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Condizione di dipendenza del mondo bizantino degli affari (XIII-XV secolo)
La Quarta Crociata aprì le porte alla creazione di due grandi impero coloniali: l’impero veneziano e
l’impero genovese, oltre agli Stati latini in Grecia [Impero Latino di Costantinopoli; Principato
d’Acacia nel Peloponneso sotto i Villehardouin; Ducato d’Atene sotto i De la Roche; il doge Enrico
Dandolo divenne signore di quasi metà dell’Impero, tra cui molte isole nell’Egeo, Creta, Rodi, due
porti nel Peloponneso e un veneziano divenne il nuovo Patriarca di Costantinopoli].
Costantinopoli continuava ad essere un importante mercato ma altre città di superiore potenza
economica si erano affermate in Occidente (Firenze, Venezia, Genova). Già sotto la dominazione
latina, ma anche dopo la riconquista da parte dei Bizantini (1261, Michele VIII Paleologo)
Costantinopoli non riusciva a tenere il passo.
Già all’indomani del 1261 (sempre sotto Michele VIII) Bisanzio dovette nuovamente riconoscere i
privilegi commerciali ( e le esenzioni) ai mercanti occidentali (quindi: libertà di commercio) e a
permetterne l’insediamento nell’Impero: i Genovesi ottennero una base commerciale a Galata sul
Corno d’Oro e i Veneziani tornarono a stabilirsi nella capitale bizantina. [Il contemporaneo legame
con Genova e Venezia rappresentò un vantaggio per l’impero perché diminuiva il pericolo di
un’alleanza della flotta veneziana o di quella genovese con le potenze antibizantine
dell’Occidente]. A questa concorrenza i mercanti greci avevano difficoltà a farvi fronte.
Da molto tempo (soprattutto dal 1204) i Greci nutrivano una certa ostilità nei confronti dei Latini,
che si imponevano economicamente e che volevano imporsi anche spiritualmente
sottomettendoli alla Chiesa di Roma (la Chiesa d’Oriente e d’Occidente erano divise da lungo
tempo). Lo spirito antilatino dei bizantini erano anche motivano dal risentimento che ispirava
l’imperialismo economico dei mercanti occidentali che si insediavano in Oriente e si arricchivano a
spese dei bizantini. Contro quell’imperialismo i bizantini non avevano modo di reagire. Ci fu solo
un tentativo in tal senso: nel 1348 l’imperatore Giovanni VI Cantacuzeno abbassò la tassa che i
mercanti bizantini dovevano pagare e cercò di imporre tariffe sul commercio degli Occidentali, i
quali reagirono con la forza e l’obbligarono a revocare quest’ultima misura. Giovanni fu anche
costretto a rinunciare al suo progetto di ricostruire una potente flotte militare e dovette
riconoscere che i mercanti greci non potevano fare concorrenza ai Genovesi nel commercio dei
prodotti provenienti dall’Asia Centrale.
Gli uomini d’affari greci dovettero adottare i nuovi metodi e le nuove tecniche utilizzate nei
mercati internazioni: largo uso del prestito ad interesse, uso di assegni o polizze di debito.
[Nell’Impero e a Costantinopoli erano presenti numerosi banchieri greci. Erano in strettissimo
contatto con i loro colleghi italiani, insieme ai quali sovente costituivano delle associazioni,
nonostante i rari divieti degli imperatori. I Greci nutrivano ancora un certo risentimento verso gli
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Italiani, ma quando si presentavano possibilità per aumentare gli utili, ogni ostilità veniva meno
(prima di dichiarare guerra ai Genovesi di Galata, l’imperatore bizantino accordò ai suoi sudditi
qualche giorno di proroga per sistemare i conti con quei loro associati che di lì a poco sarebbero
diventati nemici sul campo di battaglia)].
I mercanti bizantini nell’ultimo periodo commerciavano solo nel bacino orientale del Mediterraneo
e in tutto il Mar Nero; i mercati dell’Europa Occidentale invece erano riservati agli Italiani. Il
commercio bizantino a distanza era limitato e subordinato a quello degli Italiani: i bizantini
trasportavano materie prime di modesto valore che servivano all’approvvigionamento di
Costantinopoli e delle flotte italiane, le quali invece commerciavano prodotti di lusso.
Invece il commercio al dettaglio e l’artigianato di Costantinopoli erano dominati dai Greci. In
questo periodo la maggior parte dei trasporti avveniva via mare, dato che le campagne erano state
occupate gradualmente dai Turchi. A Costantinopoli venivano esercitati tutti i mestieri, ma la
produzione dei tessuti e del vetro era scomparsa (a causa della concorrenza delle ben più
sviluppate industrie dell’Europa occidentale). Inoltre ogni professione era organizzata in
corporazioni del modello occidentale.
A partire dall’XI secolo gli uomini d’affari si trovavano di nuovo esclusi dal Senato e dalle dignità
imperiali, dal punto di vista sociale erano annoverati tra la “plebe”. Nonostante questo nel XII e
nella prima metà del XIV secolo gli uomini d’affari – divenuti un gruppo consistente – si
riaffermarono all’interno della vita politica e sociale dell’Impero; vennero così ad assumere la
qualifica di “medi”, distinti dall’aristocrazia e dal popolo. Durante le guerre civili e i conflitti sociali
de XIV secolo questi “uomini medi” si schierarono contro gli aristocratici (grandi proprietari
terrieri) che – dal canto loro – disprezzavano quella classe.
Con i rovesci politici subiti da Bisanzio verso la metà del XIV secolo – che portarono alla perdita di
molte terre coltivabili – gli aristocratici dimenticarono le antiche restrizioni e destinarono i loro
capitali agli affari commerciali (l’unico settore che poteva garantire benefici rilevanti). Così gli
aristocratici fecero sparire la caratteristica fondamentale che distingueva gli “uomini medi” da
loro. [I grandi aristocratici di questo periodo – compresa la dinastia regnante, i Paleologi –
risultano sempre più frequentemente legati ad attività d’affari]. 39
CAPITOLO 7 - Il vescovo
Il magistero vescovile e la cultura profana
Il compito principale del vescovo bizantino era la diffusione e la conservazione della dottrina
cristiana ortodossa all’interno e all’esterno dell’Impero, questo sia per evitare spaccature politiche
sia per civilizzare i barbari. [Con la diffusione del cristianesimo nell’area del Mediterraneo
orientale i giovani più attivi sul piano intellettuale e letterario entrarono al servizio della Chiesa.
Molto importante per la letteratura greca tardo antica fu il contributo di vescovi come Basilio di
Cesarea in Cappadocia, Giovanni Crisostomo, Eusebio di Cesarea in Palestina, Atanasio di
Alessandria]. Per ricoprire la carica vescovile bisognava a vere una buona cultura sia per vigilare
sulla purezza dell’ortodossia sia per poterla difendere dai pagani e dagli eretici. Proprio questo
portò il clero bizantino – e soprattutto i vescovi – ad elaborare definizioni sempre più sottili in
materia teologica e cristologica. Queste definizioni venivano poi discusse nei sinodi e nei concili
che le accettavano come vere o le condannavano come eretiche. [Anche gli imperatori si
occuparono di speculazioni religiose, ad esempio Giustiniano I e Manuele II Paleologo (1391-
1425)].
I Padri della Chiesa e i vescovi del IV-V secolo (che provenivano dalla classe medio-alta) avevano
fruito di un’istruzione classica-pagana, così come coloro che militavano nell’amministrazione civile.
Il pari grado culturale dell’elite ecclesiastica e secolare permetteva ai laici il passaggio dal servizio
civile ad una sede vescovile o metropolitana, oppure al trono patriarcale. [Ad esempio
l’imperatore Teofilo (ultimo imperatore del secondo iconoclasmo)nominò metropolita di
Tessalonica un celebre matematico, Leone il Filosofo, che per le sue ampie conoscenze fu
chiamato anche alla corte del califfo di Bagdad. Altri esempi sono i patriarchi Niceforo I (806-815)
e Nicola I Mistico (901-907) che interruppero la carriera secolare per sedere sul trono patriarcale].
Tanto più colti erano i metropoliti di fresca ordinazione, tanto meno volentieri accettavano di
dover risiedere in provincia (in una nuova diocesi), perché dopo gli splendori e gli stimoli
intellettuali della capitale, la vita in provincia appariva barbara. [Michele Coniata, metropolita di
Atene tra il 1184 e il 1204, disprezzava profondamente la sua città: estremamente povera e
povera di libri e di uomini colti]. Tuttavia i vescovi non si preoccuparono di levare culturalmente le
loro città, ad esempio nel settore scolastico; tra le loro competenze infatti non era compresa
l’istruzione.
Inoltre per la maggior parte dei vescovi e dei metropoliti ogni pretesto era buono per recarsi a
Costantinopoli, ad esempio: partecipare a sinodi, sistemare gli affari della diocesi presso gli uffici
statali o patriarcali, intervenire a favore dei diocesani presso l’imperatore. Una volta giunti nella
capitale cercavano di posticipare la partenza il più possibile, tant’è che venne promulgato un
decreto che stabiliva che i vescovi non potevano assentarsi dalla diocesi per più di sei mesi.
Tuttavia tutte le disposizioni in merito si rivelarono inutile. Inoltre con la progressiva conquista
delle province dell’Asia Minore da parte dei Turchi (a partire dal XII secolo), sempre più vescovi si
stabilirono a Costantinopoli con il pretesto di non poter raggiungere la loro diocesi a causa della
situazione bellica (oppure perché già conquistata dal nemico). 40
Opere di carità ed impegni pastorali
Già in età tardo antica (con il venir meno dell’amministrazione statale) l’assistenza ai poveri
rientrò sempre più nelle competenze della Chiesa [ad esempio: Giovanni Crisostomo (397-404)
costruì una serie di ospedali nella capitale, tra cui un lebbrosario; Atanasio (patriarca di
Costantinopoli, 1289-1293 e 1303-1309) creò mense per i poveri e i fuggiaschi che affluivano nella
capitale dopo la conquista Turca delle province dell’Impero].
Un altro compito del vescovo era che tutelasse i deboli dai potenti e che, in caso di guerra,
difendesse il suo gregge dai nemici. Dato che il vescovo non poteva combattere né uccidere, la sua
arma principale era la parola dinanzi ai potenti (i potenti potevano essere imperatori, capi degli
eserciti nemici, esattori delle tasse, giudici locali, militari, aristocratici locali).
Nel rapporto con le autorità statali si dimostrò sempre vantaggioso che il vescovo provenisse
dall’elite sociale, perché poteva così contare su legami influenti a Costantinopoli. In questo modo
poteva presentare le sue lamentele direttamente all’imperatore e poteva disporre di un’efficace
copertura nei confronti di eventuali minacce da parte dei potenti locali.
La libertà di parola era però rischiosa, soprattutto quando era diretta contro l’imperatore. Ad
esempio il patriarca Arsenio venne rimosso dal s