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Da un lato abbiamo un’industria dell’intrattenimento con le sue nuove
seduzioni; dall’altro una forma di scrittura che separa il corpo e la carta nel
corso della stessa produzione testuale, e non durante la riproduzione.
Fin dal principio, le lettere e la loro disposizione vennero standardizzati secondo
la forma dei caratteri e della tastiera. Nei testi standardizzati le carte e il corpo
si separano: Le macchine per scrivere non catturano gli individui; le loro lettere
non comunicano un Oltre che lettori perfettamente alfabetizzati possano
tradurre per via allucinatoria in un significato.
La sincronia storica di cinema, fonografia e scrittura a macchina ha separato i
flussi di dati visivi, acustici e verbali, rendendoli in questo modo autonomi.
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La “distinzione metodica” di Lacan tra reale, immaginario e simbolico è la
teoria di una tale differenziazione.
Il simbolico ora abbraccia i segni linguistici nella loro dimensione materiale e
tecnica. Lacan designa il mondo simbolico (come) il mondo della macchina.
L’immaginario emerge come l’immagine riflessa di un corpo che appare più
perfetto rispetto al corpo proprio del bambino; perché nel reale tutto comincia
con freddo, stordimento e fame d’aria. Così l’immaginario realizza esattamente
quelle illusioni ottiche che venivano indagate agli albori del cinema.
Il reale forma lo scarto o il residuo che né lo specchio dell’immaginario né la
griglia del simbolico possono catturare: gli incidenti psicologici e i disordini
stocastici del corpo.
La distinzione metodologica della moderna psicoanalisi coincide chiaramente
con la distinzione dei media tecnologici. Soltanto la macchina da scrivere
produce una forma di scrittura che è una selezione a partire dal set finito e
organizzato della sua tastiera. Contrariamente al flusso della scrittura manuale,
essa offre elementi discreti separati da spazi. Perciò il simbolico possiede lo
status delle lettere maiuscole. La pellicola cinematografica per prima ha
catturato quei doppi semoventi che gli esseri umani, diversamente dagli altri
primati, furono in grado di riconoscere come i loro propri corpi. Perciò
l’immaginario possiede lo status del cinema. E soltanto il fonografo può
registrare tutto quanto di sonoro venga prodotto dalla laringe prima di
qualunque ordine semiotico o significato linguistico.
Una volta che la differenziazione tecnologica tra dimensione ottica, acustica e
verbale ebbe scardinato il monopolio gutenberghiano della scrittura intorno al
1880, l’edificazione del cosiddetto Uomo divenne possibile. Le macchine si
fanno carico delle funzioni del sistema nervoso centrale e non più soltanto di
quelle muscolari. Di fronte all’invenzione della fonografia e del cinema, gli
antichi sogni del genere umano non sono più sufficienti. La fisiologia
dell’occhio, dell’orecchio e del cervello devono diventare oggetto di ricerca
scientifica. Perché la scrittura meccanica possa essere ottimizzata, non è più
possibile sognare una scrittura che sia espressione individuale o traccia
somatica.
Cap 10
Archeologia dei media
L’archeologia dei media non si configura come un campo unitario, ma
piuttosto come una costellazione di ricerche impegnate a rileggere la ricerca
storica sui differenti media alla luce della recente svolta digitale. Alcune
coordinate generali: la rilettura del passato dei media a partire dalla svolta
digitale; la volontà di costruire delle contro-storie che contestano l’idea di un
unico progresso lineare e teleologico, valorizzando sentieri interrotti e figure
rimosse e dall’altro ripetizioni e ritorni trasversali; una tendenza a spingere
all’indietro le ricostruzioni fino al Rinascimento e talvolta alle prime
manifestazioni espressive dell’uomo.
Quale ruolo e quale peso assegnare ai discorsi e alle configurazioni culturali
che circondano i dispositivi (media) rispetto alla materialità tecnologica dei
dispositivi stessi (medium)?
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Se figure come Benjamin e McLuhan hanno insegnato a pensare
congiuntamente gli aspetti culturali e quelli materiali dei mezzi di
comunicazione, una frattura si produce a partire da due differenti letture
dell’archeologica del sapere di Foucault:
- da una parte Kittler insiste sulla preminenza degli aspetti tecnologici
materiali, dando luogo ad una tradizione tedesca di archeologia dei
media;
- dall’altra gli autori del Nuovo storicismo anglosassone sottolineano il
ruolo degli intrecci “discorsivi” tra saperi e poteri nella determinazione
delle dinamiche mediali.
L’archeologia dei media rovista negli archivi testuali e audiovisivi o nelle
collezioni di strumenti e manufatti, per mettere in rilievo le manifestazioni
discorsive e materiali di una cultura.
Nei primi decenni del XX secolo, anche la storia dell’arte iniziò a proporre dei
modi per ricontestualizzare l’arte all’interno di tradizioni testuali e per allargare
il proprio campo di indagine a tutti quei materiali visivi che tradizionalmente
erano stati confinati al di fuori dei confini disciplinari.
La versione dell’archeologia dei media declinata da Siegfried Zielinski va
compresa come una pratica di resistenza, non solo nei confronti della crescente
uniformità della cultura mediale mainstream, ma anche nei confronti
dell’archeologia dei media stessa, o meglio della sua assimilazione e del suo
irrigidimento, che vanno di pari in passo con la normalizzazione dei media
studies come disciplina.
Per lui, l’archeologia dei media significa portare alla luce dei percorsi segreti
della storia, che potrebbero aiutarci a trovare un modo per rivolgerci al futuro.
Questa formulazione rivela il carattere utopistico e romantico che sottende il
pensiero.
Zielinski individuò la triade “tecnologia-cultura-soggetto”, identificando
ciascuno di questi elementi con una tradizione intellettuale recente che lo
aveva influenzato e iniziò a orientarsi in due direzioni ma che miravano allo
stesso obiettivo: rompere la psychopatia medialis della cultura mediale
moderna. Da un lato, si trovavano gli artisti contemporanei radicali, la cui
azione era potenzialmente in grado di cortocircuitare i cattivi obiettivi della
cultura industriale; dall’altro lato, vi erano i tesori nascosti del passato, che
potevano fornire delle chiavi per un rinnovamento culturale.
L’approccio che ne deriva tende a respingere l’idea di “nuovo”, che molto
spesso caratterizza il discorso della cultura mediale, sia critico sia popolare, per
porre l’accento invece sul cliché, il luogo comune e il “logoro”.
Cap 11
Concetto di dispositivo strumento di correlazione tra soggetti e
5 accezioni del termine, la quinta è
potere (di assoggettamento) ed è stata introdotta da Foucault.
Perché possa essere presa in considerazione rispetto al cinema occorre:
15 1. distinguere e collegare la storia strettamente tecnologica del dispositivo
cinematografico alla sua storia discorsiva e culturale
2. superare la stretta connessione tra dispositivi e processi di potere che si
ritrova in Foucault
Per qualche tempo si è ritenuto che un capovolgimento delle sue polarità
fornisse la possibilità di mettere alla prova la dimensione coercitiva del
dispositivo di Foucault: con l’avvento dell’età digitale, i dispositivi sembrano
diventati un luogo di interattività e di scambio. Foucault veniva criticato per
aver concepito il dispositivo come qualcosa che “applicandosi al corpo
dell’individuo finisce per produrre soggettività senza esserne prodotto”.
Foucault mostra che l’emancipazione del soggetto è parte del suo
assoggettamento. Tuttavia associare automaticamente la questione del potere
alla nozione di dispositivo diventa problematico nel momento in cui l’indagine
sui dispositivi non mira più a delineare il modo in cui il potere opera o a
riprendere e rilanciare la dimostrazione già prodotta da Foucault stesso.
Storia tecnica del cinema: disciplina che indagasse come la tecnica influenzi la
storia e come reciprocamente ne sia influenzata.
Dispositivo resta da costruire come nozione, come schema epistemico
decentrato rispetto alla sua realtà oggettuale.
È uno schema, un gioco dinamico di relazioni che articolano discorsi e pratiche
connettendoli vicendevolmente; schema che va ricavato a partire da una
descrizione che lega tre termini: lo spettatore, il macchinario, la
rappresentazione.
Cap 12
L’architettura dello schermo
Giuliana Bruno e lo schermo: esso è legato a una canalizzazione della luce
ambientale (proiezione) che costruisce su di esso effetti di mutamento e
trasformazione incessanti (grado zero del cinema). Individua tre grandi
concezioni dello schermo, come oggetto di arredamento, come superficie, e
come spazio vuoto.
L’idea dello schermo precede l’invenzione del cinema, già nel primo
Rinascimento lo schermo indicava superfici e tipi di schermature
architettoniche.
Ritorno delle luminose materialità texturali apparse agli albori del cinema:
esperienze che restituiscono l’idea della dimensione atmosferica della
proiezione: è il cinema espanso, che coinvolge la materialità e le atmosfere
della proiezione e dove la consistenza immateriale della luce e dell’aria permea
lo spazio proiettivo.
Storia del cinema come archeologia dei media
Elsaesser scrive , si schiera
contro la tesi della rottura radicale tra analogico e digitale tentando di utilizzare
l’avvento del digitale per una più profonda ridefinizione degli assunti di base
della storia del cinema; sospetta della tentazione di appropriarsi del passato
per rintracciare tutto ciò che nel presente ci sembra notevole sia stato già
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anticipato cento anni fa, dubbioso sulla storia lineare del cinema e volendo
rendere il passato nuovamente strano anziché familiare.
Egli vuole esplorare il concetto di obsolescenza, sia come copertura per una
nostalgia per diverse età dell’oro pre o proto-cinematografiche, sia come
espressione di modalità più problematiche per fare i conti con la retorica della
novità e del nuovo. L’obsolescenza intesa come nostalgia tende a feticizzare
l’era delle prime macchine del cinema, tutta concentrata sul dispositivo di
base.
Eppure l’obsolescenza intesa come impulso mimetico verso la ricostruzione, la
riscoperta e la redenzione può aprire un campo ricco di ulteriori riflessioni
proprio per mappare nuovamente i confini della storia del cinema. Inizialmente
il significato assunse un termine negativo all’interno del discorso economico-
tecnicista del “progresso tramite d