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COSTRUTTIVISTA
IL COLLOQUIO PSICOLOGICO-CLINICO: L'OTTICA COSTRUTTIVISTA INTERSOGGETTIVA
Intersoggettivo = studi di analisi recenti sull'infant research
A cosa serve il colloquio allo psicologo?
E' uno strumento che serve allo psicologo clinico in primis a conoscere.
Serve a entrare in contatto, a conoscere l'altro, sia che sia finalizzato all'aiuto, alla
valutazione, alla perizia, alla ricerca.
Le informazioni non sono dei dati.
Presupposti di base del costruttivismo
Come si acquisisce la conoscenza?
L'Infant Reasearch ha dimostrato che già dal primo giorno di vita si crea una relazione
con gli altri attraverso cui il bambino inizia a fare esperienza.
La figura del care-giver si definisce in relazione a entrambi: inizialmente l'esperienza è
preverbale e sensoriale, successivamente allargando la cerchia delle relazioni e nel
contatto col mondo delle cose.
Anche la figura di attaccamento viene influenzata nei comportamenti da adulto.
La conoscenza può essere vista come un processo ricorsivo dell'esperienza, come
diceva Piaget (uno dei maggiori costruttivisti della scuola di Psicologia), ovvero
l'esperienza di noi con gli altri e sulla quale abbiamo costruito le nostre regole rispetto
a “come vanno le cose nel mondo”, definisce vincoli e le possibilità delle nostre
successive esperienze, ovvero della conoscenza.
Uno dei presupposti base è che la conoscenza è una costruzione generata
dall'osservatore in relazione alla sua struttura e la sua esperienza. Egli non è estraneo
alla stessa, non esiste altra possibilità di conoscere se non ciò che è in grado di
costruire in base alla sua esperienza.
Ciò implica un'idea di conoscenza molto lontana dall'idea di verità, è soggettiva:
perturbazione)
l'effetto di un qualsiasi evento ( su un organismo vivente non dipende
dalle caratteristiche dell'evento ma dal significato che il sistema gli attribuisce in
relazione alle sue caratteristiche strutturali e alle sue esperienze intersoggettive.
Non esistono eventi quindi, ma perturbazioni, che vengono valutate dal singolo.
Il colloquio può essere visto come strumento professionale di conoscenza. Obiettivo
del colloquio è la conoscenza dell'altro.
Come posso conoscere l'altro se non entro in contatto con il mondo (interno) dell'altro?
L'obiettivo prioritario è comprendere l'altra persona: “vedere e sentire il mondo con gli
occhi dell'altro”, entrare in risonanza con i suoi stati emotivo-affettivi, cogliere la logica
peculiare del suo sistema e comprendere le caratteristiche della sua esperienza.
Non conta la mia interpretazione di ciò che l'altro mi sta raccontando.
Non sempre è facile tradurre le sensazioni che abbiamo in parole, si tratta di cercare di
sentire cos'altro ci sia nel racconto dell'altro.
Ognuno di noi ha una propria logica, soprattutto quando si parla di disagio o
sintomatologia, es: una persona che ha la fobia delle farfalle.
In ottica cognitivo-comportamentale viene definita assurda e disfunzionale, quindi
l'obiettivo è di correggerla.
In ottica costruttivista, non è quella di correggerla, ma di comprendere se esiste quale
sia il senso che la persona dà alla situazione.
Es: una ragazza anoressica ha una sensazione egosintonica del proprio peso, non
vuole abbandonarla, quella funzione corrisponde agli obiettivi essenziali della persona.
Il non mangiare è l'unico modo che la persona sente di avere il dominio su qualcosa,
idem per atteggiamenti autolesionistici.
A cosa può servire comprendere, nella misura in cui io riesca a sentire quale sia il
problema?
“Comunichiamo i significati che emergono dalle nostre interazioni con gli altri
attraverso canali multipli simultanei in un tempo di decimi di secondo, un tempo
troppo rapido e troppo rapidamente mutevole per essere reso a parole.” (The Boston
Change Process Study Group, 2010, pag.160) l'aspetto fondamentale è porre
attenzione a piccoli aspetti nella comunicazione.
Alla base del colloquio clinico sta la relazione: è un fenomeno co-creato e bipersonale.
Si crea, nel setting, nella dimensione del “Tra” o del “Noi” in quello spazio tra l'Io e il
Tu (The sphere of between, Buber), che non appartiene a nessuno dei 2 membri della
relazione ma esclusivamente alla relazione stessa in termini di complementarietà.
Senza relazione qualsiasi colloquio è fallito in partenza.
La relazione implica sempre una dimensione emotivo-affettiva, disponibilità a
comprendere l'altro, assenza di giudizio, autenticità anche da parte dello psicologo
(come dice Rogers).
I messaggi comunicativi possono influenzare la conoscenza.
La conoscenza esplicita è tutto ciò che conosco di me e degli altri, e che sappiamo di
sapere e possiamo tradurre in parole, ma è solo una piccola parte.
La conoscenza implicita è un tipo di conoscenza posseduta dal nostro corpo, acquisita
fin dai primi momenti dopo la nascita nelle interazioni con i caregiver (e per tutto il
corso della vita) che influenza non consapevolmente azioni, pensieri e sentimenti.
Le stesse cose dette con un tono diverso e il modo possono darci significati opposti a
seconda di come la persona interpreta l'esposizione.
La comunicazione passa attraverso il dialogo delle parole e dei corpi.
Il dialogo delle parole: il contenuto verbale (veicola i significati espliciti), la forma
espressiva (veicola i significati impliciti: il ritmo dell'eloquio, il tono e il volume della
voce, la dinamica dei silenzi → stare zitti in certi momenti e dare l'opportunità all'altro
di esprimersi), la modalità di strutturare le frasi (veicola diverse intenzioni
comunicative).
Il linguaggio può essere usato in maniera digitale o evocativa.
Il diagolo dei corpi: il corpo è lo strumento con cui entro in contatto con il mondo. Il
corpo parla non avendo bisogno
Il corpo del paziente è sempre un possibile oggetto di osservazione
Il corpo dello psicologo parla, come quello del paziente, comunque e sempre; nel
silenzio, nella conversazione, nell'attesa, anche al di là di qualsiasi intenzione esplicita
ma proprio per il diverso ruolo dovrebbe essere utilizzato in modo più consapevole
rispetto a ciò che si sta trasmettendo.
Non è scontata l'attenzione e la capacità di fare. Sono i micromovimenti dell'altro che
sono essenziali: quando una persona racconta qualcosa la sua espressione cambia a
seconda di cosa mi sta raccontando, la posizione.
Ciò che passa a quella persona dipende anche da come passa il mio messaggio del
linguaggio verbale.
Esempio clinico: ammettiamo di trovarsi insieme a una persona che abbia presentato il
suo problema nei termini del disagio che prova nei momenti in cui si accorge di essere
oggetto di particolare osservazione da parte di alcune specifiche tipologie di persone e
che affermi di avere difficoltà a comprendere chiaramente la ragione di questo disagio.
In particolar modo se la persona è una persona cara.
Proviamo a considerare 2 diverse ipotetiche brevi interazioni conversazionali diverse
rispetto alla struttura linguistica degli interventi.
Primo scenario (tipo linguistico): “Questa difficoltà che prova quando si accorge di
essere oggetto dello sguardo dell'altro, come la definirebbe?” si richiedono delle
etichette semantiche
“Beh, in queste situazioni provo un misto fra imbarazzo e rabbia”
La rabbia non è uguale per tutti, il contenuto esperenziale può essere molto diverso da
persona a persona.
“Cosa intende per imbarazzo?”
“Quello sguardo crea una centratura su di me e io ho la sensazione di prendere uno
spazio in quella situazione relazionale”
“Riesce a immaginare perché il prendere uno spazio nella relazione con l'altro può
farla sentire in imbarazzo?”
“Non lo so, ho soltanto la sensazione che devo trovare qualcos'altro da mettere in
quello spazio”
Secondo scenario (iconica, sensoriale): “Come potrebbe descrivere questo
disagio, come sensazione, come lo sente? Si accorge dello sguardo dell'altro...” si
richiede di descrivere la propria esperienza corporea, cerchiamo di far “sintonizzare” la
persona nella situazione che sta descrivendo per poi poterla descrivere.
“Come una stretta, dal punto di vista corporeo come se mi mancasse il fiato,
mmm...come se lo stessi trattenendo. Fisicamente ho la sensazione di tenere, quasi di
chiudere.”
“Come di chiudere, come se lo sguardo dell'altro lo sentisse un tentativo di entrarle
dentro?!”
“Sì, è come se mi arrivasse dentro”
[Le sensazioni dello psicologo possono dirmi qualcosa sulle sensazioni dell'altro]
“Una richiesta di contatto?” “E il fatto che mi tocchi mi porta a chiudermi, mi
spaventa?” uso l'Io
“Sì, la sensazione è quella del pericolo, non è logico, ma...”
“Però di fatto quello che lei sente è un contatto, mi vien da dire, non so se è corretto,
troppo forte?! E per questo pericoloso?...” → non importa se non ha senso, ma bisogna
partire dall'idea che comunque un senso ce l'abbia (è un primissimo tentativo di
integrare un senso nelle sensazioni dell'altro)
Brano tratto dall'articolo Lorenzo Cionini “Il linguaggio delle parole, il linguaggio del
corpo e il linguaggio delle immagini nel processo di cambiamento” costruttivismi, 2:
169-180, 2015
http://www.aippc.it/costruttivismi/
C'è una base comune: la ricerca di un contatto autentico.
Aspetti di base vs aspetti psicoterapeutici.
Una visione costruttivista in cui il terapeuta nell'esempio di interazione lavora molto
sulla risonanza interazionale.
Cerca di entrare in diretta sintonia col paziente, in un certo senso è un po' Rogersiano,
per il rispecchiamento totale del paziente, ma nel costruttivismo la realtà è costruita
insieme.
Anche laddove esiste un trauma, le figure di attaccamento sono la struttura emotiva e
cognitiva che ci rappresentano.
Siamo quelli che le nostre figure di attaccamento ci hanno insegnato ad essere (es:
genitori e maestra all'asilo nido).
Nell'organizzazione cognitiva si aiuta il paziente a lavorare sulle proprie risposte.
Prima di tutto, quando si conduce un colloquio è ASCOLTARE la persona che ho davanti
e ascoltarsi, che cosa provo io di fronte a ciò che mi dice la persona che ho davanti?
Conta più un silenzio incoraggiante che un intervento.
Bisogna pensare che ogni volta che parliamo, lanciamo in campo dei macigni.
Dobbiamo