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PROFESSIONE DI GIORNALISTA
Bisogna distinguere chi svolge l’attività di informazione in maniera professionale fare il giornalista
è qualcosa di più che esporre il proprio pensiero: su internet si trovano informazioni erogate da siti
professionali ma anche da blog e social network.
In Francia si rilascia un’attestazione, una sorta di carta d’identità a chi svolge l’attività giornalistica,
mentre l’Italia è uno dei pochi paesi in cui la professione giornalistica è organizzata dallo stato in un
ordine con albo a cui sono iscritti tutti coloro che svolgono la professione l’accesso alla categoria è
dunque più regolamentato.
Negli anni ’20 per la prima volta viene concepita l’idea di creare l’ordine
un qualunque ordine viene regolato dalla legge e bisogna aderirvi per svolgere l’attività: ciò serve
per tutelare il soggetto che si rivolge a chi fa parte dell’ordine, così che sappia di avere a che fare
con un professionista corretto.
L’ordine vigila sulla correttezza professionale e impone sanzioni nei casi di scorrettezza: la
peggiore? La radiazione. E’ l’unico ordine in cui l’attività professionale è oggetto di una libertà
fondamentale (la libertà di espressione) e il giornalista non ha un rapporto diretto con chi usufruisce
del servizio, cioè il lettore.
L’ordine è una struttura associativa prevista per legge a cui aderiscono i giornalisti, l’albo non è
altro che l’elenco in cui si trovano scritti i nomi dei giornalisti.
Il fascismo decide di istituire l’albo dei giornalisti per garantire la fedeltà al regime degli stessi
giornalisti. Tuttavia, se l’albo venne istituito ufficialmente, l’ordine, previsto per legge, alla fine non
fu effettivamente mai realizzato: essendo stato istituito il sindacato fascista dei giornalisti, l’ordine
era superfluo, ed era il sindacato stesso ad occuparsi dell’albo, albo che verrà mantenuto in vita
quando cadranno il fascismo e le corporazioni nel ’43 e fra queste il sindacato. L’albo passa quindi
sotto la gestione del governo viene proposto di creare l’ordine come espressione della comunità dei
giornalisti.
C’è un’esigenza di democratizzazione alla base della nascita dell’ordine: l’albo viene tolto al
governo e dato alla categoria la Legge professionale 69 del ’63 regolamenta l’ordine e gli affida la
tutela dell’albo.
Differenza fra giornalista professionista e pubblicista:
1. Il professionista esercita la professione di giornalista in via esclusiva: vive insomma solo di
quello.
2. Il pubblicista è colui che scrive in maniera regolare, continuativa ed è retribuito, però non è
un giornalista di professione, perché fa un altro lavoro.
Negli ultimi tempi sono aumentati i soggetti che hanno il tesserino di giornalista pubblicista, così
che la loro categoria ha superato in numero quella dei professionisti.
Essi, i pubblicisti, sono pagati ad articolo, di fatto vivono solo di questo ma sono comunque
pubblicisti la categoria di pubblicisti si compone di soggetti che svolgono la professione di
giornalista ma che per diversi motivi non hanno ottenuto l’iscrizione ai professionisti.
> Per diventare professionisti non è necessario avere un titolo universitario, basta il diploma; c’è un
periodo di praticantato, tirocinio professionale, di 18 mesi che non può essere svolto presso
qualunque testata ma presso quelle che abbiano una struttura editoriale articolata, agenzie di stampa
comprese e anche strutture radio-tv (la norma scritta negli anni ’60 intendeva in questo senso
soltanto la rai, ma la realtà radio-tv è oggi assai mutata); terminato il praticantato, bisogna superare
l’esame di stato di idoneità alla professione che si tiene a Roma e consiste in un prova scritta e un
colloquio orale con domande di cultura generale e sulla conoscenza delle regole deontologiche
davanti a una commissione di giornalisti professionisti e di magistrati che vigilano sulla correttezza
professionale del colloquio (es. si assicurano che non vengano prese decisioni sulla base del
pensiero politico dell’intervistato).
L’esame di stato è tranquillamente superabile, il vero problema per diventare professionisti è la
pratica: il giovane praticante deve infatti essere assunto e retribuito da un giornale, che per queste
ragioni preferisce assumere un giornalista vero.
Molti che hanno iniziato a lavorare presso giornali locali non sono stati riconosciuti come praticanti
magari perché la struttura editoriale era troppo piccola o perché mancava la documentazione della
retribuzione.
> Per diventare pubblicisti occorre dimostrare che in due anni si ha scritto in maniera continuativa e
dimostrare che gli articoli siano stati retribuiti.
Costoro però non potranno mai essere assunti come giornalisti ma potranno solo collaborare a
tempo determinato o occasionalmente.
Gli stessi organi professionali hanno inoltre previsto delle scuole di giornalismo: hanno accesso a
numero chiuso, e si può svolgere il praticantato all’interno della scuola pubblicando periodici
interni e compiendo stage esterni l’ordine riconosce che il praticantato è equivalente all’attività
svolta in questa scuola_
L’ordine è strutturato in consigli regionali eletti dagli iscritti in votazioni basate su liste. All’interno
di ogni consiglio ci sono sempre 2 professionisti per ogni pubblicista
oggi, visto che i pubblicisti sono in numero maggiore, questo rapporto stride un po’.
I consigli regionali quindi eleggono il consiglio nazionale.
Funzioni dell’ordine:
gestisce l’albo, cioè esamina le domande di iscrizione all’albo e decide sulla radiazione,
prepara l’esame di stato.
ha il potere disciplinare: vigila sulla correttezza del giornalista (codice di deontologia)
Sono stati adottati numerosi codici deontologici o di autodisciplina che i giornalisti si sono dati,
ogni realtà (es. Repubblica, Corsera) poi adotta un codice interno per regolamentare l’informazione
es. Carta di Treviso
Queste carte sono strumenti di carattere privatistico, cioè non vincolano chi non è iscritto
# al contrario, il codice deontologico per il trattamento dei dati personali si applica a tutti.
Tutte le carte sono state raccolte in una sorta di testo unico che viene utilizzato dall’ordine quando il
giornalista non segue i codici deontologici.
Responsabilità professionale si affianca alla responsabilità civile e penale, non la sostituisce: ci
sono sanzioni disciplinari contro chi non segue i diritti e doveri dei codici deontologici dell’ordine
che può essere radiato.
Per le sanzioni più lievi è previsto solo l’ammonimento o il rimprovero scritto, quindi si passa alla
sospensione (fino a 6 mesi) con il blocco dello stipendio. I casi più gravi portano alla radiazione.
Fino al 2012 le sanzioni erano applicate tramite due gradi di giudizio.
Mentre fino al 2012 l’ordine era competente per l’applicazione delle sanzioni, oggi è stato istituito il
consiglio di disciplina, che è esterno, autonomo rispetto al consiglio regionale-nazionale è una
struttura imparziale senza funzioni amministrative ma di giurisdizione disciplinare, fermato da
giornalisti con concorso di organi giudiziari.
Sentenza del ’68: riguarda la legittimità costituzionale dell’ordine. Chiunque può pubblicare un
saggio senza la necessità di essere iscritto all’ordine (il praticante stesso non è iscritto).
La disciplina dell’ordine è un problema per la libertà di espressione?
L’ordine deve tutelare il giornalista che non ha solo diritto di esercitare la sua professione
liberamente dal potere economico del datore di lavoro ma anche il dovere di rispettare la
deontologia professionale, anche a tutela del lettore. Per questo non può bastare il sindacato, ma il
lettore è tutelato con la selezione tramite esame di stato e il procedimento disciplinare nei confronti
di chi non segue la deontologia per tutelare il diritto del pubblico a un’informazione corretta,
l’ordine ha legittimità costituzionale.
Serve a verificare le competenze del giornalista senza incidere sulla sua libertà di pensiero del
pensiero; il potere disciplinare non è uno strumento di condizionamento o di controllo e ad ogni
modo, nel caso in cui lo diventasse, ci sono strumenti per punirlo.
Nel 1990 la corte dichiara legittimo il referendum per l’abrogazione dell’ordine dei giornalisti,
riconoscendo la possibilità che venga trasformato in qualcos’altro o cancellato (il referendum non
ebbe comunque esito favorevole).
Sentenza II del ’68: il direttore deve essere iscritto all’ordine dei giornalisti egli, dirigendo i
giornalisti, è tenuto lui stesso per primo al rispetto delle norme deontologiche che sono rispettate
nello stesso modo dai giornalisti suoi dipendenti. È uno strumento per consentire ai giornalisti di
ribellarsi al direttore che imponesse loro comportamenti scorretti. 12-5-16
Due sentenze del 1968:
• non tutti coloro che scrivono su giornali devono essere iscritti all’albo dei giornalisti (è
necessaria soltanto per pubblicare in maniera continuativa e/o professionale).
L’informazione si nutre del contributo di chi scrive professionalmente perciò i poteri
dell’ordine non devono esercitare controllo ideologico sui giornalisti. Il giornalista ha il
dovere di fare informazione corretta, così l’ordine può tutelare il lettore.
L’ordine ha insomma il compito di tutelare sia la libertà dei giornalisti nei confronti del
contrapposto potere economico dei datori di lavoro ma anche il pubblico, sanzionando i
comportamenti scorretti. Negli anni ’90 è stato aggiunto che l’ordine non è incostituzionale
ma può essere riformato o sostituito da un altro strumento.
• Obbligo di iscrizione all’ordine da parte dei direttori.
Se scrivo su un giornale che ha un certo orientamento non posso pretendere di andare contro
la linea editoriale, lavorare per un giornale significa condividerne la linea, secondo il
principio di pluralismo di mercato. Esiste comunque un limite: non posso andare contro le
regole deontologiche il direttore potrà chiedere a un suo giornalista di parlare male di un
avversario ma non costringerlo a costruire una campagna di pubblicizzazione scorretta
contro di quello; il direttore non può promuovere comportamenti scorretti.
Formalmente il direttore può essere, per legge, pubblicista o professionista, ma è chiaro che,