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L’IMPORTANZA SOCIALE DEL GRIOT E DEL CINEASTA
La figura del Griot in passato, era legata ad una corte e generalmente era al servizio di un re o di un
principe, delle cui stirpe venivano narrate le gesta eroiche.
Un altro ruolo importante che esso svolgeva, era quello di mediatore dei conflitti interni ai gruppi a
cui apparteneva, oppure di consigliere reggente nel caso di scontri con altri gruppi.
Attualmente, questa funzione di segretario e confidente privilegiato ha perso molto valore,
probabilmente perché il loro ruolo si è adattato alle esigenze della contemporaneità.
Pertanto, sempre più spesso accade che nei contesti più urbanizzati venga maggiormente valorizzato
l’aspetto artistico di queste figure, che spesso vengono invitate ai Festival Cinematografici, ma
anche Teatrali e Musicali.
Dal confronto tra regista e Griot emerge che: il regista a differenza del Griot per comunicare si
serve degli altri, gli attori, inoltre non è limitato dalle sue caratteristiche fisiche (timbro della voce,
dizione ecc), possiede il grande vantaggio di poter riprodurre il suo lavoro in modo da raggiungere
un pubblico più vasto.
Per quel che concerne il contenuto della storia, la scelta del soggetto dipende dagli intenti, dalle
ideologie politiche e sociali dell’autore, che spesso può fare ricorso alla costruzione simbolica per
narrarli,(è l’esempio di Ousmane Sembéne) .
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Ma per approfondire meglio il confronto tra queste due figure certamente differenti, è necessario
porre in relazione le caratteristiche del mezzo cinematografico con le caratteristiche principali della
cultura orale, ed i rapporti che tra essi intercorrono, in tempi moderni.
, ,
F.Colais Il Cinema Africano dalla parola all’immagine Bulzoni Editore, P 150
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Nella tradizione orale l’individuo prende conoscenza dell’universo circostante attraverso il Griot,
mentre al cinema è la macchina da presa ne occupa il posto e garantisce al regista quel ruolo
onnisciente che gli consente di descrivere e rappresentare l’Africa.
Il regista africano, in questo senso, sembra potersi trasformare nel nuovo Griot, ma come un nuovo
narratore, che narra le sue storie attraverso le immagini.
Questo presuppone un adattamento del linguaggio cinematografico a quelle che sono le forme
narrative del linguaggio orale.
La tradizione orale può essere definita, l’insieme dei valori di una società che si esprime attraverso
le parole e le manifestazioni non scritte.
Questa tradizione presente nel bagaglio culturale di tutte le civiltà, è tuttora specifica dell’Africa,
dove risiede il dominio dell’ oralità, dall’epoca pre-coloniale fino ad oggi, quando si pone alla base
dei nuovi mezzi di comunicazione.
Il primo mezzo di espressione della cultura orale è la parola.
Come l’Occidente, ha una cultura basata sul dominio indiscusso della scrittura, in Africa, si assiste
alla sacralizzazione della parola, tanto che la comunicazione è ricca di racconti e proverbi, è sulla
parola si basano tutte le relazioni sociali.
Cominciando dal racconto, bisogna distinguere tre grandi modi di raccontare, da cui scaturiscono
tre differenti tipi di sedute: la seduta seria; la seduta teatro; la seduta popolare .
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Nella prima, il narratore non vuole dare spettacolo ma, poiché deve annunciare un contenuto
profondo che pone dei problemi alla comunità, si concentra sulla parola, inoltre non dispone né di
cori, né di strumenti musicali.
Instaura un dialogo con il pubblico che lo circonda avvalendosi soltanto della mediazione di una
particolare figura denominata: “Epicentro del Circuito Narrativo”, la sua funzione è quella di
ritmare la parola del narratore.
La seduta teatro è più popolare e diffusa, il narratore è più attento all’ aspetto spettacolare, che alla
parola.
In questo tipo di seduta partecipano anche i bambini è il racconto diventa gioco, spettacolo,
divertimento, prima ancora che momento istruttivo.
Il narratore mima, canta, danza, di fronte alla folla che continuamente dialoga con lui,
accompagnato da uno strumento musicale.
Infine, la seduta popolare è l’insieme delle precedenti, pur accostandosi maggiormente alla seduta
seria.
S.Toffetti, Il Cinema dell’ Africa Nera. 1937-1987, Fabbri Editore, P 90
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Il narratore che può essere uomo o donna, è scelto in base alla sua capacità di raccontare, può avere
il compito di annunciare l riunioni indette dalle autorità amministrative o dei capi del villaggio,
bandendo gli annunci per le strade con l’aiuto di un tamburo.
Nello specifico, nell’ Africa Nera, la concezione dell’ arte intesa nel rapporto “Uomo-Cosmo”, ha
spesso indotto alcuni registi a scelte stilistiche diverse da quelle generalmente usate in altre
cinematografie, come il ricorso ai campi medi fino al campo lungo o lunghissimo, poi ad un
montaggio generalmente non serrato, e a poche azioni veloci per privilegiare il tempo del dialogo.
Da tutto ciò, scaturisce un tempo lento simile a quello del racconto orale che fa continuo ricorso alla
metafora, e al gesto quotidiano.
Un importante fonte d’ispirazione per i gesti africani risiede senz’altro nel ricco e magico mondo
delle fiabe tradizionali.Questo avviene anche perché la fiaba ha un importante ruolo ludico,
quindi per questa funzione si presta a soddisfare l’intento di molti registi di istruire divertendo.Ma
anche questoesempio, serve a dimostrare, come in generale i registi africani hanno mutato il
linguaggio cinematografico occidentale, pur di inserirvi le tradizioni africane.
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1.2
LA FIGURA DEL GRIOT RACCONTATA ATTRAVERSO LE
IMMAGINI
Molti sono i film africani dove compare la figura del Griot, colto nei suoi molteplici aspetti, come
viene testimoniato da molti esempi come: nel film Guimba The Tyrant, Une époque (1995), diretto
da Cheick Oumar Sissoko, dove la voce narrante è quella del Griot del villaggio; mentre L’eredità
del Griot (1995), diretto da Dani Kouyaté, in questo film il regista si ricollega alla storia mitica di
“Sundiata Keita” ,e riflette sulle funzioni del Griot tra passato e presente.
Il Griot è una figura costante anche nei film di Sembéne Ousmane, dove assume quasi sempre un
immagine negativa.
Già in Borom Sarret (Il Carettiere,1963), il regista dipinge il Griot con accezioni negative: è grasso,
ben vestito, sfoggia un dente d’oro, in contrasto con il povero carrettiere affaticato.
Per mettere maggiormente in risalto l’opposizione tra i due personaggi, il regista utilizza delle
variazioni dell’angolo di ripresa,dall’alto in basso e viceversa, per sottolineare la gerarchia del
potere, sottolineando l’intervento soggettivo dell’ autore che fornisce allo spettatore possibili chiavi
di lettura.
In Djeli (Costa D’Avorio, 1980) di Fadika Kramo Lanciné, il Griot è il centro ideologico della
narrazione, colto nella sua caratteristica di mito originale, il primo Griot, guerriero stanco che si
trasforma in musicista.
Il Regista propone attraverso le immagini una via d’uscita dalla stagnante costrizione causata dal
principio delle caste: fa uso di riprese al rallentatore che consentono di apprezzare le capacità
artistiche del Griot, mentre le inquadrature in soggettiva inducono lo spettatore ad interrogarsi sulle
origini del Griot, e hanno lo scopo di rompere la rigidità delle gerarchie tra i ruoli sociali.
Il legame che i registi hanno con la tradizione orale è dimostrato nel film Nyamanton (Mali,1986),
di Cheick Oumar Sissoko, legame che viene dimostrato già dal titolo.
In lingua “Bambara” e “Maninka”, il termine “Nyamanton”, ha il doppio significato di immondizia
e bene, così come indica sia il lavoro di netturbino, mestiere svolto dai due protagonisti bambini, sia
il tesoro nascosto sotto l’immondizia stessa.
Anche qui, viene chiamata in causa la figura del Griot, definito gran bugiardo nel corso di un
battibecco spiritoso tra due ragazzi.
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Il regista Cheick Oumar Sissoko, usa i piani fissi in profondità di campo, evitando il più possibile i
primi piani e i campi contro-campi.
Anche in questo film il ruolo fondamentale riconosciuto al Griot condiziona le scelte stilistiche,
come nel racconti orali egli domina con la sua presenza.
Un altro film, Keita, L’Heritage du Griot (Keita, L’Eredità del Griot ,1995), del burkinabé Dani
Kouyaté, è un grido d’allarme all’ Africa che non sa più ascoltare, e al Griot che perde l’arte di
parlare nella società moderna, in cui i media e la cultura moderna lo riconducono al silenzio .
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Ed è contro questo stato di cose che Dany Kouyaté reagisce, convinto che il Griot deve poter
piegare i media moderni alle esigenze del suo ruolo.
Tutto il film è ricostruito sul racconto che il protagonista l’anziano Griot “Djéliba” fa al giovane
“Mabo”, le immagini servono per rievocare il mondo lontano del racconto dell’anziano e saggio
uomo , costruendo un film che è un misto tra storia e legenda.
Il Griot sceglie il posto fisico dove collocarsi, l’esterno (la tradizione), rispetto all’interno (la
modernità), luogo non marginale ma antagonista e al tempo stesso completamente all’interno e
quindi alla modernità.
G.Gariazzo, Poetiche del Cinema Africano, Lindau, P 30
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CONCLUSIONI
Nonostante gli alti e bassi del cinema africano, il popolo continua ad adorare questa forma
d’intrattenimento e lo dimostra quotidianamente affollando le sale, ma anche durante i Festival che
si organizzano annualmente sia in Africa che in tutto il mondo.
E gli africani -ad eccezione di Egitto e Sud-Africa, si tratta di stati dotati da infrastrutture
industriali, non modificano il quadro- producano film di alto livello artistico e di standard tecnici
competitivi.
Questo è quello che sentenziano da anni i Festival internazionali, e dimostrano le decine di rassegne
che si svolgono annualmente, affollatissime, in tutto il mondo, dal Canada all’ Italia, dal Giappone
alla Russia.
Ma è interessante notare come l’arte cinematografica in Africa continua a mantenere e a riproporre
con risultati sicuramente interessanti e con molto orgoglio, le tradizioni africane e le figure che la
incarnano come è appunto quella del Griot.
Come già detto, nella cultura africana il Griot rappresenta il saggio, colui che conosce l’origine e la
storia della propria comunità.
Attraverso la parola e la tradizione orale, il Griot riesce a trasmettere alle nuove generazioni il senso
della loro identità, le im