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COMEDIA DELLE NINFE FIORENTINE
Nel 1340 Boccaccio tornò a Firenze in seguito alla morte della moglie del padre Boccaccino e alle
ristrettezze economiche che seguirono. L’abbandono di Napoli procurò a Boccaccio grande tristezza tale
che nella sua opera comedia delle ninfe fiorentine, troviamo sotto forma di allegoria il suo voler morire
perché consapevole di una vita cupa e tetra. Il dolore e la sofferenza che derivano dall’abbandono di Napoli
sono dovute al fatto che nella città partenopea Boccaccio ha conosciuto la corte angioina e le nobildonne,
la biblioteca con grandi maestri e letterati e le opere classiche francesi oltre a quelle italiane. La comedia
delle ninfe fiorentine fu scritta nel 1341 in prosimetro, contiene cioè sia versi e in particolare terzine
dantesche e prosa. Il riferimento a Dante lo ritroviamo a cominciare dal titolo “comedia”, inoltre anche
Dante scrisse un prosimetro nella Vita Nuova, seguendo a sua volte dei poeti medioevali tra i quali Alano de
Lilla, Bernardo Silvestri e Boezio i quali sono un punto di riferimento non solo per Dante ma anche per lo
stesso Boccaccio. Un altro riferimento dell’opera la possiamo ritrovare nella caccia di Diana e di
conseguenza al mito di Atteone, in quanto anche la comedia boccacciana tratta del tema della
trasformazione da animale, cervo ad essere umano. Mentre Atteone viene trasformato da uomo a cervo
dopo aver guardato Diana nuda, Ameto, protagonista della comedia è un pastore cacciatore che vive in
condizioni di estrema rozzezza, viene trasformato e migliorato ad essere umano consapevole della verità
umana e capace di scoprire e comprendere anche quella celestiale, trascendente, ultraterrena grazie alla
forza dell’amore per Lia. Il testo è un misto tra un poema allegorico e il genere pastorale, ma all’interno
troviamo anche riferimenti novellistici, vengono infatti raccontate delle storie e in particolare quando le
ninfe parlano delle loro storie d’amore. Il poema è diviso in 50 canti, e quello centrale è il 26 esimo nel
quale viene descritto il Giardino di Pomena, il quale allegoricamente rappresenta l’educazione dell’uomo,
tema principale del testo, trattato anche dai poeti medioevali. Il giardino di Pomena, curato, amato e
ordinato come non se ne sono mai visti, rappresenta le cure e l’amore delle ninfe per Ameto pastore, il
quale riesce a civilizzarsi dalla condizione di rozzezza in cui si trovava grazie all’amore di Lia, una delle ninfe.
La cura del giardino di Pomena sta ad indicare l’educazione dell’uomo e nello specifico quella di Ameto, il
quale passa dalla confusione dei sensi ad un equilibrio spirituale e psicologico. L’amore di Ameto nasce
dall’ascolto del canto di Lia, del quale però il pastore non comprende il significato, ma ascolta e viene
affascinato dal semplice suono delle parole, in seguito si solidifica alla vista di Lia, grazie alla sua estrema
bellezza. Riconosciamo nel testo 3 parti principali: Ameto dopo la caccia si riposa e gioca con i cani nel
bosco (boschi toscani della Trulia, riferimento immediato al mito di Atteone). Abbiamo poi l’apparizione
delle ninfe ad Ameto in seguito al canto di Lia, e la parte finale, nella quale Ameto si trasforma ed esce dalla
sua condizione primitiva, arrivando a comprendere anche il significato delle parole del canto di Lia. Le ninfe
lo accolgono nel loro gruppo “la brigata” (topos che ritroviamo anche nel Decameron). La comedia di
Boccaccio è una rielaborazione del mito di Atteone seguendo però lo stile dello stilnovo che gli fu insegnato
a Napoli da Gino da Pistoia. L’opera si apre con Ameto che riposa nei boschi toscani della Trulia e abbiamo
quindi subito il richiamo ad Atteone con il primo impatto uomo-natura. La condizione di Ameto rappresenta
l’uomo primitivo, e c’è quindi un richiamo all’età dell’oro: non è piu possibile vivere come si faceva in
quell’era dopo la civilizzazione, e l’amore di Lia e le cure delle ninfe aiutano Ameto a civilizzarsi ed educarlo
nel migliore dei modi. Ameto rinuncia cosi a Diana (cioè la caccia, la rozzezza, l’età dell’oro) per Amore
(equilibrio, civilità). Boccaccio tornato a Firenze trova una città caotica e da qui nasce l’esigenza
dell’educazione dell’uomo, tema del suo testo, il quale sembra essere interamente dedicato sotto forma di
allegoria all’abbandono di Napoli, infatti troviamo infine anche l’evocazione della morte, perché Boccaccio
sa che gli aspetta almeno per un periodo una vita tetra e cupa dovuta a vari motivi: la morte della moglie di
Boccaccino, la malinconia interiore per l’abbandono di Napoli, le difficoltà economiche oltre a quelle che ha
nell’integrarsi nella vita mondana fiorentina e ad intraprendere un rapporto con le nobildonne come aveva
fatto a Napoli. Alla fine del testo Ameto ringrazia la Trinità, che gli aveva dato modo di capire non solo la
verità umana ma anche quella celeste. Boccaccio osserva la scena da una siepe e prova gioia e invidia per
Ameto e del suo rapporto con le ninfe che gli ricorda il rapporto che lui aveva con le donne napoletane.
Tutto ciò lo possiamo comprendere da alcune espressioni: “Ameto che presiede la corte delle ninfe”, fa
riferimento alla corte angioina; l’”abbandono della siepe” dietro la quale Boccaccio osserva la
trasformazione di Ameto, ci riporta invece all’abbandono di Napoli, “la casa cupa e muta” invece indica la
casa e la realtà fiorentina, “dal piacere all’amarezza della vita” è un chiaro paragone tra la vita napoletana e
quella fiorentina. La trasformazione massima di Ameto avviene quando le ninfe gli raccontano ognuna della
propria storia d’amore: troviamo in questo caso 7 monologhi, (una novità) all’interno di un poema
allegorico e pastorale che ha anche caratteri novellistici. Le 7 storie raccontate dalle 7 ninfe parlano
d’amore (altro riferimento alla corte napoletana, in quanto l’amore era uno degli argomenti trattati), e
sono tutte uguali tranne 1: 6 ninfe raccontano della propria nascita, dell’adolescenza, del matrimonio e del
loro impatto all’amore, quello che migliora e trasforma solo in seguito al matrimonio. La storia che si
distingue è quella di Lia che racconta della nascita, gioventù e del suo amore che eleva Ameto, il quale ha il
ruolo di coordinatore e correlatore delle 7 storie: questo ruolo lo ritroviamo anche nel Decameron con la
narrazione delle 10 novelle giornaliere. Un altro tema fondamentale è quello dell’interiorità dell’uomo, del
conoscere sé stesso: infatti quando Ameto viene presentato nel bosco mentre gioca con i cani, Boccaccio
non vuole solo indicare la sua rozzezza esteriore, ma anche quella interna in quanto Ameto non riesce e
non sa guardarsi dentro. Con l’amore per Lia, dalla quale inizialmente è completamente diverso e infatti
Boccaccio tiene sin dall’inizio a presentare le differenze tra i due, riesce poi a diventare coordinatore e
correlatore oltre che personaggio principale della sua storia. Nel discorso di Ameto, che prova spavento per
quello che stà provando, del sentimento e del fuoco nuovo che lo invade, ritroviamo Petrarca, il quale in
una sua canzone dice che l’amore spaventa l’uomo: questo è un tema trattato anche da Dante e Leopardi
nello Zibaldone commenta e approfondisce il verso petrarchesco “colui che dà spavento”.
Temi: educazione dell’uomo, amore che trasforma e migliora, interiorità dell’uomo
Aspetti meta-letterari: riferimento al vecchio padre e all’abbadono della città napoletana
Anche qui ritroviamo il topos dell’innamoramento a primavera (caccia di Diana)
Poetica dello stilnovo (angelica figura) (aggettivo grazioso)
Gioco dei pronomi (ora stendendoli a terra, ora stendendo sé stesso in mezzo a loro si stava) quando dice
che Ameto si sdraiava in mezzo ai cani.
Monte di Citerea: dedicato a Venere, le ninfe infatti sono devote alla dea dell’amore
Teogapen: pastore che Ameto e Lia incontrano e che elenca in una sua canzone gli effetti che l’amore ha
sull’uomo. Venere quando sceglie la sua preda, fa si che ogni rozzezza diventi bellezza (riferimento alla
metamorfosi che avrà Ameto), l’uomo rinuncia al cibo e al vino e il suo animo diventa saggio e giusto.
Nel testo Boccaccio descrive la città di Firenze e le sue caratteristiche e si sofferma in particolare sui boschi
toscani della Trulia, i quali sono descritti in modo molto dettagliato e specifico (descrizioni di questo tipo sui
luoghi le possiamo ritrovare anche sul giardino di Pomena e sulla città di Napoli nell’elegia di Madonna
Fiammetta quando il marito le consiglia un soggiorno per rilassarsi). In quei boschi Ameto si recava ogni
giorno per la caccia aiutato dai suoi cani e dal suo arco. Quel giorno dopo aver catturato la sua preda si
fermò a riposarsi sotto una quercia giocando con i cani e asciugandosi con le rozze mani il sudore e
rinfrescandosi la bocca con le umide fronde delle piante (Boccaccio tiene sin dall’inizio a specificare
l’estrema condizione di rozzezza di Ameto). Mentre si riposava ascoltò una voce mai udita prima e pensò
subito che gli dei erano scesi sulla terra, e non solo per quella voce celestiale ma anche perché quel giorno
la caccia era stata più abbondante, perché i raggi del sole erano più luminosi e perché c’era una grande
abbondanza di fiori e piante. Così pensando che anche gli dei come lui si stessero riposando tra i mortali
(mondani), Ameto legò i cani, prese un bastone e si recò verso quella voce per osservare gli dei sperando di
essere ben accolto. Arrivò nei pressi di un ruscello e notò alcune donne che si riposavano e altre che invece
si bagnavano. Meravigliato da cotanta bellezza fece qualche passo indietro vergognandosi delle sue
condizioni, ma i cani delle ninfe lo videro e scambiandolo per un animale (continuo riferimento alla rozzezza
di Ameto) gli saltarono addosso, mentre Ameto con parole rozze e con il suo bastone cercava di difendersi.
In quel momento pensò al mito di Atteone, il quale fu trasformato dalla dea Diana in cervo, dopo averla
vista nuda dopodiché fu sbranato dai suoi cani. Ameto temendo che gli fosse successo la stessa cosa si
toccò la fronte per sentire le corna maledicendosi della curiosità che lo aveva spinto fin lì. Le ninfe sentendo
le urla accorsero per calmare i cani. Ameto fu accolto dal gruppo di donne, mentre il canto di Lia ricominciò.
(nel canto troviamo un allegoria: Lia fa riferimento a Narciso che impersona l’egoismo, l’amore per sé
stessi, mentre la ninfa canta di non essere come suo fratello, ma di avere l’amore per il prossimo). Ameto
dopo aver superato la paura dei cani, si sentì rap