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In generale vi è un forte presenza dell’uso del sogno e del gioco che isolano l’io lirico dalla
spietatezza della vita.
Analizzandone la prima lirica omonima, se ne traggono diversi dati strutturali della sua poetica,
difatti il medesimo titolo ne sottolinea la funzione programmatica.
Vi è, intanto, un primo esempio di travestimento, nell’uso della filastrocca che veicola il sogno e
determina lo sdoppiamento del soggetto che si pensa nel tempo. La distanza tra i due piani del
discorso ( quello reale del discorso poetico e quello irreale della filastrocca) è poi evidenziata
dall’uso del corsivo. È in questa via onirica che l’io trova una possibilità di illusione( difatti ai versi
49-56 scompare il corsivo e la filastrocca è scritta normalmente), annullando la distanza tra il reale
e il favoloso. L’interrompersi del sogno al v.83 segnala l’uso del melodramma, forte in Gozzano,
fino all’infrangersi nel dialogo al v. 117 sino alla riflessione sul destino della farfalla e sulla vanità
del tutto ( riecheggiando il Pascoli ed il Leopardi) dal v. 134, ritornando poi, lentamente, alla
catalessi.
Da notare, inoltre, sono i due assunti filosofici del verso 34, il Tutto ed il Niente assunti, tramite la
maiuscola d’dannunziana, al ruolo di personaggi, in contrasto con la riduzione del poeta ad
oggetto, che corrisponde all’idea di desublimazione della poesia, ai versi 35-36 emblematicamente
rappresentato dal nome e cognome del poeta scritti “guidogozzano”.
In due composizioni lo stile di Gozzano, escludendo la lirica appena analizzata, arriva al suo
apice : Le due strade e L’amica di nonna Speranza, che difatti sono collocate anche ne I Colloqui
, evidenziando anche la continuità tra le due raccolte. In entrambe il dialogo svolge una funzione
determinante.
Le due strade ha, anch’essa, una struttura melodrammatica: il primo distico denota una funzione
da incipit paesaggistico, mentre nei successivi parte la descrizione dei personaggi e della vicenda
sino al v. 29 dove, fino al v. 48, vi è un monologo interiore in cui il poeta riflette sulle due donne,
arrivando poi a considerazioni sulla quasi banalità della vita dettata dalla sua brevità, nonché
precarietà ( ma sono riflessioni che valgono anche per la gioventù incarnata da Graziella).
Riprende poi la descrizione paesaggistica ( v.69) e la dimensione dialogica (v.81), sino al distico
conclusivo in cui riprende l’ascesa alla montagna ( versi 99-100).
Oltre alla struttura da melodramma, la poesia mette in rilievo altre notazioni: innanzitutto è bene far
notare la descrizione paesaggistica, che denota questa tendenza del poeta, quasi ossessiva, ma
con logica, considerando l’impossibilità di cantare di cose auliche, a descrivere minuziosamente e
dettagliatamente le scene, i luoghi, gli oggetti o le vecchie stampe.
Vi è poi il monologo, spesso usato per scandire la narrazione e caratterizzare i personaggi, ma
denota anche una funzione dissacrante nei confronti della tradizione che pur non rompe con essa,
( si riprenda l’esempio de L’ipotesi).
Da specificare, poi, il ruolo di Graziella: oltre ad essere l’anti-Guido come l’altra protagonista,
rappresenta anche l’amore morto o l’amore sognato. Il topos delle donne amate/non amate da
Gozzano si ritrova spessissimo e denota l’impossibilità di amare per il poeta nel mondo borghese
corrotto e, quindi la sua rinunzia ascetica. Esempi di altre donne si possono riscontrare in: Le non
godute (1911), Elogio degli amori ancillari, Una risorta, Un’altra risorta; Invernale; Paolo e Virginia;
Cocotte; Un rimorso (utile anche per notare come descrive quasi ossessivamente i particolari della
moda, derivandoli, spesso, da D’Annunzio), e così via.
Ne L’amica di nonna Speranza vi si riscontrano delle caratteristiche prima enunciate, cioè il dialogo
e la descrizione, la teatralità che si svolge nella struttura da melodramma, la critica al mondo
borghese, la “passione” per le date (scritte sempre in corsivo), ma due sono gli elementi da
analizzare a fondo. Intanto, si nota come l’oggetto costituisca un valore a se: un guscio che si
contrappone ad altri valori puramente formali, suscitando, nel caso della stampa, il sogno.
L’altro è la figura femminile, Carlotta, l’amica della nonna, che Gozzano immagina come unica che
può amare, proprio perché collocata nel passato.
In generale nella via del rifugio vi sono diversi elementi caratterizzanti della poetica gozzaniana:
pensiamo al fanciullo ( ancora molto pascoliano) illuso dalle stampe, dalla “Tabe letteraria” , che
segnala quell’impossibilità tanto sofferta dal poeta riguardo l’inconciliabilità della letteratura con la
vita reale che si nota bene, ad esempio in L’analfabeta, l’impossibilità di amare, come del dialogo,
ben segnalabile ne Il responso, che ricorda un po’ Il gioco del silenzio, contenuta ne I Colloqui. Si
ritrovano anche le antiche ville in decadenza, simbolo di un passato che, appunto, non c’è più,
come in I sonetti del ritorno, ma in cui ritorna anche il tema del ricordo, oltre che del sogno,
attraverso la casa gli odori, ed altri elementi.
Vi è la differenza tra il sapere e il non sapere, che può voler dire sia un elogio della vita semplice ,
come in Felicita, oppure che “l’esser cucinato non è triste/ triste è il pensare d’esser cucinato” ( cfr.
La differenza).
L’incipit (per così dire) dell’ateismo del Gozzano, derivante da una sfiducia verso Dio ma,
soprattutto, da un ragionamento, oserei dire, scientifico, in cui appunto l’eternità è data quasi
dall’esser composti di materia secondo il principio della conservazione della materia di Lavoisier
(1743-1794), poeticamente enunciato nella terzina finale di Ora di grazia ( “la maschera del volto
sbigottito:/ “Nulla s’acquista e nulla va distrutto: o eternità dei secoli futuri!”), ma anche attraverso
quel continuo rinascere della natura, enunciato ne L’inganno, che sembra quasi prendersi gioco,
invece, della vita umana ( vedi ad esempio anche Nemesi).
Vi è poi la poesia delle piccole cose (Miecio Horszovski; La forza; L’intruso), la morte e la
precarietà della gioventù nonché della vita( La morte del cardellino; La bella del re), l’atarassia
totale, poeticizzata con la rielaborazione di un canto popolare greco, già ripreso dal Pascoli, ne
L’ultima rinunzia.
Potremo dire cercando una breve conclusione, che tutti questi componimenti tentano di trovare un
posto in una via del rifugio immaginaria, spiegandone il significato.
I Colloqui:
Non un poema ma un antologia, I Colloqui vennero pubblicati nel 1911.
Diviso in tre sezioni, anche se comunque ogni poesia è collegata l’un l’altra, ognuna di queste
introduce un topos, od un tema preciso, in cui il primo ed ultimo componimento hanno il medesimo
titolo del poema.
Spesso vi si riscontra uno sdoppiamento tra l’io biografico ( che vive il bel romanzo) e l’io scrivente
( destinato a trasformarsi nel gelido sofista). L’atarassia, lo straniamento, l’impossibilità di amare,
l’ateismo, si fanno più completi e determinanti. Decisamente il poeta ha portato a compimento
maturo i topos che si riscontravano ne La via del rifugio.
In generale, credo si possa sostenere la tesi per cui sono un componimento in cui prevale, però, il
topos della impossibilità di amare, anche se pur con qualche esclusione.
La prima sezione, Il Giovenile errore, è all’insegna del Petrarca e del Leopardi, ed introduce il
leitmotiv della giovinezza ingannevole, grande topos della poesia crepuscolare.
A questo proposito è molto interessante la prima poetica, I Colloqui I, dove vi è uno sdoppiamento
costante tra l’io scrivente ( il poeta) e l’io biografico ( Gozzano), che porta Guido a tastare
l’impossibilità di vivere le romantiche avventure ( o sogni) dei libri. La giovinezza, tema centrale,
così breve che a venticinque anni è già passata, non è stata vissuta, ne il poeta vive adesso, o
meglio, vive guardando vivere se stesso: vive sulla carta, ossia non vive se non in uno stato di
atarassia, quindi non vive, non vivendo nella realtà. Ed in questo locus amenus rappresentato da
una realtà fittizia, che il poeta ha trascorso gli anni della giovinezza, e continuerà a farlo: “Non
vissi. Muto sulle mute carte/ ritrassi lui, meravigliando spesso./ Non vivo. Solo, gelido, in disparte, /
sorrido e guardo vivere me stesso “( cfr. v.37-41).
Vi sono anche poesie sull’amore, o meglio, sulla impossibilità di amare, come Elogio degli amori
ancillari, Il gioco del silenzio; Il buon compagno; Invernale; Convito.
Due di queste, Il gioco del silenzio e Il buon compagno, sono dedicate ad Amalia Guglielminetti:
nel primo l’amore è silenzio impenetrabile, nel secondo semplice curiosità dei sensi.
Mentre in Convito il “fratello” di Gozzano (l’io scrivente) si augura che, visto che l’amore gli ha
mentito, perlomeno la morte non lo faccia.
Si può dunque adesso meglio comprendere il titolo della prima sezione: dalla prima poetica in cui il
poeta canta del proprio errore di non vivere, ma vivere solamente nei libri, si passa, pian piano, a
mostrare l’impossibilità di amare attraverso il topos della giovinezza ingannevole : ecco perché il
giovenile errore.
La seconda sezione Alle soglie: oltre ad essere il titolo della seconda sezione, lo è anche della
prima poesia.
Questa parla della malattia del poeta vista prima, attraverso la descrizione delle profilassi, dal
cuore bambino del poeta, per divenire poi ironica nella seconda parte, dove appunto si fa
riferimento al monello e non al bambino.
In sostanza, oltre alla contrapposizione bambino/monello, vi è come un distacco, permesso proprio
dalla giovinezza incarnata nel duo e dall’ironia, che permette al poeta di guardare alla morte quasi
con serenità. Si veda al riguardo l’ultimo distico:” Or taci nel petto corroso, mio cuore! Io resto al
supplizio,/ sereno come uno sposo e placido come un novizio”.
In generale, la dimensione narrativa e dialogica è qui rafforzata dalla presenza di quattro poemetti,
posti uno dietro l’altro: Paolo e Virginia, La signorina Felicita, L’amica di nonna Speranza e
Cocotte.
Paolo e Virginia riprende il romanzo omonimo di Henri de Saint Pierre (1737-1814) per riaffermare
l’impossibilità dell’amore, ma stavolta con una chiave quasi illuministica, o rousseiana, poiché i
due, che appartengono a sfere sociali differenti, possono amarsi in quest’isola selvaggia dove
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