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TUSCOLANAE DISPUTATIONES LIBRO II

che così sia da fare. Perciò a me è sempre piaciuto il metodo dei Peripatetici e

dell’Accademia di discutere i pro e i contro di tutte le cose, non solo perché

altrimenti non si potrebbe trovare che cosa sia verosimile in ogni cosa ma anche

perché quella è la migliore esercitazione/esercizio di retorica; Aristotele per

primo lo usò, quindi quelli che lo seguirono/i successori. Nella nostra epoca,

poi, Filone, che ho ascoltato spesso, ha stabilito di insegnare in alcune ore i

precetti della retorica, in altre quelli della filosofia: e io, spinto dai miei amici a

questa consuetudine, trascorsi in questo modo il tempo che era dato nella villa di

Tuscolo. Perciò, dopo aver dedicato il mattino alla declamazione retorica, come

avevamo fatto il giorno prima, nel pomeriggio scendemmo nell’accademia.

Espongo (ora) la discussione che si è lì svolta, non in forma di narrazione ma

quasi con le stesse parole con cui è stata condotta ed esposta.

[ IV ] Dunque il discorso è stato iniziato in questo modo, mentre

passeggiavano e indotto da un esordio di questo tipo:

A: “Non è possibile dire quanto mi abbia fatto piacere la tua discussione di

ieri, o meglio, quanto mi sia stata di aiuto. Infatti, anche se io sono cosciente di

non essere mai stato eccessivamente/molto appassionato/desideroso della vita,

tuttavia mi si presentava qualche volta all’animo un certo timore e dolore di

pensare che un giorno ci sarà/verrà la fine di questa luce e la perdita di tutti i

vantaggi della vita. Credimi, sono così libero da ogni genere di affanno che

ritengo non ci sia niente affatto di cui preoccuparmi”.

M. “Ciò non è affatto strano; la filosofia, infatti, fa questo: cura l’anima,

toglie le preoccupazioni inutili, libera dai desideri, scaccia i timori. Ma questa

sua forza non ha lo stesso potere su tutti: è molto efficace quando abbraccia una

natura adatta. Infatti, come dice (lett. è) in un antico proverbio «la fortuna aiuta i

forti», non solo, ma molto di più la ragione che, con dei precetti per così dire,

rafforza l’energia della forza. La natura evidentemente ti ha generato in un certo

qual modo eccelso, elevato e sprezzante delle cose umane; perciò il discorso

tenuto contro la morte si è impresso facilmente nel (tuo) animo forte. Ma pensi

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forse che queste stesse (dottrine) valgano per quelli stessi - tranne che pochissimi

- dai quali sono state pensate, sostenute e scritte? Quanti pochi, infatti, tra i

filosofi si possono trovare che/ogni quanti filosofi se ne trova uno che sia così di

buoni costumi, così disposto nell’animo e nella vita come richiede la ragione?

Che consideri la sua dottrina non un’ostentazione di conoscenza, ma una legge

di vita? Che obbedisca a se stesso e sia sottomesso ai suoi principi? Si possono

vedere alcuni con tanta leggerezza e ostentazione che sarebbe stato meglio per

loro se/che non avessero imparato (nulla); altri avidi di denaro, alcuni di gloria,

molti schiavi delle passioni tanto che i loro discorsi (lett. contrastano

è singolare)

straordinariamente con la loro vita. Questo mi sembra senza dubbio molto

vergognoso. Come infatti, se parlasse in modo scorretto qualcuno che si è

dichiarato erudito o se cantasse in modo stonato uno che si considera musicista,

ciò sarebbe (ancora) più vergognoso perché commetterebbe una mancanza

proprio in quel campo in cui dichiara conoscenza; allo stesso modo un filosofo

che sbaglia nel modo di vivere è più vergognoso, poiché fallisce nel dovere di cui

vuole essere maestro e insegnando l’arte di vivere (lett. della vita), sbaglia nella

vita. [ V ] A. “Se le cose stanno così come dici, non c’è dunque da temere che

magnifichi la filosofia di una falsa lode? Infatti, quale più grande prova c'è che

questa non serve a niente di alcuni perfetti filosofi che vivono in modo

vergognoso?

M. “In verità questa prova è senza valore. Infatti, come non tutti i campi

che si coltivano danno frutti ed (è) falso il verso di Accio:

I buoni semi, anche se sono affidati a un terreno poco adatto,

tuttavia, per loro natura, danno da sé splendidi frutti.

Allo stesso modo/così, non tutti gli animi, anche se coltivati, danno frutto.

E, per volgere la stessa similitudine, come un campo per quanto fertile non può

dare frutti senza coltivazione, così un animo senza educazione; in tali condizioni

entrambe le cose sono deboli senza l’altra. Ora, la coltivazione dell’anima è la

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filosofia; questa estirpa i vizi fin dalle radici e prepara gli animi a ricevere i semi

e affida a loro e, come così potrei dire, semina (semi) tali che, sviluppatisi,

daranno frutti ricchissimi. Discutiamo/continuiamo dunque come abbiamo

cominciato. Dimmi, se vuoi, di cosa vuoi che si discuta”.

A. “Considero il dolore il più grande di tutti i mali”.

M. “Ancora più grande del disonore?”

A. “Non oso di certo dire questo, e mi vergogno di essere stato scalzato

tanto velocemente dalla mia opinione”.

M. “Ci sarebbe stato più da vergognarsi se avessi perseverato in (quell’)

opinione. Cosa c’è, infatti, di meno degno del fatto che qualcosa ti sembri

peggiore del disonore, della vergogna, dell’infamia? Affinché tu possa evitare

queste cose, qual è il dolore non solo da rifiutare, ma da non ricercare, subire,

sopportare di propria iniziativa?”

A. “La penso proprio così. Perciò, ammettiamo pure che il dolore non sia

il sommo male, è certamente un male”.

M. “Vedi dunque quanto velocemente hai allontanato il timore suscitato

dal dolore?”

A. “Lo vedo chiaramente, ma desidero (sapere) di più”.

M. “Certamente ci proverò, ma è un argomento difficile e ho bisogno che il

tuo animo non opponga resistenza (lett. è un aggettivo)”.

A. “Questo lo avrai sicuramente. Come ho fatto ieri, così ora seguirò il

ragionamento, ovunque mi conduca”.

[ VI ] M. “In primo luogo parlerò dunque della debolezza di molti filosofi

delle varie scuole, dei/tra i quali il primo per autorità e antichità, il socratico

Aristippo, non esitò a definire il dolore il sommo male. In seguito, a questa

opinione smidollata ed effeminata si offrì, abbastanza docilmente, Epicuro.

Dopo di lui, Ieronimo Rodio disse che il sommo bene (è) la mancanza di dolore:

tanto credette (fosse) il male del dolore. (Tutti) gli altri, eccetto Zenone,

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Aristotele e Pirrone, (sostennero) quasi la stessa cosa che tu (hai detto) poco fa:

quello (cioè il dolore è) certamente è un male, ma (ce ne sono) altri peggiori.

Dunque (questa cosa) la natura stessa e una certa nobile virtù l’hanno respinta

immediatamente - senza dubbio affinché tu non dicessi che il dolore è il sommo

male e affinché tu fossi allontanato da (quella) opinione una volta messo di

fronte al disonore - nella quale cose la filosofia, maestra di vita, persevera da

tanti secoli. Per costui, che sarà convinto che il dolore sia il sommo male, quale

dovere, quale gloria, quale onore sarà tanto grande che egli lo voglia ottenere

con il dolore fisico (lett. del corpo)? Quale ignominia, d’altra parte, quale

turpitudine uno non sopporterà per evitare il dolore, se avrà stabilito che quello

è il sommo male? Chi poi non sarà infelice, non solo nel momento in cui sarà

oppresso da dolori estremi - se in questo consiste il sommo dolore - ma anche

quando saprà ciò che gli potrà accadere? E chi c’è, a cui non possa (accadere)?

Così ne deriva che nessuno può essere del tutto felice. Metrodoro, veramente,

considera completamente felice colui che abbia una buona costituzione fisica e

che sia sicuro che sarà sempre così. Ma chi è colui che può essere sicuro di

questo?

[ VII ] Epicuro, poi, dice tali cose che a me almeno sembra cerchi di

attirare/suscitare il riso. Infatti, in un certo passo afferma che se il sapiente

venisse bruciato, torturato, ti aspetti forse che nel mentre dica/dirà: «Soffrirà,

sopporterà (fino in fondo), non cederà» (sarebbe), per Ercole, una grande gloria

e degna di quell’Ercole sul quale ho giurato. Ma per Epicuro, uomo apro e duro,

questo non è abbastanza: se sarà nel toro di Falaride, dirà: «Quanto è piacevole

quanto mi è indifferente tutto ciò!». Persino piacevole? Non è troppo poco, se

non (è) doloroso? Ma neppure quelli che dicono che il dolore non è il sommo

male non sono soliti dire che per qualcuno è piacevole essere torturati: dicono

che è duro, difficile, penoso, contro natura e tuttavia non dicono che è un male.

Costui (Epicuro), che definisce solo questo (il dolore) come un male e come il

supremo di tutti i mali, ritiene che il sapiente lo dirà piacevole. Io non esigo da

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te che ti riferisca al dolore con le stesse parole con cui Epicuro (si riferisce) al

piacere, un uomo, come sai, dedito al piacere. Ammettiamo pure che quello/lui

nel toro di Falaride, avrebbe detto la stessa cosa che se fosse stato sul letto; io

non attribuisco alla sapienza tanta forza contro il dolore. Se è forte nel

sopportare fino in fondo, il suo dovere è già più che sufficiente; non pretendo

che sia anche lieto. E’ infatti senza dubbio un’esperienza triste, aspra, penosa,

contraria alla natura, difficile da sopportare e tollerare. Guarda Filottete, al

quale bisogna perdonare se piange; aveva, infatti, visto Ercole in persona che

urlava sul monte Eta per la violenza del dolore. Per nulla dunque le frecce che

aveva ricevuto da Ercole consolarono quest’uomo nel momento in cui

impregnate di veleno dal morso di vipera,

le vene delle sue viscere provocano orribili tormenti.

Perciò grida invocando/chiedendo aiuto, desiderando di morire:

ahimè, chi mi potrebbe affidare alle onde marine, dalla cima più alta di una rupe?

Ormai sono consumato/muoio; consuma porta alla fine la vita

la violenza di una ferita, il bruciore di una piaga

Sembra difficile dire che non si trovi in un male, e grande davvero, chi è

costretto a gridare così.

[ VIII ] Ma consideriamo lo stesso Ercole, che era affranto dal dolore nel

momento in cui con la morte (stessa) si guadagnava l’immorta

Dettagli
Publisher
A.A. 2016-2017
29 pagine
SSD Scienze antichità, filologico-letterarie e storico-artistiche L-FIL-LET/04 Lingua e letteratura latina

I contenuti di questa pagina costituiscono rielaborazioni personali del Publisher alessandra.s di informazioni apprese con la frequenza delle lezioni di Lingua latina e studio autonomo di eventuali libri di riferimento in preparazione dell'esame finale o della tesi. Non devono intendersi come materiale ufficiale dell'università Università degli Studi di Milano o del prof Moretti Paola Francesca.