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La definizione di "techne" nell'antica Grecia e il concetto di "episteme"
Adesso che abbiamo potuto analizzare la definizione di "techne" nell'antica Grecia, possiamo affermare che Platone - attraverso Socrate - ci tiene subito a dire che il povero Ione non è uno che ha techne poetica: sapeva sicuramente eseguire delle procedure, ma non perché fa quello che fa, non possiede episteme. La parola "episteme" si forma da "epi", che in Greco è una preposizione che significa "sopra", e da "istemi", che in Greco significa "io sto". Quindi l'episteme letteralmente indica lo stare sopra, il sovrastare. Senofane di Colofone, fondatore della scuola eleatica - che è quella che vede in Parmenide il suo punto centrale - sarà uno dei maggiori riconoscitori di questo concetto, portandone un esempio alquanto efficace tramite la rappresentazione degli Dei. Senofane, vissuto negli anni 570/475 a.C. circa, è stato un filosofo e poeta greco antico presocratico.Molteplici volte in contrasto con la tradizione rapsodico-aedica, al pari di Omero considera falso maestro anche Esiodo, avvicinato al primo come più tardi per Eraclito, che per tale aspetto continua la polemica da lui iniziata. La polemica antiomerica si basa principalmente sulle idee del divino, che costituisce uno dei momenti tipici del pensiero senofaneo. Lui si espresse su come fosse errato raffigurare Dio sotto forma umana, o comunque con un'immagine di sembianza simili. Se la differenza sostanziale tra uomo ed animale sta nelle mani, nei nostri pollici opponibili, il dio unico, massimo fra gli dei e fra gli uomini, non è simile all'umanità né nell'aspetto né nel pensiero; è tutto sguardo, tutto pensiero, tutto orecchio, non ha bisogno di movimento né di sforzo per esercitare il suo dominio sulle cose (frammenti dal 23 al 26 da "Sulla natura", genericamente la sua produzione filosofica). Quindi se il dio deglidei è conscio di tutto, significa che lui a questo tutto è esterno, da questo tutto è separabile, può chiamarsi fuori. L'episteme non è nient'altreche la possibilità di chiamarsi fuori dalle situazioni, dalle realtà concrete, immediate. Nel discorso sull'episteme è importante però chiarire un ulteriore concetto, bisogna distinguere prima di tutto immediatezza e mediazione: la mediazione prevede una possibilità di chiamarsi fuori dalla condizione in cui si è, guardare cioè dall'esterno e così descrivere, analizzare delle situazioni (che è esattamente quello che fa pure l'artista). Un artista, ad esempio, nella realizzazione di una sua opera in quel preciso istante condivide due ruoli: ha un'anima di technites e un'anima di critico, un critico che sta sopra e guarda l'opera come un dio guarda il cosmo. Nel momento in cui l'artista fa un passo indietro,
non è più immediatamente coinvolto nella creazione, ma ne diventa mediatore. Anche l'osservatore si colloca fuori dal quadro, ma la tela presuppone che dall'altro lato, al principio, ci fosse stato il soggetto che ha permesso all'opera di essere concepita, un'esperienza reale. Il soggetto sostanzialmente non ci apparirà mai, perché risiederà per sempre nella mente dell'artista, per quanto possa essere stato vivo e presente in carne e ossa; alla fine a noi osservatori esterni giunge un'interpretazione dell'artista, un attimo immutabile nel tempo fermato all'interno della memoria immaginativa. L'artista, nel momento in cui distoglie lo sguardo dal suo soggetto e mette mano sulla sua tela, ha dismesso i panni originari per acquisire un'altra identità, ossia quella del critico pittorico, del critico d'arte, che è presente però in lui stesso. Ed è l'artista che decide ad uncerto punto di fermare l'operato del critico, di dichiarare l'opera conclusa e di firmarla. Siamo abituati a vedere una figura con un'unica identità, e questo ci ricorda la singolarità di Platone: ossia una sola persona, un individuo è contemporaneamente - ad esempio, madre, figlia, sorella, e tante altre cose. Quindi in questo caso noi diciamo "l'artista", che assume anche il ruolo di un critico d'arte. Senofane, ricollegandosi al concetto di singolo e di episteme, parla di un dio epistemico, cioè scientifico. La scienza per definizione cerca di porsi fuori della realtà che vuole descrivere, per poterla osservare e descrivere oggettivamente. Il sapere, secondo l'episteme, è assoluto, a differenza del sapere del technites. Il cardine scientifico fondamentale è la geometria, ovvero la matematica, quello che i greci chiamavano "máthema". Ancora oggi la definiamo la logica alla base diQualsiasi forma di sapere. Sapendo adesso la definizione di "techne" ed "episteme", possiamo analizzare il terzo concetto, ossia quello che Platone affibbia al rapsodo Ione nel suo dialogo: "entheos". Parola composta da "en-" che vuol dire "in dentro", e "theos" che vuol dire Dio, sostanzialmente possiamo tradurre questa espressione con ispirato da Dio. C'è una prova che Platone ci porta per dimostrarlo: Tinnico di Calcide, un poeta di secondo ordine storicamente esistito nell'antica Grecia. Socrate, nel dialogo platonico, dice a Ione che anche Tinnico riuscì nella sua vita a scrivere un capolavoro (forse chiamato Inno a Pan). E quindi gli dirà: "come è stato possibile che una persona che in tutta la sua vita ha prodotto solo scadenti prove poetiche, ad un certo punto ha tirato fuori una cosa che tutti quanti riconosciamo essere un capolavoro, che la riconosciamo come un'opera riuscita?".
Platone argomenterà la sua tesi spiegando a Ione come il povero Tinnico, finoad allora considerato solo un poeta mediocre, abbia creato un vero e proprio apice della sua scrittura grazie ad un'ispirazione divina, ossia tramite l'intervento dell'entheos. Platone, come appunto stesso lui sostiene, non vede Ione come un techno, non sa le cose per sé, ma perché lui viene visitato dal Dio, e infatti quando non viene visitato da Dio lui non sa dire niente, non sa parlare. Platone, nel Fedro, aggiungerà un ulteriore commento sull'argomento poetico, ponendolo a livello della follia. Nel discorso che vede due personaggi, Socrate e Fedro, Platone - tramite il suo maestro, divide la follia in due categorie: quella umana, che riduce le persone in bestie, e quella divina, ossia l'ispirazione divina. Quest'entheos lo divide ancora in quattro tipologie, distinguendo l'ispirazione secondo quattro divinità: Apollo permette la.Visione del futuro, Eros permette di collegarsi al dialogo filosofico, le Muse ispirano le muse, ed infine Dioniso connette il mondo estetico.
Mettiamo adesso nel discorso anche il fattore dell'arte: il filosofo francese Jacques Derrida nel suo libro "Memorie di un cieco" dirà che la vista è uno dei sensi fondamentali nelle arti, che vengono per l'appunto catalogate come "visive" - parliamo di pittura, scultura, disegno. Nonostante, quando ad esempio si disegna, la mano segue ciecamente un comando, e solo a gesto compiuto l'occhio è in grado di vederne un risultato, ciò che spinge l'artista, il disegnatore, è una "forza cieca", una spinta indomabile fino in fondo. Questo concetto è spiegato dalla consapevolezza, dalla competenza: più ripetiamo un gesto meccanicamente e con attenzione, più saremo in grado di riproporlo fluidamente e con facilità. Lezione 5 del 05
Novembre 2021 Wladyslaw Tatarkiewicz fu un filosofo e storico polacco dell'Estetica, vissuto per quasi un secolo dal 1886 al 1980; si occupò dell'Estetica fin dalle origini presocratiche, sulla cui evoluzione storica scrisse la fondamentale "Historia estetyki", analizzando questo pensiero dai platonici e presocratici fino al Settecento. Importante della sua produzione è il libro "Storia di sei idee", l'ultima grande opera scientifica, visto e letto come la storia dell'idea; se "Historia estetyki", la sua opera più importante, si arrestava al Settecento, questo saggio invece si spinge fino ai nostri giorni, completando e integrando il precedente lavoro. Sei idee, come sei sono i problemi fondamentali dell'estetica: arte, bello, forma, creatività, imitazione, esperienza estetica. Il filologico che lega queste questioni è il concetto d'idea, visto già precedentemente da Platone. NegliScritta per Baldassare Castiglione, un letterato e diplomatico di spicco dell'epoca; autore del saggio "Il Cortegiano", pubblicato poco prima della sua morte, qui parla di tutto lo scheletro di regolamentazioni dietro la vita di un cortigiano, compresi tutti quegli aspetti che hanno un collegamento nell'ambito estetico. In questa lettera specifica, Raffaello vuole mettere a corrente il diplomatico Castiglione non solo dei disegni prima citati, ma dei frutti del suo studio sul testo di Vitruvio, grazie alla traduzione dal Latino a lui fornita. Nei suoi studi incappò nei racconti su Zeusi, un pittore di fama notevole in grado di replicare la realtà con un dettaglio strabiliante. A Raffaello fu commissionata, nel medesimo periodo, un'opera pittorica, e riferendosi alla figura di Zeusi s'interrogava se fosse possibile in qualche modo realizzare un'opera di una bellezza al suo pari. La potenza imitativa che voleva assumere era, quindi, in grado di