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Disciplina della lex Aquilia.
La prima espressione da prendere in considerazione, e che qualifica il nome stesso dell'illecito, è "Si alteri
damnum faxit".
Damnum: ha una qualche affinità con il greco tamno (tagliare).
La damnatio originaria consisteva nella vendetta, che si esplicava con il taglio della testa, con la distruzione
fisica. Vi era l'idea della distruzione fisica del bene. Damnum faceva riferimento alla distruzione del bene. E
ciò è pienamente coerente con l'idea di occidere, rumpere e frangere.
Ma nel capo 3 c'è una grande novità. Oggi, parlando di danno, facciamo riferimento a qualcosa di valutabile
economicamente. Il damnum originariamente alludeva invece esclusivamente alla fisicità della conseguenza.
Qui damnum è già nella concezione moderna del termine: non c'è damnum nel senso di danneggiamento
del bene, ma c'è la violazione del patrimonio. Il danno fisico lo faccio all'oggetto. Ma se dico che il danno lo
faccio ad altri, il danno è diverso dalla fisicità, ed è quindi un danno economico. Verrà in gioco un danno
patrimoniale esclusivamente conseguente alla distruzione o menomazione di un bene. Cosa ha per oggetto
la valutazione di questo danno? La valutazione del valore di mercato di quel bene. La perdita di reddito non
viene in gioco. Non viene in gioco un uti fruis staccato dalla nuda proprietas. C'è sempre il limite dei numeri
multipli e della retrodatazione.
Perché allora c'è il riferimento del danneggiamento fisico se la prospettiva è quella del danno patrimoniale?
Perché si vogliono ridurre le possibilità di contestazione.
Quale danno non è qui risarcibile? Il danno morale. Questo perché qui c'è sempre il riferimento alla
concezione originaria del damnum, che è la fisicità del danno, che verrà poi superata dalla lex Aquilia.
Se non c'è stato il danno economico, ma c'è stata la distruzione del bene, non si può agire in giudizio. Il
presupposto del danno economico è fondamentale (si alteri damni faxit). Il damnum è il presupposto
dell'azione. Qui è l'evoluzione decisiva per poi arrivare all'articolo 2043.
Capo 1.
Occidere presuppone il colpo.
Dicono le fonti: è stata usata la violenza, il colpo. Quasi manu: c'è proprio la fisicità dell'azione, c'è una
causalità immediata e diretta.
Nel II secolo occidere ha un significato più ampio.
Occidere si contrappone originariamente a necare (uccidere in qualsiasi modo: affamando).
La giurisprudenza, nell'interpretazione del verbo occidere, rimane sempre molto coerente con questa
impostazione originaria. L'allargamento non potrà essere portato a compimento, se non in epoca molto
tarda, e con il compimento di un'azione diversa dall'azione aquiliana.
Quando ad un certo punto si fa riferimento a questo allargamento semantico? Quando una lex Cornelia del I
secolo a.C. si viene ad introdurre un concetto nuovo, e cioè un concetto esplicito di causalità. La lex
Cornelia, che fa riferimento ad un'ipotesi criminale, presuppone il mortis causa praeber, cioè determinare
una causa di morte. Questo è un concetto molto ampio. Introduce un problema di nesso causale: quando un
comportamento è causa di un evento, e consente di concepire in un'ottica nuova, molto più illuminata, l'idea
di causalità diretta che emergere dal frangere e dal rumpere. In una società antica, dove la conseguenza è
l'immediata soggezione alla damnatio, devo essere sicuro che sei il responsabile.
L'azione Aquiliana era per il simplum nell'ipotesi in cui non si contestasse, nel duplum nell'ipotesi di
contestazione e negazione della pretesa, e fosse quindi necessario arrivare ad un processo.
Il comportamento violento deve essere qualificante.
Ritroviamo la vis come elemento fondamentale per la configurazione dell'occidere, ma Giuliano non tiene
conto dell'evoluzione che alla fine del I secolo a.C. il giurista Labeone aveva configurato. L'azione fisica sul
corpo può anche essere causata da un comportamento non necessariamente violento, ma che abbia
convinto la vittima stessa.
Un passaggio decisiva viene effettuato dalla Lex Cornelia, che concepisce per la prima volta nella storia il
tentato omicidio, ma soprattutto concepisce una sfera molto ampia di fattispecie criminose, riassunte nelle
causam mortem praebere. Essa viene ad essere nelle scuole di retorica. La causa sceleris può essere
prossima o remota.
Una volta che le scuole di retorica precisano ed arricchiscono questo concetto di causalità, sviluppando
l'idea di un nesso causale fra comportamento ed evento, ecco che le scuole di diritto se ne riappropriamo. Le
scuole di diritto iniziano a fare dei ragionamenti molto complessi.
L'actio in factum consente al pretore di estendere discipline che altrimenti sarebbero molto più complesse.
Pensiamo al caso dell'operaio che sia stato chiamato dal proprietario di una botte per sistemarla. Nel
riverniciarla, vi ha fatto un foro ed il contenuto si è perso. Anche qui il danno causato è alla botte, ma vi è un
rapporto di nesso causale.
Laddove c'è una causalità diretta si dà l'azione aquiliana, dove c'è una causalità mediata si dà l'actio in
factum. Capo 3.
Su quale verbo si gioca l'evoluzione? Non è un caso che non si faccia riferimento al vulnerare, perché è
molto più ampio: la ruptio non è riferita solo alle persone, ma anche ad oggetti.
Il rumpere posto in conclusione è un verbo generale, che consente di sussumere gli altri verbi, che appaiono
come verbi speciali e specificazioni. Se questo è, è sulla ruptio che si gioca l'allargamento del capo 3.
Il rumpere è tendenzialmente onnicomprensivo. Può essere inteso anche come corrumpere, cioè si è
modificato in peggio la condizione di quel determinato bene (mutatio in peius). A questo punto non c'è solo
un corpo solido, ma può esserci anche su un corpo liquido.
Giocando sull'assonanza semantica, sulla portata tendenzialmente onnicomprensiva del verbo rumpere,
ecco che ad un certo punto i giuristi romani iniziano a far entrare anche il verbo corrumpere. Ed ecco che si
arriva ad una graduale evoluzione della prospettiva.
Non è solo perché c'è l'azione violenta, ma c'è comunque una causalità immediata e diretta, perché si può
subito capire che c'è una causalità tra azione ed evento senza interruzioni.
L'omissione ha rilievo? No, perché non ha cagionato quel danno, non c'è un rapporto in termini di causalità
immediata e diretta.
La dispersione del bene non vi rientra, perché non c'è un'azione fisica sul bene.
Le azioni erano tipiche; rumpere viene sempre più inteso come verbo generale, è verbo di chiusura con
portata ampia e che consente di sussumere altre azioni; il verbo corrumpere viene ricompreso nel rumpere;
l'ipotesi di omissione e dispersione non riescono ancora a rientrarvi.
Causalità.
Damnum corpori datum: dato al corpo, è questa la premessa generale, ed ecco il problema della causalità.
Il problema della causalità in origine non viene risolto come conseguenza di un certo comportamento. Qui
c'è invece la descrizione di un'azione tipica. Ecco che allora ad un certo punto i giuristi si pongono un grande
problema di causalità. Fanno l'esempio di colui che viene colpito mortalmente e successivamente muore
colpito da un altro. Chi ne risponde? Per i giuristi romani risponde solo il secondo aggressare, perché il suo
comportamento è stato di per sè solo sufficiente, e quindi ha escluso la responsabilità del primo, che
risponderà de vulnerato ma non de occisio.
Giuliano dà una diversa interpretazione, per un motivo che lui stesso chiarisce nel Digesta: bisogna colpire
duramente colui che ha commesso un delictum. L'azione delittuosa deve essere colpita duramente, sempre
e comunque; è un problema di politica criminale e non di causalità.
Causalità alternativa: chi risponde? Tutti egualmente.
Esempio di Alfeno: si parla dello schiavo che è stato ferito e poi sottoposto alle cure di un medico, oppure
non è stato sottoposto alle cure del medico perché il dominus ha sottovalutato la portata delle ferite. Ci si
chiede se lo schiavo muoia per colpa del medico che ha curato male, o perché il padrone non lo ha
sottoposto in tempo utile al trattamento del medico. In fondo lo schiavo è morto ma poteva essere salvato.
Ecco allora che c'è l'idea della causalità sufficiente: non basta essere condicio sine qua non di quell'evento.
Iniuria – cause di giustificazione.
Bisogna presupporre la valutazione dell'elemento psicologico.
Il concetto di dolo come volontà malvagia nasce in epoca monarchica, come omicilio volontario. Ma non era
ancora nato il concetto di culpa.
L'actio iniuriarum riguardava innanzitutto l'offesa, ma non c'entra il dolo. Iniuria vuol dire non iure, quindi
contra ius. Quando cioè il comportamento non è giustificato. Il comportaento non è giuridicamente consentito
quando non è giustificato.
Originariamente si rispondeva sempre tranne nelle ipotesi di cause di giustificazione, che rendevano
giustificato quel comportamento.
La prima causa di giustificazione è la legittima difesa, riconosciuta anche dal catechismo della Chiesa
cattolica. La legittima difesa verrà poi dichiarata conforme alla naturalis ratio (diritto di natura). Essa opera
laddove non sia possibile, soprattutto nella difesa propria, del proprio patrimonio e dei propri cari, catturare
l'aggressore senza pericolo per l'incolumità fisica dell'aggredito. Ovviamente non si giustifica l'uccisione
dell'aggressore.
Condizioni:
• Non vi è alternativa "all'aggressione dell'aggressore".
• L'attacco deve essere attuale, altrimenti è vendetta.
• Non si è esonerati da responsabilità verso terzi.
Altra causa di giustificazione è lo stato di necessità, situazione di pericolo, per sè o per i propri beni, ma che
non è determinata da comportamento altrui, ed è questa la grande differenza con la legittima difesa. Ad
esempio il caso del carro sospinto su per una salita e che comincia a retrocedere; coloro che lo spingono si
spostano ed il carro travolge quelli che stavano dietro. Quelli che lo spingevano non rispondono, a meno che
vi sia colpa (il carro era esageratamente carico per la pendenza dell