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INEMA E TATO ERMANIA E TALIA
L’Unione Sovietica: realismo socialista e seconda guerra mondiale
Nel 1930, il primo piano quinquennale centralizzò il cinema sovietico in una società unica, la
Sojuzkino allo scopo di rendere l’industria più efficiente e liberare l’URSS dall’obbligo di
importare tecnologia e film.
Il periodo 1930-1945 vide anche irrigidirsi il controllo sui film. Sumjatskij, capo della Sojuzkino,
prediligeva film divertenti e di facile comprensione. Nel 1935 fu proprio lui a supervisionare
l’introduzione nel cinema della dottrina del realismo socialista.
I film dei primi anni Trenta
Molti film significativi apparvero prima dell’introduzione del realismo socialista. Le opere e gli
uomini (1932) di Aleksandr Macheret combinava lo stile della scuola del montaggio con un’enfasi
sul concetto di produzione che rifletteva i precetti del primo piano quinquennale. Più insolito fu un
film di Aleksandr Medvedkin, La felicità, del 1934, largamente ignorato e riscoperto solo negli anni
Sessanta dalla critica.
La dottrina del realismo socialista
Il realismo socialista era un principio estetico introdotto dal Congresso degli scrittori sovietici del
1934.
Agli scrittori e agli artisti di ogni genere si chiedeva di servire nelle loro opere gli obiettivi del
Partito Comunista. Questa politica sarebbe rimasta in vigore, più o meno rigidamente, fin verso la
metà degli anni Cinquanta, e il cinema vi si conformò rapidamente.
Ogni artista era obbligato ad aderire al realismo socialista. Dagli anni Venti in poi furono avviate le
cosiddette “purghe”.
Gli artisti non erano immuni da simili persecuzioni: Mejerchol’d scomparve durante le purghe del
1936-1938.
Il realismo socialista divenne la linea ufficiale del cinema nel gennaio 1935, alla Conferenza
creativa pan sindacale dei lavoratori del cinema sovietico. Ciapaiev, usicto appena due mesi prima,
fu citato per tutta la conferenza, mentre Ejzenstejn e altri registi “formalisti” furono presi di mira
duramente e costretti ad ammettere passati “errori”.
I cineasti non potevano sperare di passare inosservati: Stalin era un appassionato di cinema e
vedeva molti film nei suoi appartamenti privati. Prima di essere approvate, le sceneggiature
dovevano passare ripetutamente attraverso un complesso apparato di censura, ma anche a riprese
iniziata un film poteva essere sottoposto a revisione o interrotto in qualsiasi momento: un sistema
burocratico ingombrante che di certo rallentava la produzione. Per fare un film ci si doveva
sottoporre a minuziosi controlli ideologici perdendo anni interi: il caso più spettacolare di questo
tipo di ingerenza fu Il prato di Bezhin, il primo progetto sonoro di Ejzenstejn, la cui lavorazione fu
interrotta da Sumjatskij nel 1937.
Nella speranza di incrementare la produzione e di dar vita a un cinema popolare, Sumjatskij decise
di costruire una “Hollywood sovietica”, tentando di replicarne la sofisticata tecnica ed efficienza. Il
grandioso progetto prese vita nel 1937, ma non fu mai completato, ne Sumjatskij riuscì mai a
portare la produzione ai livelli previsti dal piano quinquennale.
Per ironia della sorte, il risultato finale della politica di Sumjatskij fu il suo arresto nel gennaio
1938. Qualche mese più tardi fu giustiziato e da quel momento il ruolo di Stalin nel decidere
l’accettabilità ideologica di un film divenne ancora più diretto.
B – Realismo socialista e Ciapaiev
OX
Il dogma centrale del realismo socialista era la partiinost, la “disposizione per il partito”: gli artisti
erano tenuti a propagandare le politiche e l’ideologia del Partito Comunista. A differenza del
realismo critico, quello sovietico si basava su un secondo dogma: narodnost, “centralità del
popolo”.
Le opere del realismo socialista dovevano astenersi dal “formalismo”, e cioè da sperimentazioni
stilistiche o complessità che le rendessero di difficile comprensione, escludendo pertanto a priori lo
stile della scuola del montaggio. Per servire il partito e il popolo, l’arte doveva educare e offrire un
modello da seguire: in due parole, un “eroe positivo”. Molte opere del realismo socialista danno
quindi della società sovietica un’immagine ottimistica e idealizzata, ben lontana dalla realtà.
Anche se alcuni tratti enunciati dalla nuova dottrina erano già apparsi al cinema, il primo film a
incarnare un modello fu Ciapaiev, di Sergej e Georgij Vasil’ev, nel 1934: resoconto romanzato della
vita di un ufficiale realmente esistito durante la guerra civile, il film proponeva un eroe che le platee
potevano ammirare e gli affiancava un assistente allegro e di bell’aspetto, Petya, che rappresentava
in modo idealizzato la classe operaia con cui il popolo poteva identificarsi. Il linguaggio di
Ciapaiev inoltre era accessibile a tutti.
Il film ebbe un enorme successo, sia tra il pubblico che tra i burocrati; Sumjatskij ne elogiò
l’attenzione all’individuo, una novità rispetto agli eroismi di massa dei film della scuola del
montaggio degli anni Venti, facendo anche notare che il film non cerca di nascondere i difetti del
protagonista. Il film segue uno degli schemi più comuni della narrativa del realismo socialista,
quello del protagonista che impara a subordinare i suoi desideri al bene del popolo. Ciapaiev
divenne uno dei film di maggior influenza nella storia del cinema sovietico.
I generi principali del realismo socialista
Maksim Gor’kij fu considerato il massimo esponente letterario del realismo socialista col romanzo
La madre (ispiratore del film di Pudovkin), eletto a modello della dottrina. Dopo la sua morte, Mark
Donskoij realizzò tre film basati sulle sue memorie giovanili: L’infanzia di Gor’kij (1938), Tra la
gente (1939), Le mie università (1940). La trilogia di Gor’kij sottolinea la mancanza di educazione
scolastica del protagonista, facendo risalire la sua grandezza agli stretti legami con il popolo, come
si evidenzia particolarmente in una scena finale della trilogia in cui Gor’kij aiuta una contadina al
lavoro in un campo.
Gli storici stalinisti scelsero due zar, Ivan il Terribile e Pietro il Grande, da dipingere come sovrani
progressisti autori di riforme importanti per il superamento della società feudale e il sorgere del
capitalismo, preparando così la strada al comunismo.
Il film epico in due parti di Vladimir Petrov, Pietro il Grande: orizzonti di gloria (1937-1938) fu il
primo film dedicato agli zar e stabilì alcune importanti convenzioni: benché monarca, Pietro è
anche uomo del popolo.
Queste convenzioni ritornano nel film che riportò Ejzenstejn in una posizione di prestigio nel
cinema sovietico, Aleksandr Nevskij (1938), un importante progetto patriottico, dal dichiarato senso
antitedesco. Questo film fu per Ejzenstejn il primo sonoro portato a termine, e si inseriva
perfettamente nella dottrina del realismo socialista, narrando la storia in modo semplice e
glorificando le doti del popolo russo. Ejzenstejn, comunque, riuscì a conservare qualcosa delle
sperimentazioni introdotte negli anni Venti: la celebre sequenza della battaglia sul lago ghiacciato è
un prolungato virtuosismo di montaggio ritmico.
All’inizio del 1935, Stalin suggerì a Dovzenko di realizzare un “Ciapaiev ucraino”: Scors (1939)
sfoggia il lirismo tipico di Dovzenko, in particolare nella sorprendente scena iniziale di una
battaglia che si scatena in un grande campo di girasole, ma non manca di umorismo, come si vede
nell’episodio in cui uno degli ufficiali di Scors sollecita donazioni in un teatro.
Il cinema sovietico in tempo di guerra
Poiché Stalin era il supremo capo militare dell’URSS durante la seconda guerra mondiale, ciò
permetteva di accostarlo sia agli zar progressisti che ai generali trionfatori. Stalin, comunque,
amava identificarsi con Ivan il Terribile e durante la guerra Ejzenstejn dedicò al soggetto un film in
tre parti, due sole delle quali furono portate a termine. Ne uscirono comunque opere assai elaborate.
Il primo film Ivan il Terribile (1944) vinse il premio Stalin all’inizio del 1946; la seconda parte, La
congiura dei Boiardi (1946) non ebbe altrettanto successo: Ejzenstejn aveva posto l’accento sui
dubbi che assalgono Ivan dopo aver sradicato senza scrupoli la classe nobiliare russa. Stalin e i suoi
ufficiali deplorarono che Ivan apparisse incerto nelle sue scelte “progressiste”, e nel 1946 il film
venne condannato.
La guerra aveva portato all’URSS enormi perdite, e l’industria del cinema si trovò a dover riavviare
la produzione negli studi regolari ricostruendo le strutture della Lenfilm ridotte a rovine nell’assedio
di Leningrado. Nondimeno, la vittoria consentì all’Unione Sovietica di mantenere la
nazionalizzazione del cinema.
Il cinema tedesco sotto il nazismo
Nonostante molti cineasti tedeschi fossero partiti per Hollywood negli anni Venti, diversi film di
spicco vennero realizzati tra il 1930 e la presa nazista del potere nel 1933.
Il primo film sonoro di Fritz Lang, già tra le figure centrali dell’espressionismo tedesco negli anni
Venti, fu uno dei suoi capolavori: M, il mostro di Dusseldorf (1931). Nel descrivere la doppia caccia
all’uomo, Lang usa suono e immagini per creare paralleli fra la polizia e un mondo criminale
altamente organizzato e sa approfittare dello spazio fuori campo per raccontare le scene più
scioccanti. Lang diede un seguito al suo Il dottor Mabuse del 1922, con Il testamento del dottor
Mabuse (1933).
Anch’egli già celebre ai tempi del muto, G. W. Pabst firmò agli albori del sonoro tre film notevoli:
Westfront 1918 (1930), L’opera da tre soldi (1931) e La tragedia della miniera (1931). La prima e
l’ultima di queste erano opere pacifiste che invocavano la comprensione internazionale proprio
mentre in Germania prendevano forza nazionalismo e militarismo.
Il messaggio antibellico di Westfront 1918 è affidato a un amaro simbolismo e alla descrizione
realistica delle condizioni al fronte.
Max Ophuls, regista teatrale, esordì nel cinema all’inizio dell’epoca del sonoro. Il suo primo lavoro
importante fu La sposa venduta (1932), in cui si introducono molte delle soluzioni stilistiche che
avrebbero caratterizzato lo stile di Ophuls: tra queste la composizione in profondità, gli articolati
movimenti di macchina e i personaggi che si rivolgono direttamente al pubblico. Lo stesso stile
caratteristico distingue Amanti folli (1933).
Uno dei debutti registici più acclamati del periodo fu Ragazze in uniforme (1931) di Leontine
Sagan, un raro tentativo di affrontare senza pregiudizi il tema del lesbismo.
Nel 1933 tutti questi registi, Lang, Pabst, Ophuls e Sagan, lavoravano ormai fuori dalla Germania,
anche