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A questo punto, Freud pensa di utilizzare la tecnica della pressione sulla testa,
utilizzata in precedenza nel caso di Lucy. La pazienze tacque a lungo e confesso poi,
insistendo, di aver pensato a una serata in cui un giovanotto l’aveva accompagnata a
casa di ritorno da un ricevimento, ai discorsi tra lei e lui e ai sentimenti provati nel
rincasare per curare il padre. Questa prima menzione del giovanotto apriva un
nuovo pozzo da cui Freud cominciò ad estrarre del materiale.
Numerosi ricordi di letture comuni, scambi di idee, sue espressioni che le erano
state riferite, avevano progressivamente rafforzato in lei la convinzione che egli
l’amasse e la capisse e che un matrimonio con lui non l’avrebbe imposto quei
sacrifici che essa temeva dal matrimonio. Purtroppo egli era soltanto di poco pi
anziano di lei, ed era ben lontano dall’aver una situazione indipendente, tuttavia era
ben decisa ad attendere.
Con la grave malattia del padre e le sue assorbenti mansioni d’infermiera, questi
incontri si diradarono sempre di più. Quella volta, spinta dai suoi e anche dal padre,
ella si era lasciata indurre ad abbandonare il capezzale del malato per andare al
ricevimento in cui lo avrebbe potuto incontrare. Quando, dopo quello stato di
beatitudine, era tornata a casa tardi, aveva trovato le condizioni del padre
peggiorate e si era fatta i più aspri rimproveri per aver sacrificato tanto tempo al
proprio svago. Fu l’ultima volta che lasciò il padre malato per una sera intera.
Questo fallimento del primo amore la faceva soffrire ancora ogni volta che pensava
a lui.
In questa relazione e nell’ episodio narrato, suo culmine, Freud doveva dunque
cercare l’origine dei primi dolori isterici. Il contrasto tra beatitudine a cui allora si era
abbandonata e la miseria del padre costituiva un conflitto. Il risultato del conflitto
fu che la rappresentazione erotica venne rimossa dal associazione, e l’affetto ad
essa collegato venne impiegato per esaltare o ravvisare un dolore somatico che si
era prodotto contemporaneamente (o poco prima). Si trattava di un meccanismo di
conversione a scopo di difesa.
Freud però non era riuscito a dimostrare che la conversione si fosse compiuta
proprio in quel momento del ritorno a casa. Andò quindi alla ricerca di esperienze
analoghe relative all’epoca dell’assistenza, richiamando una serie di episodi tra i
quali spiccava, per il fatto di essersi ripetuto, quello di saltar giù dal letto a piedi nudi
nella stanza fredda, per una chiamata dal padre. Ero incline ad attribuire a questi
momenti un’importanza particolare dato che, oltre al dolore nelle gambe, la malata
lamentava una forte sensazione di freddo.
Con la scoperta del motivo della prima conversione (ricollega le sensazioni dolorose
al momento in cui assisteva il padre), iniziò un secondo periodo, fruttuoso nella
cura. Prima di tutto, Freud rimase sorpreso quando la paziente gli disse di sapere
ormai perché i dolori partissero da quel determinato punto della coscia destra e
fossero lì più violenti. Era questo, infatti, il punto in cui ogni mattina veniva poggiata
la gamba del padre, mentre essa rinnovava le bende che avvolgevano la gamba tutta
gonfia. A partire da questo momento le gambe dolenti cominciarono regolarmente
nelle analisi a “partecipare al discorso”.
Gradualmente Freud apprese ad utilizzare questo dolore risvegliato come una
bussola; quando essa taceva ma ammetteva di sentire ancora dolori, sapeva che non
aveva detto tutto e insisteva per la continuazione della confessione sino a che il
dolore non fosse trascinato via dalle parole.
Soltanto allora si risvegliava un nuovo ricordo.
In questo periodo dell’ “abreazione” lo stato della paziente, sia dal punto di vista
somatico, sia da quello psichico, migliorò in modo notevole; era come se ogni volta
l’analista rimuoveva una certa quantità di dolore, e una volta che avesse portato via
tutto sarebbe guarita. Giunse presto a non avere dolori per la maggior parte del
tempo, si lasciò indurre a camminare parecchio e ad abbandonare l’isolamento che
aveva fino allora osservato.
Freud riuscì inoltre a farsi un’ idea del modo in cui si viene formando un’ isteria che
poteva definirsi monosintomatica. Trovò infatti che la gamba destar diventava
dolorosa quando i ricordi riguardavano l’assistenza al padre, i rapporti con i
compagni di gioco della giovinezza e altre cose relative all’epoca patogena, mentre il
dolore compariva nella gamba sinistra appena l’analista risvegliava un ricordo
relativo alla sorella perduta,dei due cognati, in breve un impressione della seconda
metà della storia della sofferenza. Attirato da questo comportamento costante,
l’analista proseguì le indagini ed ebbe l’impressione che la specificità andasse assai
oltre e che ogni nuovo motivo psichico per sensazioni dolorose fosse collegato a un
diverso luogo dell’area dolorifica delle gambe. Non si trattava di un unico sintomo di
natura corporea collegato con pi complessi mnesici di natura psichica, ma di una
pluralità di sintomi simili, che all’osservazione superficiale apparivano come fusi in
un sintomo solo. Tuttavia, Freud non approfondisce l’indagine nel senso di una
delimitazione delle zone dolorifiche corrispondenti alle singole occasioni psichiche,
perché notò che la paziente non prestava attenzione a questi rapporti.
Si interessò invece alla maniera in cui tutto il complesso di sintomi poteva essersi
costituito su queste zone dolorifiche; e al tal fine poneva svariate domande, del tipo:
“Da dove provengono i dolori nel camminare? Dello stare in piedi?”. Risultarono così
due cose. Da un lato, essa raggruppava tutte le scene collegate con impressioni
dolorose, a seconda che in esse fosse stata seduta o in piedi, ecc. (così per esempio,
era in piedi presso una porta quando il padre venne portato a casa colpito da un
attacco di cuore). A questo primo “spavento in piedi” fecero poi seguito altri ricordi,
fino a a quella scena terribile in cui di nuovo rimase in piedi come stregata davanti al
letto della sorella morta. Tuttavia la catena di reminescenze doveva mettere in
evidenza un valido legame dei dolori con lo stare in piedi, giustificando anche
l’associazione; soltanto non si doveva trascurare l’esigenza che in tutte queste
occasioni doveva essere rintracciabile anche quell’altro momento che aveva
indirizzato l’attenzione-e in seguito la conversione-proprio sullo stare in piedi (o sul
camminare, o sullo stare seduta ecc.)
Fra le scene che avrebbero reso doloroso il camminare, se ne rimprovera una, una
passeggiata fatta in quel luogo di cura in numerosa compagnia e che
apparentemente sarebbe stata troppo lunga. I particolari del fatto furono
comunicati solo con esitazione, lasciando insoluti parecchi enigmi. Era in uno stato
d’animo particolarmente tenero, si era accompagnata volentieri a quel gruppo di
amici, la giornata era bella, la mamma era rimasta a casa, la sorella maggiore era già
partita, la minore non si sentiva bene ma non aveva voluto guastarle il divertimento,
il marito di quest’ultima per fare un piacere ad Elisabeth era andato con loro.
Questa scena pareva molto simile alla prima manifestazione dei dolori, perché essa
rammentava di essere ritornata dalla passeggiata assai stanca e con forti dolori. Alla
domanda “da che cosa potevano essere provocati i dolori durante quella
passeggiata”, Freud ricevette una risposta, non del tutto chiara, che le era stato
doloroso il contrasto fra la solitudine e la felicità coniugale della sorella malata, che
il comportamento del proprio cognato le aveva posto di continuo davanti gli occhi.
Un'altra scena, era rilevante agli effetti del legame tra dolori e lo star seduta. Fu
alcuni giorni dopo; la sorella e il cognato erano già partiti, essa era in uno stato
d’animo eccitato e nostalgico, si era alzata presto, ed era salita per una piccola
collina fino ad un punto nel quale si erano recati tante volte insieme e che offriva
una vista meravigliosa; e si era seduta là. I suoi pensieri riguardavano di nuovo il suo
isolamento, il destino della famiglia. Era ritornata da quella meditazione con forti
dolori, e la sera dello stesso giorno aveva fatto il bagno dopo il quale i dolori si erano
prodotti in modo definitivo e permanente.
I dolori nel camminare e nello stare in piedi solevano in principio calmarsi quando
essa si poneva distesa. Solo quando alla notizia della malattia della sorella era
partita da Gastein, tormentata contemporaneamente dalla preoccupazione per la
sorella e da atroci dolori, si era stabilito anche il collegamento tra lo star distesa e l
dolore.
Quando la malata concludeva la narrazione di tutta una serie di avvenimenti col
lamento di avere allora risentito con dolore il suo “star sola”e, in un’altra serie, che
riguardava i suoi falliti tentativi di creare una nuova vita familiare, non si stancava di
ripetere che in questi era doloroso il sentimento della propria impotenza e
l’impressione di “non potere essere capace di andare avanti”; Freud suppose che lei
avesse cercato un espressione simbolica per i suoi pensieri dolorosi e che l’avesse
trovata nell’intensificazione della propria sofferenza fisica. Che i sintomi somatici
dell’isteria potessero prodursi per una simbolizzazione.
Nella signorina Elisabeth il meccanismo psichico della simbolizzazione non stava in
primo piano, esso non aveva creato l’abasia; tutto stava però ad indicare che la già
esistenze abasia aveva subito per tale via un rafforzamento notevole. Quindi
quest’abasia, nello stadio dello sviluppo in cui Freud la trovò, era da equipararsi non
solo ad una paralisi funzionale di tipo psichico associativo, ma anche ad una paralisi
di tipo simbolico.
Freud passa ora alla descrizione del terzo periodo della cura. La paziente stava
meglio, ma i dolori non erano aboliti, qualche volta si ripresentavano con l’antica
violenza. All’imperfezione dell’esito terapeutico faceva riscontro l’incompletezza
dell’analisi: l’analista non sapeva ancora bene in quale momento i dolori fossero
sorti. Durante la riproduzione delle più svariate scene nel secondo periodo e
durante l’osservazione della resistenza al racconto della paziente, si era creato in
Freud un certo sospetto; ma non osava ancora fondarsi su di esso per procedere.
Un’osservazione casuale fu a tal proposito decisiva. Durante il lavoro con la paziente
udì una volta passi d’uomo nella stanza accanto, e una voce dal suono sgradevole,
che sembrava chiedere qualcosa; la paziente si era subito alzata e aveva pregato
l’analista di troncare per quel giorno; aveva udito che era suo arrivato suo cognato e
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