivenza abitativa che introduce nel cambiamento,

elementi di riconoscimento salvati dalla perdita della propria comunità originaria.

Ricostruzione di una familiarità in un altro contesto per mitigare il rischio di <non esserci +> che

Ernesto De Martino chiama il rischio della presenza, il rischio cioè di uscire da una crisi o da un

lutto senza un collettivo riscatto, con la “catastrofe culturale”, la fine del proprio mondo storico e

culturale e di ogni altro possibile mondo. ( una persona deve partire ma d

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A.A. 2012-2013
20 pagine
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SSD Scienze storiche, filosofiche, pedagogiche e psicologiche M-PED/03 Didattica e pedagogia speciale

I contenuti di questa pagina costituiscono rielaborazioni personali del Publisher lunanera89 di informazioni apprese con la frequenza delle lezioni di Didattica Generale e studio autonomo di eventuali libri di riferimento in preparazione dell'esame finale o della tesi. Non devono intendersi come materiale ufficiale dell'università Università degli Studi di Roma La Sapienza o del prof Marchetti Laura.