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Conseguentemente si provvederà anche all’assegnazione della casa coniugale e, a
stabilire l’esercizio separato della potestà, nel senso che per i settori individuati o nei
periodi di rispettiva permanenza ciascuno (disgiuntamente )senza l’accordo interno
dell’altro potrà effettuare le scelte di ordinaria amministrazione che riterrà +
opportune. Tali scelte potranno riguardare 3 diversi livelli di esercizio della potestà:
1. Atti routinari: quali il permesso al figlio di uscire la sera, autorizzarlo
all’acquisto di merce di modico valore, ecc…. ciascun genitore potrà prendere
la decisione senza comunicare nulla all’altro;
quali la partecipazione ad un’attività sportiva, la frequenza
2. Atti di vita normale:
scolastica, ecc… tali scelte vanno prese di comune accordo a meno che non sia
diversa prevista la separazione dell’esercizio della potestà. In presenza di
contrasti tra i genitori si delinea un intervento del giudice solo in via indiretta e
non per la decisione del caso concreto. Infatti solo per le questioni di maggiore
importanza la disciplina ammette l’intervento del giudice sul caso concreto.
Occorre precisare che il comune accordo per gli atti di vita normale o di
ordinaria amministrazione, riguarda la fase decisionale interna e sussiste se la
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decisione assunta da uno, sia conforme ai parametri generali concordati
preventivamente insieme; discorso diverso va fatto con riferimento
all’attuazione verso l’esterno di quella decisione, nel senso che ciascuno dei
genitori può sempre compiere disgiuntamente gli atti di ordinaria
amministrazione agendo in nome e per conto del minore. Se poi tale negozio è
dell’accordo interno non sarà comunque soggetto
stato compiuto in violazione
ad annullamento.
3. Questioni di maggior interesse: in caso di disaccordo (es: iscrizione del figlio
ad una scuola cattolica o laica, intervento chirurgico o terapeutico,ecc…) la
decisione è rimessa al giudice. Egli dovrà scegliere tra le 2 diverse opzioni
quella ritenuta più adeguata agli interessi del minore. Il comune accordo
imposto dalla norma riguarda solo il profilo decisionale interno come per gli
atti di vita ordinaria o negoziali di ordinaria amministrazione, mentre il potere
rappresentativo esterno resta separato.
Per quanto riguarda i rapporti esterni a valenza patrimoniale: dovrebbe rimanere il
criterio distintivo fondato sulla differenziazione tra atti di ordinaria straordinaria
amministrazione. Si dovrebbe ritenere che la regola è che: nei rapporti patrimoniali
con terzi, se l’atto è di ordinaria amministrazione è validamente compiuto anche se
disgiuntamente; se l’atto è di straordinaria amministrazione occorrerà invece, la
rappresentanza congiunta.
Nell’ipotesi di affidamento esclusivo: vi è una scissione tra potere interno decisionale
(sempre congiunto x le questioni di particolare importanza) ed esterno attuativo, che
l’esclusiva
compete solo al genitore cui quei poteri sono stati attribuiti (avendo questi
rappresentanza del minore) e, ove compia l’atto in contrasto senza aver ricercato
l’accordo con l’altro genitore, l’atto resta in caso valido.
nel rapporto con i figli nulla dovrebbe mutare con l’affidamento
Profili patrimoniali:
se non nei limiti in cui la non più costante presenza giornaliera dell’uno
condiviso,
incide nel far fronte alle quotidiane necessità economiche della prole. Così se per
effetto dell’affidamento condiviso entrambi continuano ad esercitare la potestà e
devono prendersi cura dei figli, tanto si riflette sotto il profilo economico. Fissata una
quota ideale mensile per il mantenimento dei figli e adeguata alle loro esigenze, alle
capacità economiche dei genitori ed al tenore di vita goduto dal figlio in costanza di
matrimonio, il padre deve farsene carico in misura proporzionale al suo reddito.
Fissata la misura va stabilito il modo in cui ciascuno deve farvi fronte. Esso può
essere: 7
Diretto: (ciascuno dei genitori provvede al mantenimento) cioè provvedendo in
all’acquisto dei beni e del pagamento delle spese necessarie.
proprio
cioè tramite il versamento all’altro coniuge della somma in denaro.
Indiretto:
Tuttavia, la modalità diretta di contribuzione da parte del padre si contrae
necessariamente, per espandere quella indiretta, in presenza di figli in tenera età o
affetti da patologie fisiche o psichiche.
L’assegno qui assume un aspetto compensativo del lavoro domestico e di cura svolto
dalla madre quando ella si dedica interamente o prevalentemente ai compiti di cura e
assistenza giornaliera del figlio, dei quali invece, l’altro risulta sgravato.
A prescindere dall’età del minore, in presenza di madre casalinga e priva di redditi, si
corre tuttavia il rischio che questa, limitandosi a dover gestire per il figlio solo la
somma restante che a fini strettamente alimentari le verserà il coniuge, non abbia la
possibilità di provvedere alle spese non di prima necessità, con il risultato che la
figura materna agli occhi del minore possa risultare sminuita: in tale ipotesi una
maggiore entità dell’assegno mensile potrebbe rimediare a mantenere intatti i
rapporti.
Accordi: in presenza di un accordo tra le parti nel senso che il minore vada affidato
solo ad un genitore, il giudice deve solo valutare se in relazione alla situazione
concreta ciò sia contrario all’interesse del minore.
i rimedi contrastanti l’inadempimento della contribuzione
Inadempimento e rimedi:
diretta risultano + difficoltosi rispetto a quelli della contribuzione indiretta. Qualora
l’uno non si faccia carico dei propri obblighi, l’altro dovrà anticipare le relative spese,
agendo poi in giudizio per via straordinaria ai fini dell’eventuale recupero. Il ricorso
alla modifica delle condizioni può servire a non aggravare la posizione del minore.
verrà assegnata tenuto conto dell’interesse dei figli e, quindi al
Casa coniugale:
genitore col quale è stato disposto che essi convivano; se l’immobile è in
dovrà tenersi conto, ai fini dell’assegno, del risparmio di spesa per
comproprietà:
l’uno e l’eventuale aggravamento dell’altro per la necessità di locare altro alloggio; se
in locazione: dovrà tenersi conto allo stesso modo dei relativi costi.
Costituisce ragione giustificatrice della revoca dell’assegnazione: la convivenza more
uxorio del coniuge assegnatario. Tuttavia tale disposizione comporterebbe un
pregiudizio in danno del minore (privato del suo habitat) per conseguire finalità
punitive di una condotta dell’altro coniuge di per se lecita.
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Il provvedimento di assegnazione della casa coniugale è adottato solo su domanda del
genitore collocatario, cui è rimessa la scelta in quanto diritto disponibile.
Residenza del minore: la residenza del minore (o domicilio) in presenza di un
affidamento condiviso, va identificata con quella del genitore collocatario. Per quanto
riguarda la scelta di uno o entrambi i genitori di trasferirsi in un’altra città o Stato: il
cambiamento di residenza se interferisce con le modalità di affidamento permette
all’altro genitore di chiedere la “ridefinizione degli accordi o dei provvedimenti
adottati, compresi quelli economici”.
In caso di affidamento ad entrambi i genitori, ciascuno di essi ha diritto di intervenire
nella decisione riguardante il luogo di residenza dei figli. Fermo restando il diritto
garantito a ciascuno di mutare la propria residenza, quando questa scelta venga
compiuta unilateralmente (in un affidamento condiviso) da genitore presso cui è
collocato il minore, l’altro potrà ricorrere al giudice (vertendosi su una delle questioni
di “maggiore interesse” richiamate dalla norma): ciò per valutare se tale scelta si
ripercuota negativamente sul minore in termini di sradicamento dall’ambiente in cui
ha sempre vissuto e quant’altro. In caso di ritenuto pregiudizio potrà esser rimesso in
discussione l’assetto della disciplina adottando un provvedimento di modifica della
collocazione del minore o anche del regime di affidamento, soprattutto se la
lontananza è ritenuta incompatibile con l’affidamento condiviso. In ogni caso la
lontananza dei genitori imporrà un riassetto sia delle modalità di permanenza presso
il genitore non collocatario, sia degli aspetti economici per i maggiori costi da
sostenere per gli spostamenti.
Figli maggiorenni: il giudice può disporre in favore dei figli maggiorenni non
indipendenti economicamente, il pagamento di un assegno periodico. Esso, salva
diversa determinazione del giudice, è versato direttamente all’avente diritto.
Regime ante riforma: legittimato a pretendere il contributo per il mantenimento dei
figli maggiorenni conviventi non autosufficienti è anche il genitore; la sua
legittimazione concorre in astratto con quella del figlio maggiorenne, che può farla
valere autonomamente. Il genitore affidatario, che continua a provvedere al
mantenimento dei figli conviventi divenuti maggiorenni e non ancora autosufficienti
economicamente, resta legittimato a pretendere il contributo per il mantenimento
futuro dei figli stessi e, il rimborso di quanto da lui anticipato a titolo di contributo
dovuto dall’altro genitore.
Secondo primi commentatori della riforma questa norma, presupponendo che unico
creditore, in quanto avente diritto, è solo il maggiorenne, impone per essere accordato
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l’assegno, una domanda da parte sua quale soggetto legittimato. Il genitore
e, se l’assegno era stato
convivente non avrebbe alcuna legittimazione ad agire
previsto quando il figlio era ancora minorenne, allo scadere del 18° anno cessa detto
obbligo contributivo. Tale tesi, tuttavia non può essere accolta.
Inoltre si equiparata espressamente ai figli minori i figli maggiorenni portatori di
grave handicap in favore dei quali può agire il genitore con essi convivente pur nel
caso di handicap solo fisico in presenza del quale essi conservano intatta la loro
autonoma capacità di agire in giudizio. 10
PARTE II: LE POSSIBILI FORME DI AFFIDAMENTO NEL REGIME ATTUALE
L’affidamento esclusivo nell’ambito della novella ed i suoi confini rispetto al
regime dell’affidamento condiviso
L’affidamento esclusivo (o monogenitoriale) è oggi relegato ad ipotesi residuale,
via d’eccezione solo in presenza di specifiche circostanze che rendano
applicabile in
pregiudizievole per il minore l’affidamento condiviso.
Abbiamo detto inoltre che