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La differenza tra questi due tipi di diabete è relativamente importante perché anche nel diabete di
tipo 2, le cellule beta andranno incontro ad un esaurimento e quindi anche in questo caso bisognerà
somministrare insulina dall’esterno.
15. Diabete gestazionale: compare durante la gravidanza in donne che non hanno mai avuto
episodi di ipoglicemia. Scompare dopo la gravidanza, è a rischio anche il feto.
16. Da altre cause: resezione del pancreas, neoplasia del pancreas, fibrosi pancreatica. Sono
condizioni che determinano una diminuzione della funzionalità dell’organo.
17. MODY 1-6: diabete tipico giovanile ma può colpire anche l’adulto. È dovuto a
modificazione genetica.
DIABETE INSULINO DIPENDENTE (1)
Il diabete di primo tipo, essendo a base autoimmunitaria, può essere diagnosticato misurando i
marcatori immunologici. Si possono ritrovare anticorpi diretti contro le isole pancreatiche, contro
l’insulina e soprattutto contro l’acido glutammico decarbossilasi. Quest’ultimo ha un’importanza
maggiore perché viene diagnosticato e dosato per primo, prima della comparsa degli altri due tipi di
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anticorpi. In un soggetto con predisposizione genetica, già il dosaggio di questi anticorpi permette
di predire il rischio di diabete.
Oggi abbiamo anche la possibilità di dosare gli anticorpi verso la proteina trasportatrice dello
zinco ZnT8, utilizzata anche nel decorso della malattia per avere un sentore della sua progressione,
in quanto questi anticorpi rimangono alti per un lungo periodo.
Nel diabete di primo tipo è fondamentale la predisposizione genetica. Un aumento del rischio è
correlato con la presenza di alcuni alleli HLA di classe 2 quali DR3-DR4 e DQ2-DQ8, strettamente
responsabili dell’attivazione dei linfociti T-helper. Una diminuzione del rischio è legata a DR2.
In questi soggetti si ha un’associazione familiare anche per altre malattie su base autoimmunitaria,
come la tiroidite di Hashimoto o la celiachia.
Anche il fattore ambientale è coinvolto nella determinazione della malattia, spesso correlato ad un
virus. Uno studio ha dimostrato come gli abitanti del Pakistan siano poco inclini alla malattia,
mentre chi di loro vive nel Regno Unito, dove vi è un’elevata prevalenza della malattia, ha più
probabilità di ammalarsi.
Il diabete di primo di tipo a base autoimmunitaria comporta la distruzione delle cellule beta e
la successiva mancanza di insulina.
Molto spesso si scopre per caso prima dei 25 anni in seguito ad un’infezione: questi ragazzi vanno
in coma ipoglicemico dopo un episodio di febbre non a rischio. Affinché questo tipo di diabete si
manifesti deve essere distrutto circa l’80% delle cellule β.
La malattia dipende quindi sia da fattori genetici e ambientali, ma anche da una risposta
infiammatoria interna al pancreas come l’insulite, che porta alla distruzione delle cellule β:
infiltrazione di linfociti, macrofagi e produzione di citochine proinfiammatorie (TNF e IFN), NO e
ROS che determinano un danno a livello della membrana della cellula pancreatica portando così
alla sua distruzione.
Il perché la cellula pancreatica venga riconosciuta come non self non è stato stabilito. Un’ipotesi
accreditata prevede la presenza di antigeni virali molto simili a quelli della cellula pancreatica, si
parla cioè di “mimetismo molecolare”, che porta al riconoscimento del self da parte del sistema
immunitario. Secondo altre ipotesi, il riconoscimento è dovuto al legame del MHC con l’antigene
insulare, alla disregolazione di molecole regolatorie o alla sopravvivenza di cloni reattivi di linfociti
che non rispondono più all’azione inibitoria delle citochine soppressive come IL-10 e TGF.
Riassumendo, nel diabete di tipo 1, insulino-dipendente, presente in età giovanile, c’è sicuramente
una predisposizione genetica legata all’espressione di alcuni geni HLA; c’è una risposta immune
contro cellule β, normali o alterate da un’infezione virale, che porta alla distruzione delle cellule β.
DIABETE INSULINO INDIPENDENTE (2)
Conosciuto anche come “diabete non insulino-dipendente” o “diabete senile”, non è caratterizzato
dalla mancanza ma dalla resistenza all’insulina: nel primo periodo il paziente continua a produrre
insulina, tuttavia i suoi recettori sono alterati, per cui non viene internalizzata e non si traduce il
segnale. Anche per il diabete mellito di tipo 2 ci può essere una predisposizione genetica,
l’incidenza aumenta con l’avanzare dell’età ed è correlata a scarso esercizio fisico ed obesità. Le
donne sono maggiormente esposte. Mentre il diabete di tipo 1 presenta una sintomatologia acuta,
fino all’insorgenza del coma, il diabete di tipo 2 ha una sintomatologia molto più sfumata:
l’iperglicemia è asintomatica, si manifestano soltanto complicanze che hanno determinato ormai
lesioni definitive. Ogni tre persone affette da diabete, due non sanno di essere malate: godono di
apparente benessere psicofisico e talvolta seguono diete poco salutari senza subire conseguenze a
breve termine.
La patologia è dovuta alla resistenza all’insulina, che si sviluppa a causa di un’alternazione a carico
dei recettori dell’insulina, che può essere a livello strutturale, quantitativo o di diminuita
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sensibilità. L’organismo reagisce allo stato di iperglicemia aumentando il rilascio di insulina: si
verifica un anomalo aumento contemporaneo della concentrazione di glucosio ed insulina. Tuttavia,
l’insulina o non si lega al recettore o si lega ad un recettore alterato, per cui la glicemia rimane
elevata. Il fegato, in presenza di alte concentrazioni di insulina, aumenta la glicogenolisi e rilascia
altro glucosio nel sangue. Anche i meccanismi in cui è coinvolta l’insulina nel metabolismo di
lipoproteine e lipidi vengono meno; si ha quindi un aumento dei trigliceridi, un’aumentata
espressione del gene ApoB100, un aumento delle VLDL e una diminuzione delle HDL.
È importante anche l’aumento del tessuto adiposo, che non ha soltanto un ruolo di riserva del
grasso, ma ha anche una grande attività metabolica: rilascia citochine proinfiammatorie (IL1α, IL6),
che influiscono sul legame dell’insulina con il proprio recettore e contribuiscono allo sviluppo della
resistenza all’insulina. La presenza di citochine proinfiammatorie e l’alta concentrazione di acidi
grassi hanno la capacità di inibire la trasmissione del segnale da parte del recettore dell’insulina:
ciò comporta la mancata produzione di NO e, di conseguenza, una ridotta vasodilatazione. La via
della MAP chinasi, che attiva la produzione di endotelina 1, non viene alterata, per cui rimane lo
stato di vasocostrizione. Ciò comporta l’aumento delle resistenze periferiche e perciò ipertensione.
Una complicazione sistemica del diabete è, infatti, l’aumento della pressione arteriosa.
Nelle cellule adipose e muscolari, le citochine proinfiammatorie inibiscono l’IKK-β e
interferiscono con l’attivazione dell’α-fosfochinasi, responsabile della traslocazione del
trasportatore del glucosio: il diminuito trasporto di glucosio determina l’aumento della glicemia.
Quindi nell’insorgenza del diabete è importante l’azione non solo dell’insulina, ma anche di altre
molecole (citochine proinfiammatorie, acidi grassi). Nell’andamento del diabete tipo 2 si possono
distinguere tre fasi:
1) Paziente normoglicemico, con aumento della quantità dell’insulina (inizio della resistenza).
2) Aumento della resistenza all’insulina, iperglicemia dopo i pasti.
3) Non c’è più produzione di insulina, diabete conclamato.
È in realtà sbagliato definire il diabete di tipo 2 “non insulino-dipendente”, perché alla fine le
cellule pancreatiche cessano di rilasciare insulina. L’insulina circolante è comunque capace di
influire sui processi metabolici, favorendo i processi anabolici:
1. riduce lipolisi, proteolisi e glicogenolisi;
2. aumenta la sintesi di glicogeno nel fegato e nel tessuto muscolare
3. aumenta la sintesi di trigliceridi nel tessuto adiposo (per questo i pazienti affetti da diabete
di tipo 2 sono in sovrappeso)
Nell’eziopatogenesi del diabete mellito di tipo 2 rientrano:
la massa corporea (BMI: 26-30),
una predisposizione genetica (non si eredita il diabete, ma la predisposizione),
lo stile di vita (sedentarietà, tabagismo, stress, abuso di alcolici). Nella dieta dei diabetici è
previsto un moderato consumo di alcol, che a basse concentrazioni ha azione
ipoglicemizzante.
Sintomi:
I. Polidipsia (sete eccessiva), e poliuria (eccessiva minzione), dovuta ad una causa osmotica: il
glucosio in eccesso che passa nelle urine richiama liquidi. Ciò può portare anche ad uno stato di
disidratazione.
II. fame,
III. stanchezza,
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IV. problemi alla vista (visione sfocata od offuscata,
dovuta alla glicemia alta)
V. rallentamento della risposta immunitaria
(infezioni vaginali da funghi anche nella prima
infanzia).
Nel diabete di tipo 1:
l’età di insorgenza è precoce,
il soggetto può avere corporatura normale o essere
dimagrito,
bassi livelli di insulina,
anticorpi anti-insule, chetoacidosi.
C’è predisposizione genetica, con insorgenza dovuta
ad un processo autoimmunitario.
Il diabete di tipo 2 insorge invece:
in pazienti più anziani,
obesi,
presentano raramente chetoacidosi, ma non hanno insulite;
si presenta atrofia focale e deposito di fibrille di amiloide all’interno del pancreas.
Prevenzione:
Dato che è legato alla predisposizione familiare, il diabete di tipo 2 si può prevenire agendo sulla
dieta e facendo movimento: bisogna restare magri e allenati.
Diagnosi:
Il diabete è legato all’alterazione della glicemia. Tuttavia, non
basta una singola misurazione: qualora la glicemia risulti
elevata in un’analisi occasionale, bisogna ripetere il test più
volte nell’arco di una giornata. Al risveglio la glicemia non
deve superare 100-105 mg/100 ml, dopo la colazione 120-
130 mg/100 ml, dopo 2 ore (glicemia post-prandiale) deve
tornare al livello che si aveva la mattina. Si parla di diabete
se in condizioni di digiuno si ha una glicemia maggiore di
126 mg/100 ml. La glicemia si misura sul sangue periferico,
tramite un prelievo venoso o pungendo il polpastrello. Il
paziente diabetico deve misurare la glicemia più volte al
giorno (solitamente 4: mattina, pomeriggio, sera e notte), per capire se ci sono squilibri e se bisogna