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S
u A, B e C sono rispettivamente i coefficienti per la diffusione
turbolenta, la diffusione longitudinale e il trasferimento di
massa della fase stazionaria. Se si riportano in grafico
questi 3 termini in funzione della velocità della fase mobile
e la somma di tutti questi effetti si osserva che il flusso
ottimale corrisponde al valore minimo dell’altezza del pitto
e alla massima efficienza di separazione.
Cosa si intende però diffusione turbolenta, diffusione longitudinale e trasferimento di
massa nella fase stazionaria?
L’allargamento della banda abbiamo visto essere dovuto al modo in cui l’analita si
distribuisce tra fse stazionaria e fase mobile durante la corsa nella colonna. L’analita
quindi compie diversi cammini tra le due fasi che non sono cammini dritti ma bensì
sono percorsi curvi, o ancor meglio turbolenti. Questo fenomeno di diffusione
turbolenta dipende dalla velocità della fase mobile. Questo perché se la velocità della
fase mobile è elevata gli analiti vengono spinti con maggiore forza verso la fine della
colonna; se la velocità è invece lenta interagiranno in modo più lento con le due fasi e
percorreranno dei percorsi più lunghi, eluendo quindi più tardi.
In cromatografia a diffusione longitudinale è lo spostamento di un soluto dal centro
della banda a regioni in cui la concentrazione è minore, ovvero alle due estremità della
banda. La diffusione longitudinale infatti è causa dell’allargamento della banda in
gascromatografia dove la velocità di diffusione delle molecole è molto elevata, ma
risulta insignificante in cromatografia liquida dove la velocità di diffusione delle
molecole è bassa. I coefficienti di diffusione die gas infatti sono generalmente 1000
volte maggiori rispetto a quelli dei liquidi.
Il trasferimento di massa nella fase stazionaria varia a seconda del fatto che
quest’ultima sia solida o liquida. Quando la fase stazionaria è solida il trasferimento di
massa dipende dai processi di adsorbimento e desorbimento; quando la fase
stazionaria è liquida invece domina l’equilibrio di distribuzione. In questo caso la
molecola di analita è trattenuta nella fase stazionaria e il suo movimento nella colonna
risulta rallentato dall’interazione. Le molecole invece continuano a muoversi nella fase
mobile. L’effetto aumenta all’aumentare dello spessore della fase stazionaria liquida e
con il diminuire del coefficiente di diffusine dell’analita nella fase stazionaria.
15.2 cromatografia planare
I metodi di cromatografia planare includono:
- Cromatografia su strato sottile;
- Cromatografia su carta;
- Elettrocromatografia.
Ognun di queste metodiche usa uno strato di materiale piatto e sottile che può essere
o auto supportato oppure avere un supporto in vetro, plastica o metallo. La fase
mobile si muove per capillarità, seguendo la gravità oppure tramite potenziale
elettrico.
15.2.1 Cromatografia su strato sottile
Si tratta d una tecnica cromatografica di semplice preparazione basata sulla diversa
ripartizione di sostanze differenti presenti nella miscela tra una fase stazionaria e una
fase mobile. La fase mobile in questo caso è una lastrina adsorbente di circa 1mm che
può essere o auto supportata oppure avere supporti in vetro, plastica o metallo. Il
materiale adsorbente generalmente è in gel di silice, allumina, cellulosa a seconda
dell’applicazione e dell’analisi. La fase mobile invece è un solvente opportunamente
scelto capace di separare gli analiti della miscela e poco affine per polarità alla fase
stazionaria. L’esecuzione prevede l’utilizzo di una camera di sviluppo contente la fase
mobile sul fondo. All’interno di questa camera viene posta la fase stazionaria in cui è
stato posto nell’estremità una goccia di campione. Proprio questa estremità dovrà
essere messa a contatto con la fase mobile presente nella camera di sviluppo che
potrà quindi essere chiusa. Per capillarità la fase mobile salirà lungo la fase stazionaria
adsorbente trascinando con se gli analiti che verranno separati in base all’affinità con
la fase stazionaria. Oltre questo metodo ne esiste un secondo noto come
cromatografia su strato sottile bidimensionale. In questo caso la lastra è
quadrata ed in un angolo di questa viene posta la goccia di campione. Dopo aver
proceduto alla separazione come precedentemente, si ruota la lastra in modo tale che
le componenti separate siano lungo una linea orizzontale. A questo punto si procede
con una nuova separazione con un differente solvente. Procedendo in questo modo si
riescono a separare sostanze molto affini fra loro e non altrimenti separabili.
15.2.2 Cromatografia su carta
Questo tipo di cromatografia viene effettuata nello stesso modo della precedente con
la sola differenze che la fase stazionaria è costituita da carta adsorbente a base
principalmente di cellulosa. Questo tipo di carta presenta una quantità di acqua tale
da far sì che questa venga vista come la fase stazionaria. Altri tipi di liquidi possono
essere utilizzati per realizzare diversi tipi di fase stazionaria. Per esempio la carta
trattata con silicone o olio di paraffina permettono di effettuare una cromatografia su
carta in fase inversa, utilizzando come fase mobile un solvente polare.
15.2.3 Elettro cromatografia
È un tipo di cromatografia che sfrutta un il gradiente elettrico applicato a 90° rispetto
al flusso del solvente. È una tecnica molto simile all’HPLC e all’elettroforesi.
L’elettrocromatografia su colonne impaccate prevede che un solvente polare venga
guidato da un flusso elettrosmotico attraverso un capillare. La separazione si basa
sulla distribuzione degli analiti tra la fase mobile e la fase stazionaria.
16. cromatografia
Le tecniche cromatografiche si possono suddividere anche in base allo stato fisico
della fase mobile in:
- Gascromatografia
- Cromatografia liquida
- Cromatografia supercritica
16.1 Gascromatografia
In gascromatografia i componenti di un campione vaporizzato sono separati in seguito
alla ripartizione tra una fase gassosa mobile e una fase stazionaria liquida o solida
contenuta in una colonna. In una separrazione gas cromatografica il campione viene
vaporizzato e iniettato in testa alla colonna cromatografica. Il campione viene eluito
dal flusso di una fase mobile rappresentata da un gas inerte. A differenza di quasi
tutte le altre tecniche cromatografiche, la fase mobile non interagisce con le molecole
dell’analita: la sua sola funzione è quella di trasportare l’analita lungo la colonna.
Si individuano due tipi di cromatografia:
- Cromatografia gas-liquido
- Cromatografia gas solido
La cromatografia gas-liquido trova largo uso in tutti i campi scientifici e generalmente
si usa il termine semplice di gas cromatografia per indicarla. Questa si basa sulla
ripartizione degli analiti tra una fase mobile gassosa e una fase stazionaria liquida
immobilizzata sulla superficie di un solido inerte impaccato oppure presente sulle
superfici del capillare. La cromatografia gas-solido invece si basa sull’uso di una fase
stazionaria solida in cui la ritenzione degli analiti avviene come conseguenza di un
fenomeno di adsorbimento fisico. La cromatografia gas-solido ha limitate applicazioni
poiché si verifica una ritenzione semipermanente di molecole attive o molecole polari
con conseguenti scodamenti rilevanti dei picchi di eluizione. Per questi motivi questa
tecnica viene poco usata se non per la separazione di grosse molecole con basso peso
molecolare.
16.1.2 cromatografia gas-liquido
In gas cromatografia il gas della fase mobile viene chiamato gas di trasporto e deve
essere chimicamente inerte. L’elio è il gas maggiormente utilizzato sebbene vengano
usati ache gas quali argon, azoto e idrogeno. Per una buona efficienza della colonna
occorre che il campione sia di dimensione adatta e sia introdotto come un tappo di
vapore. Una iniezione lenta di campioni soradimensionati causa infatti allargamenti
della banda e scarsa risoluzione. Per questo motivo vengono usate per l’iniezione delle
micro siringhe graduate. Queste permettono di bucare una struttura in silicone o in
gomma che chiude la camera di vaporizazione. La camera viene tenuta generalmente
50°C oltre la temperatura di vaporizazione del campione con più elevata
evaporizzazione.
In gascromatografia si utilizzano prevalentemente 2 tipi di colonne:
- Colonne impaccate
- Colonne tubulari aperte o capillari
Le colonne hanno lunghezza variabile da meno di 2 m fino a 50 m o più. Sono fatte di
acciaio inossidabile, vetro, silice fusa o teflon. Per poterle sistemare all’interno dei
forni termostati queste non vengono vendute lineari ma bensì arrotolate in strutture di
10-30 cm di diametro. Per ottenere risultati precisi la temperatura è di estrema
importanza e per questo deve essere regolata a pochi decimi di grado. La temperatura
ottimale non è standard ma dipende chiaramente dal campione e dal grado di
separazione richiesto.
Le colonne impaccate oggi usate sono fabbricate con tubi di vetro o di metallo. Hanno
una lunghezza di 2-3 metri e dimetri di 2-4 mm. Questi sono riempiti di materiale
impaccato uniforme e finemente suddiviso oppure con un supporto solido ricoperto
con uno strato sottile di fase stazionaria liquida. Il materiale di impaccamento in una
colonna deve trattenere la fase stazionaria liquida in modo da esporre alla fase mobile
un’area superficiale quanto più ampia possibile. Il supporto ideale è costituito da
particelle sferiche di piccole dimensioni, uniformi, meccanicamente resistenti. Il
materiale inoltre dovrebbe essere inerte a temperature elevate ed essere
uniformemente imbibito nella fase liquida. L’efficienza della colonna cromatografica
aumenta rapidamente con la diminuzione della dimensione delle particelle di
impaccatura, tuttavia la piccola dimensione delle particelle comporta anche l’aumento
della pressione per mantenere costante la velocità del flusso e questo è uno
svantaggio poiché la pressione non dovrebbe superare i 50psi. Per questo le particelle
sono generalmente di 250-170 um.
La fase liquida ideale in gascromatografia dovrebbe avere le seguenti proprietà:
- Bassa volatilità
- Stabilità termica
- Inerzia chimica
Attualmente si possono utilizzare diverse fasi stazionarie e queste vengono scelte in
base al tipo di separazione che si vuole eseguire. Il tempo di ritenzione di un analita in
una colonna dipende dalla sua costante di distribuzione che è correlata a sua volta
dalla natura chimica della fase stazionaria. Per separare i vari componenti presenti
nella miscela, le loro costanti