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Il ragionamento clinico

Il ragionamento clinico non è altro che la trasformazione di giudizi inconsci, sensazioni e conoscenze in qualcosa di più esplicito (M.Scriven, 1976). Il clinico si pone problemi e li valuta, giudica e trae conclusioni, formula e verifica ipotesi (R.S. Nickerson, 1986). In genere, il punto di partenza del ragionamento clinico è costituito da semplici indizi.

Il ragionamento clinico, però, richiede qualcosa di più della logica: la capacità di pensare. Il clinico, dunque, deve essere:

  • Pronto a esplorare nuove strade;
  • Attento a individuare problemi così come a trovare soluzioni;
  • Disponibile a ristrutturare la propria comprensione in base al livello di conoscenza del problema raggiunto in quel momento;
  • Convinto che conoscenza e comprensione siano il prodotto dei propri processi cognitivi;
  • Capace di assumere e valutare punti di vista opposti rispetto a un unico argomento;
  • Capace di distinguere aspetti originali da bizzarrie;
  • In grado...
di valutare la complessità del problema, ma, al tempo stesso, interessato a trovare un criterio che possa servire per costruire una gerarchia e per individuare priorità. Capace di cogliere i feedback, ma non per questo disposto ad aderire acriticamente alle convenzioni e alle pressioni sociali (E. Gambrill, 1990). Queste competenze cognitive, fondamentali per un buon ragionamento clinico, non sono sufficienti sul campo, perché il clinico deve spesso prendere decisioni senza avere a disposizione tutti i dati che sarebbero necessari (in parte perché il paziente non gli ha fornito tutte le informazioni, in parte perché egli stesso non le ha richieste) e deve scegliere tra alternative possibili, ugualmente plausibili, in situazioni emotive difficili. Il clinico, come qualsiasi essere umano, ha limitate capacità di processare le informazioni e risente dei propri fattori motivazionali. Non vede, quindi, tutto quello che dovrebbe vedere, per cui la stessa raccolta.dei dati può essere inadeguata. I ragionamenti clinici non sono, dunque, processi asettici, ma sono condizionati dalle strategie cognitive di cui il clinico si avvale e dalla presenza di fattori emotivi, che caratterizzano il clinico in quanto essere umano, oltre a essere una conseguenza specifica della psicopatologia del paziente. Alcune difficoltà del ragionamento clinico sono spesso indotte da una serie di comportamenti che il clinico mette in atto nel corso del processo diagnostico. Ad esempio, può accadere che il clinico: - Rilevi soprattutto ciò che si aspetta di rilevare; - Tenga conto solo delle informazioni che confermano le proprie ipotesi; - Ponga domande in modo da provocare nel paziente comportamenti di conferma; - Sia troppo sottomesso alla propria teoria di riferimento e filtri attraverso quest'ultima tutto quello che il paziente sta dicendo; - Abbia bisogno di catalogare (etichettare) immediatamente tutto, allontanandosi da una comprensione empatica e riducendola.

Possibilità di capire che cosa stia realmente accadendo. Sia talmente preoccupato di raccogliere dati da tralasciare gli aspetti qualitativi della comunicazione. Questi comportamenti possono rendere più difficoltoso il ragionamento clinico e ridurre la capacità sia di formulare diagnosi sia di fare predizioni. Diagnosi e predizione sono correlate, in quanto il successo nel predire il futuro dipende in grande misura dal riuscire a rendersi conto di ciò che è successo in passato. La predizione implica la capacità di ragionare partendo dalle condizioni attuali per arrivare agli esiti futuri; la diagnosi implica la capacità di ragionare sui sintomi e sui segni fino a individuare le cause precedenti ad essi.

Alcune riflessioni metodologiche:

La consultazione diagnostica è lo specifico metodologico della psicologia clinica. Il concetto di diagnosi è qui introdotto nella sua accezione di diagnosi funzionale, ossia di diagnosi del funzionamento: lungi,

quindi, siadall etichetta nosografica che dalla forzata riconduzione dei sintomi delpaziente a una qualsivoglia eziologia, aprioristicamente prescelta.La centratura di tale diagnosi è, pertanto, sul paziente, al fine di conoscere,comprendere e descrivere (prima ancora che di cambiare) il suo funzionamento globale.Tutto ciò che il clinico sa (come risultato della sua formazione e delle sueesperienze professionali precedenti) è al servizio di questa operazione diconoscenza. Fondamentale, in questo senso, è la capacità del clinico disalvaguardare le condizioni oggettive (relative all'incontro con il paziente)e soggettive (relative alla propria disponibilità emotiva) che massimizzanola sua capacità di comprensione oltre che la possibilità di comunicazionedel paziente.Lo scopo della consultazione diagnostica (la diagnosi funzionale) puòessere raggiunto solo se il clinico non consente a nessun modello diparalizzare la sua.

La capacità di cogliere la realtà del paziente. In altre parole, l'assetto emotivo-cognitivo del clinico è fondato su una identificazione provvisoria con i metodi, l'atteggiamento e gli scopi del paziente (S.Orefice, 1995), piuttosto che sullo sforzo attivo di promuovere l'identificazione del paziente con l'atteggiamento e i metodi propri.

L'eventuale presa in carico terapeutica, nella quale il paziente si piega alla specificità della tecnica che presiede al trattamento, può avvenire solo dopo che la consultazione, attraverso l'impiego di tutti gli strumenti che le sono propri (colloqui, test, osservazione, ecc.), ha raggiunto l'obiettivo di una diagnosi funzionale e quest'ultima è stata comunicata al paziente, nella cosiddetta restituzione.

Deriva da qui la distinzione fra psicologia clinica e psicoterapia e fra i ruoli di psicologo clinico e di psicoterapeuta. La relazione fra psicologo clinico e paziente non ha nulla a che fare con la psicoterapia.

Né con il lavoro dello psicoterapeuta. Lo psicologo clinico, quando svolge la propria attività professionale, fa delle consultazioni diagnostiche e si occupa di diagnosi funzionale. Il metodo che segue, in questo caso, non ha nulla a che vedere con il metodo di un qualunque trattamento psicoterapeutico. Quando, viceversa, conduce una psicoterapia, cambia ruolo e si accinge a un lavoro che ha un proprio razionale specifico, differente in rapporto al modello di disturbo psichico privilegiato dal particolare tipo di terapia.

L'insistenza sulla dimensione della consultazione diagnostica, in quanto scelta metodologica più che operazione clinica contingente, conferisce al rapporto fra psicologo e paziente una struttura particolare e specifica, che non può essere confusa con quella presupposta da tutti gli altri interventi con finalità mutative.

Il razionale del lavoro dello psicologo clinico consiste precisamente nell'applicazione di questi principi metodologici alle

soprattutto quelli con una maggiore consapevolezza di sé e delle proprie difficoltà, la diagnosi nosografica può essere utile per comprendere meglio la propria condizione e orientarsi verso un percorso di cura. Tuttavia, la diagnosi funzionale, che tiene conto non solo dei sintomi e dei disturbi, ma anche del funzionamento complessivo della persona, è fondamentale per una valutazione più approfondita e per individuare le strategie terapeutiche più adeguate. È importante sottolineare che la comunicazione della diagnosi al paziente deve essere fatta con attenzione e sensibilità, tenendo conto delle sue caratteristiche individuali e delle sue esigenze. Non sempre è necessario o utile fornire tutti i dettagli della diagnosi, ma è fondamentale garantire al paziente un'adeguata comprensione della propria situazione e delle possibili vie di intervento. In conclusione, la diagnosi in psicologia clinica va oltre la semplice classificazione nosografica e richiede una valutazione globale della persona. È un processo complesso che richiede competenze specifiche da parte dello psicologo clinico, ma che può essere di grande aiuto per il paziente nel comprendere e affrontare le proprie difficoltà.

Invece, la diagnosi, così formulata, assume caratteristiche tali da avere effetti devastanti, del tipo "sono affetto da una orribile ed incurabile malattia". Qualcosa di analogo rischia di capitare anche al clinico, che può trovarsi paralizzato e reso impotente dalle conseguenze stesse della sua diagnosi, al punto da non riuscire più a cogliere altri elementi clinici che gli permetterebbero di trovare strategie più adeguate per il paziente.

Se il criterio clinico è quello di individuare, nel modo più appropriato, un male e le possibilità di curarlo, dobbiamo tener conto del fatto che per il paziente può essere determinante innanzitutto il suo modo di percepirsi: cioè come percepisce se stesso, le proprie relazioni, le sue ipotesi, consce o preconosce, frammentate o già elaborate, spesso anche non spontaneamente dichiarate, relative al suo disagio; inoltre, in quali termini affronta il problema e le eventuali soluzioni per lui.

Possibili. Tali valutazioni possono essere personali del paziente oppure trattate dall'ambiente che lo circonda e dai precedenti operatori. Esse possono assumere una notevole rilevanza, in quanto forniscono non solo una delle rappresentazioni che il paziente ha di se stesso, ma anche una chiave di lettura dei suoi convincimenti riguardo la modificabilità del suo stato e delle condizioni che, a suo avviso, lo determinano. È quindi spesso fondamentale capire quanto e come la diagnosi del paziente e la sua modalità di affrontare le difficoltà possano permettere un alleanza. Ciò è tanto più vero in quanto il paziente, informandoci del suo modo di sentire, è un perfetto alleato, in quanto ci segnala anche con chi avremo a che fare, quando gli porremo ulteriori quesiti e, soprattutto, quando ci appresteremo a comunicargli il nostro punto di vista. Non potremo prescindere dal suo modo di maneggiare la realtà, le relazioni, le sue emozioni,

cioè dal suo modo di funzionare. La decisione di richiedere una consultazione ad uno specialista è di per sé un momento cruciale nella vita di una persona, talvolta molto doloroso per l'interessato e per le persone a lui vicine. Può derivare da una percezione del paziente di inadeguatezza o fallimento del suo modo di vedere e percepire se stesso e la propria situazione, o dall'esigenza di trovare conferma ai propri dubbi, oltre che dalla necessità di cercare un possibile aiuto. In tale condizione critica, il paziente può avvertire sulla propria pelle quanto poco la propria diagnosi o le soluzioni trovate siano idonee. Tale percezione può avvenire in modo acuto ed improvviso o, invece, modulato nel tempo e nell'intensità. L'esperienza insegna che tentare per principio di modificare la diagnosi prospettata dallo specialista può essere controproducente e portare a ulteriori frustrazioni. È importante invece cercare di comprendere appieno la diagnosi e le possibili soluzioni proposte, valutando attentamente i pro e i contro di ciascuna opzione. Inoltre, è fondamentale mantenere un dialogo aperto e sincero con lo specialista, esprimendo i propri dubbi e preoccupazioni in modo chiaro e assertivo. Solo così si potrà intraprendere un percorso di cura consapevole e costruttivo.
Dettagli
Publisher
A.A. 2008-2009
13 pagine
2 download
SSD Scienze storiche, filosofiche, pedagogiche e psicologiche M-PSI/08 Psicologia clinica

I contenuti di questa pagina costituiscono rielaborazioni personali del Publisher flaviael di informazioni apprese con la frequenza delle lezioni di Colloquio di psicologia clinica e studio autonomo di eventuali libri di riferimento in preparazione dell'esame finale o della tesi. Non devono intendersi come materiale ufficiale dell'università Università degli Studi di Firenze o del prof Billi Claudio.