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NB:
un’interpretazione che ritiene tale principio espressione in materia contrattuale, del principio di
solidarietà, enucleato dall’art. 3 Cost., il dovere di buona fede come “l’obbligo di comportamento
onesto”. In particolare, di regola, si distingue tra:
fede soggettiva, intendendo per essa, l’ignoranza di ledere una situazione
1.buona giuridica altrui: a
questa fattispecie si riferisce ad esempio, l’art. 1147 C.C., il quale sancisce che “E’ possessore di
buona fede chi possiede ignorando di ledere l'altrui diritto. La buona fede non giova se l'ignoranza
e basta che vi sia stata al tempo dell'acquisto”;
dipende da colpa grave. La buona fede è presunta
2.buona fede oggettiva, intendendo per essa, il generale obbligo etico di comportamento onesto: a
questa fattispecie si riferiscono ad esempio, gli artt. 1337 e 1338 C.C., in tema di responsabilità
contrattuale e precontrattuale; l’art. 1366 C.C., in tema di interpretazione dei contratti; l’art. 1375
C.C., in tema di esecuzione dei contratti; l’art. 1175 C.C., in tema di obbligazioni).
buona fede va tenuta distinta dall’ “equità”, la costituisce una regola di
Si precisa talaltro che: la
giudizio, e dalla “diligenza”, la quale è richiesta, a differenza della buona fede, ad una sola parte in
sede di adempimento dell’obbligazione).
La violazione del dovere generale di buona fede (si pensi, ad esempio, al caso in cui una parte receda
ingiustificatamente dalle trattative) è fonte di responsabilità precontrattuale o contrattuale, ma non
conduce di regola, alla nullità del contratto, salvo casi particolari (si pensi, ad esempio, a quanto
stabilito dall’art. 33 Cod. Cons.
In realtà, in dottrina e in giurisprudenza, si discute circa natura di tale responsabilità precontrattuale
(o “in contrahendo”), di modo che:
alcuni sostengono che essa costituisca un “tertium genus” rispetto alla responsabilità contrattuale
- e
a quella extracontrattuale, in quanto viene dalla giurisprudenza esclusivamente ricondotta alla
violazione dei principi di “buona fede” e del “legittimo affidamento”;
- altri (tra cui anche il Professore Donisi) sostengono invece, che essa rientri nella tipologia della
responsabilità contrattuale, in quanto si manifesta solo quando un soggetto “trattante” violi un suo
obbligo specifico, consistente nell’intraprendere le trattative secondo buona fede: in atre parole, tale
responsabilità dovrebbe essere considera come contrattuale, in quanto si dimostra legata ad un
obbligo, che non è generale, ma che fa capo solo a soggetti che hanno iniziato un rapporto diretto
alla conclusione di un contratto;
- altri ritengono infine, che essa rientri nella tipologica della responsabilità extracontrattuale, in
quanto l’obbligo di comportarsi secondo buona fede preesisterebbe alle trattative, identificandosi
non con un obbligo specifico, ma come un dovere operativo “erga omnes”.
Ovviamente, a seconda che si propenda per una soluzione piuttosto che per un’altra, derivano
conseguenze diverse in tema di prescrizione, onere della prova, rilevanza della colpa: in ogni caso,
comunque sicuramente, la tesi della natura contrattuale appare preferibile rispetto alle altre, per i più
energici rimedi esperibili sul piano sostanziale e processuale.
Con riferimento invece, alle conseguenze derivanti da tale responsabilità, dottrina e giurisprudenza
sono unanimi nel ritenere che in caso di responsabilità precontrattuale, vada risarcito solo il
“interesse negativo”, cioè le spese a vuoto sostenute (danno emergente) e il tempo e le occasioni
perdute (lucro cessante) per aver fatto affidamento sulla conclusione del contratto, e non anche l’
“interesse positivo”, cioè il profitto che la parte avrebbe potuto ottenere concludendo il contratto.
- diventa inapplicabile la disciplina consumeristica e quindi, è preclusa la possibilità chiedere la
nullità delle clausole vessatorie, ai sensi degli artt. 33 e ss. del Codice del Consumo, in quanto se la
clausola è stata trattata, cioè è stata oggetto dell’incontro delle volontà, non si potrebbe più
discorrere di clausola vessatoria (la trattativa escluderebbe cioè, la vessatorietà).
Ebbene, a questo punto, con riferimento alla possibilità di trattare nei contratti telematici di massa,
“standard” o “in serie”, è possibile affermare che:
a) in caso di contrattazione individualizzata, cioè di trattazione via mail, sicuramente è possibile
discorrere di trattativa, in quanto con questo sistema è possibile attuare uno scambio di informazioni
su singoli punti di interesse;
b) in caso di contrattazione non individualizzata, cioè di trattazione attraverso pagine web, invece:
la dottrina maggioritaria ritiene che questa operazione escluderebbe a priori la possibilità di una
trattativa; la dottrina minoritaria (opinione condivisa anche dalla Professoressa Perlingieri), ritiene
diversamente, che esiste anche per tali contratti, la possibilità che la stipula del contratto sia
preceduta da trattative.
In realtà, sebbene, come sostiene la dottrina maggioritaria, è vero che normalmente, quando il consumatore
apre una pagina web, può solo cliccare (fare la “cliccata”) ed aderire ad un contratto già rigidamente
predisposto e determinato (“point and click”), è anche vero che molte volte anche in tal caso, si richiede al
di inserire dei contenuti in alcuni “forms”, che possono essere
consumatore di fare delle scelte o addirittura
utilizzati sia soltanto per indicare propri dati personali (e in tal caso, “nulla quaestio”), sia per effettuare delle
per immettere del testo (“stringhe testuali in
scelte tra diverse opzioni più o meno modificabili, sia addirittura
forme libere”).
Il cliente consumatore ha infatti, spesso a disposizione degli strumenti di “input”, contenenti dei “forms”, che
permettono non soltanto la rigida accettazione o il rigido rifiuto, ma anche:
possibilità di selezionare alternativamente le clausole o elementi di clausola (A / B / C / D), “strumenti
1.la
radio”, cioè pulsanti di opzione, con i quali è possibile conferire al consumatore la scelta di un unico
elemento tra i diversi previsti nella medesima opzione;
oppure la possibilità di scegliere cumulativamente le clausole ( A + B / A + C), “strumenti di checkboxs”,
2.
cioè caselle di controllo, con i quali è possibile conferire al consumatore una maggiore scelta, anche
di un’opzione.
contemporanea, tra più elementi
In realtà, in tali casi, si tratta semplicemente di una maggiore scelta attribuita al consumatore, e non di una
trattativa: in sostanza, infatti, vengono date al consumatore delle “chance”, che possono essere ridotte, cioè
o al rifiuto, oppure relative a “radio” e a “checkboxs”, cioè relative alla possibilità di
limitate all’accettazione
scegliere in via alternativa o in via cumulativa. In questo modo però, il consumatore non è costretto ad
scegliere un’opzione tra un numero più o meno vasto di
aderire semplicemente al contratto, ben potendo
possibili contenuti in relazione a ciascuna clausola o addirittura, ad elementi di clausola: conseguenza di ciò
è che anche in caso di contratto telematico, viene riconosciuta al consumatore la possibilità di interagire
maggiormente con l’imprenditore, pervenendo così a dei comportamenti non tanto lontani e diversi dalla
tradizionale trattativa contrattuale.
Ne deriva, la possibilità da parte del consumatore, di valutare in alcuni casi, il risultato conseguito in termini
di vantaggio economico e giuridico (rispetto a quello che complessivamente si sarebbe dovuto attendere
qualora il contenuto negoziale fosse stato immutabile) e di ottenere talora, condizioni “personalizzate”, sui
quali potrà esprimersi, rifiutando il suo definitivo consenso o proponendo modifiche. Ciò accade, ad
esempio, quando in tali “forms” sono presenti degli elementi di “input” noti come “text” (se monoriga) o
“textarea” (se multi riga), che conferiscono effettivamente al consumatore la possibilità di scegliere in ordine
a contenuti di carattere economico o normativi del contratto, o addirittura la possibilità di andare ad inserire
delle clausole nuove, quali una clausola di garanzia, reale o personale, oppure una clausola riguardante la
localizzazione del foro competente in merito ad un’ eventuale controversia.
Laddove vi siano questi spazi di “text” o di “textarea” all’interno dei quali inserire tali clausole, diventa
quindi, possibile immaginare la conclusione di un contratto a seguito di un dialogo liberamente intercorso tra
le parti, ovvero a seguito di un procedimento di formazione anche autorizzato, a fronte del quale la libera
immissione di testo da parte dell’utente possa essere valutata da specifici software in grado di riconoscere il
contenuto e di reagire conseguentemente, con una risposta negoziale, fino al raggiungimento dell’accordo. Si
pensi, ad esempio, al caso di un sito di una compagnia assicurativa che offre al cliente delle possibilità in
merito alla clausola del diritto di recesso, il quale è conseguente al verificarsi di eventi dannosi dedotti nella
polizza assicurativa.
In particolare:
un primo “forrm” che può essere presentato è quello relativo al pulsante di opzione tra sì e no, in merito
1) alla possibilità di attribuire recesso ad entrambe le parti: in questo caso, il cliente può però, soltanto
scegliere se accettare o rifiutare tale clausola, senza poterla modificare (non ci si trova infatti, di fronte
ad trattativa);
un secondo “form” è quello “radio”, il quale
2) è relativo ai pulsanti di opzione che consentono di scegliere
in via alternativa tra A, che nega il recesso ad entrambe le parti; B, che attribuisce il recesso ad entrambe
le parti; C, che attribuisce il recesso solo alla compagnia; D, che attribuisce il recesso consentito solo al
consumatore: in questo tipo di “form”, il consumatore ha la possibilità di scegliere in via alternativa, non
cumulativa, tra le varie opzioni;
il terzo “form” è quello “checkboxs”, il quale è relativo alle caselle di controllo
3) che consentono non
soltanto di selezionare opzioni prefissate in via alternativa, ma anche di sceglierle in via cumulativa, cioè
consentono di scegliere