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Noi apprendiamo utilizzando diverse modalità o stili: quello visivo, quello
uditivo, quello cinestetico. Ognuno di noi ha delle modalità differenti quindi ci
sarà chi impara di più vedendo coloro che hanno bisogno delle figure, ci sono
invece quelli che hanno uno stile uditivo per cui anche se non ti guardano
imparano fondamentalmente ascoltando, ci sono poi coloro che hanno bisogno
di toccare e sperimentare personalmente quindi coloro che hanno la cinestesia
come modalità prevalente, per cui io mi devo adattare. Gli stili sono differenti,
e possono essere differenti anche in relazione al livello di percezione che noi
abbiamo. Tutti possiedono un po’ di tutte le intelligenze, quindi noi per
comodità didattica parliamo di intelligenze, non è che ce ne sia solo una e
l’altra sia totalmente assente, sono variamente distribuite ma ognuno di noi ne
possiede un po’, anche la persona più grave, anche nelle situazioni più
problematiche, l’educatore non può prescindere dal pensare e dall’essere
convinto che un pochino di intelligenza noi ce l’abbiamo su tutti i settori.
Ognuno ha un po’ di intelligenza e una composizione diversa, queste
intelligenze sono situate in diversi parti del cervello e possono lavorare
insieme. La teoria di Gardner è confermata dalle scoperte delle neuroscienze?
Si, perché nel momento in cui dico che sono situate in diverse parti del
cervello, possono lavorare separatamente o insieme. Vedere e osservare sono
due processi differenti, vedere è intenzionale, guardare no perché io guardo
tutto quello che ho intorno anche se non voglio, mentre osservare, indica che
osservo solo se voglio, quello che voglio, l’osservazione è sempre mirata,
quindi queste intelligenze possono lavorare insieme la maggior parte delle
volte. Generalmente le intelligenze lavorano insieme, quindi non posso
separare nettamente l’esperienza cognitiva, dall’esperienza linguistica,
dall’esperienza emozionale e dall’esperienza musicale. Ci sono persone che
hanno un’ intelligenza molto sviluppata in un settore e magari un'altra
intelligenza che sta in secondo piano, ci sono persone che invece hanno livelli
di intelligenza ugualmente distribuiti in tutti i settori, queste intelligenze sono
tipiche dell’essere umano e lo caratterizzano, quello che ci differenzia da altri
animali e anche dalle scimmie, è che siamo capaci di combinare la parte
cognitiva, la parte emotiva, la parte relazionale, che sono assolutamente
differenti dalle loro. Howard Gardner non ha elaborato queste teorie sulla
base di ipotesi ma ha lavorato sul campo cercando di dimostrare proprio questi
elementi:
1. Intelligenza linguistico-verbale; quindi riflettere con le parole, sulle parole
e utilizzare le parole nella vita di tutti i giorni.
2. La logico-matematica; l’utilizzo dei numeri e riflettere sulle loro relazioni
e le loro connessioni che chiaramente assumono delle direttrici diverse
rispetto alle parole ed è un ragionamento diverso da quello logico
linguistico.
3. Visivo spaziale; predilige il pensare con immagini e fare elaborazioni su di
esse.
4. Ritmico musicale, pensare con e sulla musica, tutto quello che ha a che
fare con l’udito, con le modalità melodiche, ritmiche, o anche dissonanti
del rumore.
5. Cinestetica, legata al movimento; pensare con movimenti e gesti.
6. La naturalistica; pensare in un senso immanente cioè vuol dire che io
penso quelle cose con il concetto che anima le cose.
7. Interpersonale riguarda le relazioni da me all’esterno. Es: dialogo.
8. Intrapersonale modalità introspettiva legata al legame con se stessi. Es.
monologo.
Gardner ha elaborato la 9° intelligenza che lui chiama “Intelligenza
esistenziale” praticamente è la somma di tutte le altre intelligenze con una
valenza spirituale, per intelligenza esistenziale intende la capacità di utilizzare
tutte queste 8 intelligenze per dare un senso alla nostra vita.
(26-03-19)
L’approccio narrativo non è un’elencazione di esperienze, attività, azioni che
vengono messe in ordine. La narrazione è tale quando metto insieme non solo
gli elementi che fanno parte della relazione, ma li collego nel tempo e nello
spazio dandogli un senso, quindi costruisco la struttura formale, nella relazione
ho anche il pensiero analogico, il pensiero formale, ma il significato profondo è
dato proprio da quello che io intendo raccontare quindi mettendo in ballo anche
le emozioni. Nell’Approccio narrativo in senso didattico, per avere una valenza
didattica la devo contestualizzare; quindi diventa narrativo e diventa un valore
operativo, metodologico, quello che penso abbia un senso. Il progetto di vita
nasce nell’ambito del BES, in tutte quelle situazioni di disagio, e ha un valore
per ciascuno di noi, prendere consapevolezza di chi sono, quali sono le mie
caratteristiche, quali sono i miei bisogni autentici, non sono quelli indotti (dalla
società) di cui pensiamo di aver bisogno. Eriksson ha studiato “la scala
valoriale” quindi i bisogni non sono soltanto quelli fisici, quelli relativi alla vita
quotidiana ma anche bisogni di tipo spirituale, bisogni di tipo valoriale, bisogni
di realizzazione del sé, quindi avere un chiaro progetto di che cosa siamo e di
che cosa vogliamo. Il desiderio è la realizzazione di sé. Nell’approccio narrativo,
a livello didattico, noi abbiamo una finalità di apprendimento, tutto il discorso
fatto è finalizzato all’educazione come “metablesi” cioè come cambiamento,
l’educazione è cambiamento, l’apprendimento è la forma del cambiamento
perché noi apprendiamo costantemente delle modalità e contenuti nuovi.
L’apprendimento è anche moralità, non è solo scolastico ma è di pertinenza di
tutte le figure educative. Quando noi adottiamo l’approccio narrativo gli
apprendimenti si configurano come elementi di costruzione di una trama
all’interno di un contesto, la narrazione ha una trama quindi una
concatenazione di eventi a cui noi dobbiamo dare significato, eventi agiti da
degli attori che si muovono all’interno di un contesto.
Un QI elevato non corrisponde la felicità, le neuroscienze ci dimostrano che
molto spesso un QI alto è correlato alla depressione. L’intelligenza emotiva
nelle classificazioni internazionali (Emotional Intelligence) acronimo Ei mentre
in italiano iM, il concetto di intelligenza emotiva nasce nel 1990 è una
rappresentazione recente ad opera di due psicologi, che la definirono per la
prima volta come la “capacità di monitorare e dominare le emozioni proprie
altrui e di usarle per guidare il pensiero e l’azione. Individuare, conoscere,
dominare le proprie emozioni. Se non siamo in grado di individuare, non siamo
in grado di conoscere e quindi non siamo in grado di dominare e gestire. Il
compito dell’educatore è quello di supportare, accompagnare l’evoluzione,
agevolando il cambiamento perché il cambiamento è apprendimento. Le
neuroscienze ci dicono che le emozioni vengono prima della ragione. Prima la
proviamo e poi la classifichiamo. La percezione delle emozioni arriva
immediatamente. Le quattro dimensioni fondamentali dell’emozione:
1. Percezione valutazione e espressione, percezione è quello che sento,
l’emozione non è necessità di classificazione di tipo cognitivo perché
sento qualcosa che a volte non so neanche definire ma la sento
istintivamente. Alla percezione segue la valutazione e poi l’espressione
dell’emozioni. La percezioni delle emozioni facilità il pensiero io parto
dall’emozione e poi la sistemo nel mio universo conoscitivo in maniera
tale da dargli un senso.
2. La comprensione e l’analisi delle emozioni con il coinvolgimento della
conoscenza emotiva e la regolazione e la consapevolezza delle emozioni
che promuove la crescita emozionale e intellettiva, devo avere un
equilibrio tra le emozioni e la ragione, tra l’aspetto emozionale e l’aspetto
razionale. L’impatto emotivo deriva dal confronto con una situazione che
differisce dalle nostre conoscenze. La conseguenza cognitiva dello
stupore è la ricollocazione cognitiva (riposizionamento di un’esperienza a
livello cognitivo e mi fa assumere un apprendimento differente). Mi fa
ripensare gli elementi cognitivi del mio orizzonte conoscitivo. Lo stupore
è uno degli esiti che quasi sempre noi troviamo sentiamo dopo il
dissonanza cognitiva perché mi pone una situazione differente rispetto a
quella che io avevo ipotizzato quindi una soluzione diversa rispetto a
quello che io mi attendevo è chiaro che c’è meraviglia-stupore.
(28-03-19)
La didattica narrativa si configura in uno spazio-tempo complesso, ovvero
estremamente articolato nel senso della teoria della complessità. Bernson parla
di semplessità cioè rendere le cose complesse maggiormente accessibili senza
tornare alla linearità. La didattica si configura in uno spazio-tempo, tante cose
contemporaneamente, inserito in un anno per esempio; io non posso isolarmi
nel mio micro spazio-tempo, devo essere sempre consapevole di quello che mi
circonda. La complessità che troviamo nel contesto è la complessità che
troviamo dentro di noi. Ogni connessione non è stabilità perché è lineare, la
nostra percezione è allo stesso tempo lineare e complessa il che vuol dire che
io vedo tutto lo spazio. La didattica narrativa rifugge la linearità per lo stesso
concetto di trama, nella narrazione si parla su una trama e sugli attori, la
narrazione non è qualcosa di statico, ma è un qualcosa che ha necessità di
essere costantemente rimodulato, nello spazio didattico ho necessità di attuare
costanti micro relazioni, devo avere un equilibrio all’interno del setting che ho
costruito. Le competenze dell’educatore sono di due tipi: In una visione
complessa sono estremamente connesse, nella complessità non esistono gli
elementi isolati tutto è connesso alle altre cose.
Competenze estetiche, che attengono maggiormente all’ambito
professionale.
Competenze trasversali, (life skills, sport skills) attengono la nostra vita
professionale quanto le competenze tecniche.
Life skills di competenze trasversali sono quattro:
1) Capacità di relazione è la prima competenza trasversale necessaria, le
Life Skills sono le abilità di vita non possono essere confinate in un
settore e non possono neanche essere isolate in un settore.
2) Abilità etica, avere un sistema di riferimento di valori che orientano la
vostra vi