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Comportamento prosociale, Psicologia sociale I Pag. 1
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APPUNTI E SCHEMI DI PSICOLOGIA SOCIALE

8 - IL COMPORTAMENTO PROSOCIALE

Si definisce aiuto un’azione tesa a migliorare la situazione della persona che ne è destinataria, a prescindere

dalle motivazioni che vi sono dietro di essa (professionali, interessate, etc.). E’ definito comportamento pro

sociale, invece, un beneficio arrecato volontariamente, senza la sussistenza di obblighi (professionali, etc.), ma

che può prevedere o meno comunque l’esistenza di benefici per sé. E’ un ausilio “intermedio”, dunque.

Tipo particolare di comportamento pro sociale è invece l’altruismo. Esso è una forma di aiuto compiuto senza

tener conto dell’approvazione sociale, del proprio interesse o della propria sicurezza.

Il non aiuto

Aiutare potrebbe e dovrebbe essere un qualcosa di molto scontato. Tuttavia non sempre le persone si aiutano.

Le motivazioni dietro questa non piacevolissima verità, escluso il male intenzionale, sono diverse:

Un primo motivo, è legato alla numerosità dei soggetti: i risultati di ricerche sull’aiuto sostengono che la

probabilità di intervento e la solerzia di un soggetto diminuiscono in funzione del numero degli spettatori.

Ciò significa, quindi, che meno siamo e più aiutiamo, e questo è dovuto a diversi fattori: tra questi, il fatto che il

peso della nostra responsabilità è alleggerito poiché essa è condivisa con altri; inoltre, si innescano processi

come - complice il fatto che non siamo abituati ad essere in situazioni d’emergenza, che sono comunque tutte

uniche vista la loro diversità (oltre che rare) - il pensare che, siccome gli altri non reagiscano, non sia successo

nulla di davvero grave (passività per modellamento). Ancora, anche l’imbarazzo gioca il suo ruolo particolare: la

paura di valutare male la situazione sociale non è così banale come potrebbe sembrare, e potrebbe significare

nel soggetto una vera e radicata paura di sbagliare.

Non c’è poi da tralasciare che talvolta siamo effettivamente presi alla sprovvista: non sempre sappiamo

individuare le emergenze e cosa fare, non essendo istruiti a fronteggiare emergenze, salvo casi particolari.

Tanti sono, dunque, i motivi per i quali non interveniamo, fermo restando che l’intervento costa anche risorse,

non solo cognitive, ma anche legate all’assunzione di responsabilità, di obblighi verso la legge, e di tempo,

variabile quest’ultima molto correlata a tutto un piano situazionale, molto importante, che vede gli stessi

soggetti autori di due comportamenti diversi a parità di emergenza, ma in contesti diversi. In questa direzione va

proprio l’esperimento dei seminaristi che, pur essendo impegnati con un sermone sull’altruismo, decidevano di

aiutare o no perlopiù guardando alla fretta che gli sperimentatori avevano posto in loro in quel momento.

Fatto sta che è stato dimostrato che insegnare, ad esempio, a soggetti non addetti ai lavori che esiste un vero

effetto spettatore a minare l’intervento d’aiuto, “aiuta ad aiutare”, riducendo l’indifferenza delle persone.

La scelta di aiutare

Aldilà di quanto detto, si può fortunatamente constatare che tanti sono anche i casi in cui si sceglie di aiutare. Il

perché di ciò è spiegabile da due punti di vista: quello evoluzionistico, e quello psicologico.

L’approccio evoluzionistico

Gli studiosi che si occupano di vedere il comportamento prosociale con impronta biologica, seguendo gli studi di

Charles Darwin, sostengono che la tendenza ad aiutare sia un fattore selezionatosi nel corso dei millenni in tutta

la specie umana. Questa posizione è affermata, per quel che riguarda l’aiuto nell’ambito familiare, nella teoria

della selezione parentale, per la quale tendiamo ad aiutare i consanguinei per assicurare la trasmissione dei

nostri geni alle generazioni future. L’aiuto preso in esame è per questo molto relativo alla sopravvivenza.

Similmente, però, è manifesto che anche l’aiuto tra non consanguinei è un fenomeno importante che coinvolge

ogni cultura del mondo: aldilà delle regole sociali universalmente riconosciute, la teoria dell’altruismo reciproco

spiega che siamo portati ad aiutare gli altri per un meccanismo di “dare-avere”. L’uomo sarebbe portato a

pensare che aiutando sarà egli stesso aiutato in caso di bisogno, così da innestare un vero circolo, minacciato

solo da fenomeni di inganno e di irriconoscenza, variabili che in un certo senso alleviano il suo altruismo.

L’approccio psicologico

L’approccio psicologico, più che individuare tendenze a livello di specie, si sofferma sulle variabili individuali

relative alla tematica dell’aiuto. In particolare, ritiene che queste tendenze siano perlopiù acquisite, apprese dai

soggetti, generalmente per due tipi di ragioni, ossia per stati emotivi e per caratteristiche di personalità.

Il punto di vista individuale

- Gli studi che fanno capo a stati d’animo ed emozioni suggeriscono che l’umore corrente in un individuo

giochi un ruolo fondamentale nello stabilire se aiutare o meno un soggetto. In particolare, il buon umore

favorirebbe la manifestazione di comportamenti prosociali. Ciò è confermato da molti studi.

Ad ogni modo, è bene stabilire che gli effetti del buon umore sull’aiuto sono comunque di breve durata, e

svaniscono presto come dimostrato dall’esperimento delle telefonate di Schwartz. Questo svanimento degli

effetti positivi sarebbe a sua volta spiegabile dal modello degli stati d’animo, il quale suggerisce che lo stato

d’animo, nel breve tempo, sostituirebbe le considerazioni sulla circostanza in cui il soggetto è posto,

considerazioni invece operabili in maniera più analitica con più tempo, che farebbero considerare il contesto in

cui siamo come meno sicuro, o comunque meno accogliente rispetto a quel che ci suggerirebbe l’umore.

Quanto detto per il buon umore, comunque, potrebbe con probabilità valere al viceversa per il cattivo umore.

La tristezza, infatti, potrebbe portare a voler aiutare meno gli altri, mentre diversamente accadrebbe - anche in

ottemperanza alle idee di Freud – per i sensi di colpa, che pure porterebbero alla promozione di comportamenti

prosociali tanto per sublimazione o risarcimento, quanto per sollievo da stato emotivo negativo.

- In alcune persone, da alcuni studi, si è osservata la sussistenza di una vera e propria personalità prosociale.

I fattori che la identificano sono empatia, responsabilità sociale, locus of control ed autoaccrescimento.

L’empatia è il tratto prosociale più evidente. E’ la tendenza del soggetto ad assumere lo stato emotivo della

persona con cui si relaziona, ed è stabilita proprio come un mettersi nei panni dell’altro.

La responsabilità sociale consiste nell’attendere a tutti i doveri sentiti come tali, a prescindere dal fatto che ci

piacciano o meno. Il locus of control è invece la credenza di una vita strettamente dipendente da quanto

compiamo, e non da fattori esterni come la “fortuna” o il “caso”.

Si definisce, infine, di autoaccrescimento, il comportamento che riteniamo possa aiutarci ad essere persone

migliori di quello che siamo: classico esempio è la pratica del volontariato, aiuto libero, prolungato e continuo.

Oltre a questi fattori, anche la credenza in un mondo giusto potrebbe in qualche modo influire sulle condotte

tipiche di una persona prosociale, ma solo nei casi in cui la stessa valuta come risolvibile una situazione.

Credenza in un mondo giusto e certezza dell’immutabilità di una situazione portano,invece, a non aiutare.

- Tornando al volontariato, è da esso che si sono ricavati numerosi concetti circa le motivazioni alla base del

comportamento prosociale. Esse sono divise in egoistiche ed altruistiche, e classificate da van de Vliert e colleghi

a seguito di studi statistici e all’utilizzo dell’analisi fattoriale.

Le quattro motivazioni egoistiche sono il fare qualcosa per cui ne valga la pena nel tempo libero, la soddisfazione

personale, gli scopi di socializzazione e l’acquisizione di nuove competenze ed esperienze utili.

Cinque sono invece le motivazioni altruistiche, e consistono in solidarietà, compassione, identificazione con i

sofferenti, credenze religiose e desiderio di portare speranza e dignità.

Lo studio sul volontariato ha inoltre portato altri frutti: come intuibile, i risultati ottenuti hanno confermato che

le persone motivate altruisticamente aiutano anche nelle circostanze in cui sono presenti vie di fuga, modi per

evitare di attuare comportamenti prosociali. Ciò non avviene, invece, per persone con motivazioni egoistiche.

Da approfondimenti, si è inoltre compreso che persone che, pur empatiche, sentono forte il disagio derivante da

certe situazioni, tendono ad aiutare di meno o a non aiutare se vi sono vie di fuga, mentre provvedono

comunque al supporto nelle casistiche in cui la fuga non è concessa dalla situazione vissuta.

Ancora, si è cercato di capire come si potrebbe spiegare l’aiuto nelle persone con tendenze egoistiche: le

motivazioni sono legate perlopiù a due concetti, che sono il vedere l’aiuto offerto come mezzo per ridurre la

propria tristezza, o come necessario per un variegato senso di unità, ossia la necessità di far sì che tutti stiano

bene affinché anche l’integrità personale ed il proprio tornaconto non vengano turbati da situazioni di empasse.

Il punto di vista interpersonale

E’ chiaro che, da un punto di vista interpersonale, scegliamo di aiutare le persone anche in base a cosa esse

rappresentano per noi nella nostra vita, in base cioè alla relazione affettiva che intercorre tra noi e loro.

Con un po’ di razionalismo, è possibile dividere le relazioni in relazioni di scambio e relazioni affettive.

- Sono relazioni di scambio le relazioni che intercorrono tra estranei o conoscenti: in esse, tendiamo a

ottenere il massimo dei guadagni, e a ragionare quindi in prospettiva più egoistica, distribuendo ricompense in

considerazione dei contributi di cui abbiamo usufruito per merito delle singole persone.

- Sono relazioni affettive, invece, le relazioni che sussistono tra noi ed amici, familiari e partner: in esse, è

ovviamente la prospettiva altruistica a prevalere e a motivare il desiderio di alleviare le sofferenze altrui, a

prescindere da cosa abbiamo ricevuto noi in passato, e a prescindere da chi sia a chiederci una mano.

Questa distinzione ci aiuta a far emergere la dinamica umana per la quale nelle relazioni di scambio dimostriamo

una discreta indifferenza ove non appaiono guadagni a nostro favore, ma anche la gratuità dei gesti e dei

comportamenti prosociali quando siamo coinvolti nell’aiuto e nelle richieste di una persona

Dettagli
Publisher
A.A. 2014-2015
4 pagine
1 download
SSD Scienze storiche, filosofiche, pedagogiche e psicologiche M-PSI/05 Psicologia sociale

I contenuti di questa pagina costituiscono rielaborazioni personali del Publisher faraday92 di informazioni apprese con la frequenza delle lezioni di Psicologia sociale I e studio autonomo di eventuali libri di riferimento in preparazione dell'esame finale o della tesi. Non devono intendersi come materiale ufficiale dell'università Università degli studi Gabriele D'Annunzio di Chieti e Pescara o del prof Di Battista Silvia.