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MORALIZZANTE
In questa parte Odin parla dell'esperienza del reale. Inizialmente aveva stipulato un'unica
assunzione che riguardava il modo documentarizzante, ma in questa pubblicazione ha aggiunto
anche il modo moralizzante. Il modo documentarizzante è quello che ha come scopo di fornire
informazioni sul reale, mentre il modo moralizzante mira alla trasmissione di valori. Nel processo
comunicativo spesso i due modi sono confusi e collegati, tuttavia si ha a che fare con due tipologie
diverse di esperienza: conoscere il mondo ed interrogarsi sui valori. Odin utilizza per spiegare
entrambi i modi l'esempio del giornale francese “Le Monde”.
Sicuramente un quotidiano parte con il presupposto di creare informazione sull'esperienza reale →
lo raggiunge comunicando attraverso articoli, fotografie, nei quali vengono inseriti elementi
narrativi e di micro racconto. Troviamo il modo documentarizzante anche nelle cartine, nelle liste
(Carnet) e nelle tabelle. Ma cosa lo distingue dal modello finzionalizzante? Ancora una volta ruolo
fondamentale nella distinzione lo svolge l' enunciatore che in questo caso è REALE. Leggendo un
articolo scritto da un giornalista, stiamo entrando in relazione con la sua opinione, e spesso ci
facciamo domande identitarie, che possono anche avere delle risposte nell'articolo stesso.
Sempre interrogando “Le Monde” possiamo trovare esempi di modo moralizzante → esempio :
l'editoriale, o un discorso moralizzante può essere comunicato anche attraverso delle immagini.
Hanno una struttura molto semplice e molto simile tra loro. La determinazione enunciativa si apre
alla presenza di più enunciatori reali (che potrebbero essere interrogati). E' proprio tale libertà di
costruzione che ci sottolinea la difficoltà di produzioni di essere accolte nel panorama sociale. Con
le produzioni fittizie si crea un sistema di attese diverse che tende a coinvolgere maggiormente il
Ricettore.
Per facilitare la diffusione di queste produzioni è un'ottima idea quella di inserirle in spazi
comunicativi già esistenti e già accettati e conosciuti dal tessuto sociale (politica, attualità).
L'enunciatore reale in questo caso è molto vicino al ricettore in quanto lo stesso è implicito nella
comunicazione in quanto persona reale. Tale interazione non è possibile nel mondo fittizio, sia per
la tipologia di enunciatore, sia per l'impossibilità di prendere posizioni in merito a qualcosa.
Dall'altro lato della medaglia però il Ricettore può anche essere preso in considerazione per
spiegare la sua presa di posizione e quindi entra ancora più profondamente nello spazio
comunicativo.
Modo finzionalizzante (ripresa), modo favolizzante
Fino a questo punto i modi presentati da Odin risultano come appartenenti a due sistemi opposti:
1) modo documentarizzante e moralizzante → relazione con il reale
2) modo finzionalizzante → non relazione con il reale
Questa opposizione non risulta in alcun modo veritiera in quanto è possibile che attraverso la
finzione si arrivi ad avere un'esperienza del reale ma anche una conoscenza del mondo e una
manifestazione di valori.
L'interrogativo che emerge è il seguente: se è vero che ogni finzione è anche documentarizzante e
moralizzante a cosa serve mantenerla distinta dalle altre due?
Odin ci propone 3 ipotesi di risposta:
Possiamo considerare questo come un insieme di processi messi in gioco dagli altri due
– modi come una possibile modalità di fruizione? Se pensiamo che la finzione si basa su
questi modi ne deriviamo che la finzione non è un gioco innocente, anzi, ci informa e ci da
dei valori. Il difetto di questa prima analisi è che spesso la finzione non viene vissuta così
dal Ricettore.
Si può instaurare una relazione obbligata tra questi tre mondi → il difetto sta nel ruolo
– dell'enunciatore che non potrebbe essere ne reale ne fittizio. Diventa piuttosto un
enunciatore mascherato. “ Il racconto è una trappola” cit Louis Marin
Odin propone di rivedere i termini con i quali ha strutturato il modo finzionalizzante e
– integrarli con dei processi che lo legano al mondo reale.
Il raddoppiamento dei livelli discorsivo ed enunciativo permette di comprendere come la finzione
intervenga nel reale.
Esistono però delle complicazioni, esistono testi che esibiscono la finzione proposta come
illustrazione di un discorso morale → anche se la morale appare alla fine della storia è chiaro al
lettore che la finzione serve solo ad esemplificare quella morale. La finzione non perde
assolutamente il suo potere, anzi cattura il lettore e lo porta alla fine del testo. In questo particolare
ambito viene rispettato l'equilibrio tra morale e fittizio; si potrebbe pensare a questo modo come ad
una sotto-categoria comune ai due precedenti, ma dà luogo ad un'esperienza specifica.
Odin sceglie di categorizzarla come modo favolizzante. La favola, la parabola, hanno una
fortissima storia legata a molteplici arti e letterature.
Così descritto il modo favolizzante però non ci sembra altro che un ripetersi del finzionalizzante →
appare con gli stessi precessi. La distinzione alla base sta nella gerarchia di questi: nella favola
esiste un enunciatore reale che costruisce un “discorso”.
Per tirare le somme abbiamo visto che la ricerca analitica di Odin ha messo a confronto diversi
modelli di analisi per capire meglio le dinamiche comunicative di ognuno ( vedi schema 4).
Capitolo terzo: Modo estetico, modo artistico e relazioni tra modi e spazi
I modi che abbiamo visto fino a questo momento si definiscono in una struttura verticale, ovvero
sono composti da una serie di processi che avvengono in blocco, simultaneamente.
I modi che andremo ad analizzare ora invece, quello artistico e quello estetico, hanno una struttura
orizzontale → i processi ad essi relativi si organizzano temporalmente in una successione.
Prima di passare alla descrizioni di questi due modi Odin vuole sottolineare il dibattito teorico sulla
loro indipendenza\dipendenza l'uno dall'altro. Molti teorici riconoscono l'autonomia del mondo
estetico, anche se il più delle volte questo è legato all'artistico al punto da servirgli da definizione.
Per l'antropologo Jacques Maquet ogni oggetto la cui funzione sia anche solo mero diletto estetico
è da considerarsi opera d'arte.
Secondo Odin non sono necessarie troppe opzioni filosofiche, per capire al meglio i due modi
bisogna partire con il considerarli indipendenti e analizzarli in un funzione di questo.
Dal modo agli spazi estetici
Inizialmente Odin affermava che il modo estetico fosse caratterizzato dall'assenza di un enunciatore
, in questo volume rinnega la sua posizione affermando che questa “illusione” derivava dal fatto che
non si era reso conto del processo di attribuzione dei significati che avviene “leggendo” l'oggetto
estetico.
Il modo estetico si definisce come il procedimento attraverso il quale un soggetto si lancia
nell'avventura della ricerca di valori estetici → per essere inserito in questa ricerca il bisogna porsi
come il soggetto di un percorso narrativo avente come oggetto proprio la ricerca dei valori estetici.
Odin usa il percorso narrativo come uno strumento di livello meta per descrivere la dinamica del
processo stesso.
Fase 1: momento di incontro con l' Oggetto, possiamo chiamare questa fase momento del
– contratto che mi vincola al mondo estetico. Il contratto può assumere forme diverse: a volte
è l'Oggetto stesso (“che bello!” tipo colpo di fulmine) che mi suscita un desiderio, altre volte
è qualcun'altro che mi indirizza nella ricerca (“guarda come è bello!”). Essenziale è la
presenza di relazioni affettive che legano il Soggetto con l'Oggetto, altrimenti qualsiasi
coinvolgimento risulta impossibile. Le relazioni affettive costituiscono il motore stesso del
modo estetico.
Fase 2: “la sequenza qualificante” → corrisponde all'attribuzione dei mezzi ( gli Aiutanti)
– che mi permettono di effettuare la ricerca. Il processo di ricerca estetica funziona solo a
determinate condizioni; anche lo stesso Soggetto deve possedere alcune competenze e
caratteristiche per poter intraprendere questo percorso (la lista delle competenze necessarie
non è chiara, ritroviamo la sensibilità, l'immaginazione e così via..).
Fase 3: “la sequenza principale” → la fase di produzione di valori estetici. Prerogativa di
– questa produzione è l'aver sconfitto degli Oppositori (tutto ciò che mi può distrarre dalla
ricerca estetica; si può essere Oppositori di se stessi). I valori estetici prodotti non devono
essere confusi con il messaggio dell'opera. I valori sono il risultato dell'incontro personale
con l'oggetto (emozione – affezione).
La produzione a livello discorsivo molto spesso rimane interna al soggetto → discorso interiore;
altre volte invece sfocia in produzioni che possono assumere le forme più diverse. La sola cosa
importante è che la struttura discorsiva sia relativa alla comunicazione di valori estetici.
Molto importante è capire il senso di “discorsivo” in questo contesto; certo i valori hanno sempre un
contenuto discorsivo ma l'essenziale sta spesso altrove, nelle relazioni
sensibili che li rendono manifesti. Con il modo estetico non si tratta
solamente di costruire un testo, ma come afferma Jacques Rancière, di
operare una partizione del sensibile → nel modo estetico si ammette
per la prima volta che è possibile una posizione dominante del
sensibile in rapporto con il testo.
In sintesi il modo estetico serve alla produzione di valori estetici che
hanno a che fare con la collettività e si impongono sull'individuo. Lo
spazio di comunicazione estetico regola le relazioni tra i suoi membri
e le opere del mondo. Il contenuto dei valori estetici è vasto e
altamente variabile, a seconda degli individui, dei momenti storici e
della società → in ogni momento esistono sempre più spazi estetici
contemporaneamente.
Dal modo artistico (forma ridotta) all'inscrizione nello spazio dell'arte
Per introdurre il lettore a questo modo Odin offre una panoramica sulla storia del cinema e sul
percorso che questo a subito per essere considerato “un arte” al pari della pittura e della letteratura.
Il dibattito si accende già nel 1908 quando Emile Maugras e Maurice Guégan tentano di fare
entrare il cinema nelle arti per valorizzare la società nella quale lavoravano. La loro tesi si basava
sulla dimostrazione che il cinema nient'altro è che un disegno, la rappresentazione di paesaggi o<