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PROGRAMMAZIONE DI TEMPERATURA (PTV)
Nel momento in cui si rende necessario separare tramite
cromatografia, una miscela di componenti con punti di
ebollizione molto differenti o polarità assai diverse, è
buona cosa variare la temperatura della colonna nel mentre
della corsa cromatografica .
In maniera molto ovvia, maggiore è la temperatura e una
più elevata porzione di soluto passa alla fase gassosa, con il
risultato che diminuisce il tempo di ritenzione .
Il tipico profilo termico di u programmazione di
temperatura prevede 5 passaggi : una isoterma iniziale (1);
incremento di temperatura, °C/min (2) ; una isoterma
finale (3); raffreddamento (4) ; condizionamento (5) .
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INIEZIONE ED INIETTORI
Solitamente il campione (liquido o gassoso) è inserito nella colonna
gascromatografica, per mezzo di una microsiringa che attraversa un setto
μl
di gomma al silicone . Si iniettano circa 500 per colonne impaccate, e
μl
intorno ai 5 nelle colonne capillari .
In testa alla colonna si trova la camera a rapida vaporizzazione, mantenuta
ad una temperatura tale da permettere l’evaporazione istantanea del
campione (solitamente essa si trova a +50 °C rispetto alla temperatura del
forno), ed avente un volume abbastanza grande per ospitare il vapore e
permettere ad esso di espandersi senza essere spinto indietro .
Visto il ridotto volume ospitabile dalle colonne capillari, si ricorre a splitter
(iniettori split/splitless) che suddividono il campione iniettato in
piccole frazione, di cui una viene inviata in testa alla colonna, mentre le
altre ad uno scarico .
Inoltre, se i componenti della miscela hanno un ristretto intervallo di punti di ebollizione o
di polarità, si può operare con il sistema di iniezione diretta . Se invece i componenti della
miscela, solvente compreso, sono eterogenei per composizione e caratteristiche, le
differenti velocità di diffusione in colonna e la tendenza a condensare sulle pareti per le
diverse volatilità, determinano una composizione della miscela che entra in testa alla
colonna diversa da quella iniettata . Se ne deduce che si perdono facilmente i componenti
meno volatili .
INIETTORI PER CAPILLARI A TECNICA SPLIT
Questa tipologia di iniettori è particolarmente indicata per
componenti con punti di ebollizione molto simili .
Con gli iniettori a tecnica split è possibile introdurre ridotti
volumi in testa alle colonne capillari, e ciò diviene possibile
grazie ad un espediente intelligente : si lascia evaporare il
campione e lo si miscela al gas carrier, e dopo si elimina il gas
in eccesso, prima di indirizzare il flusso verso la testa della
colonna . In maniera molto semplice quindi, invece che
dividere volumi molto piccoli di liquido (con grande
possibilità di errore e difficoltà realizzativa) si dividono
volumi grandi di gas .
Gli iniettori a tecnica split sono indicati per colonne capillari
di tipo SCOT e WCOT, specie se queste ultime sono di piccolo
diametro .
Il sistema è utilizzabile per miscele di composti con punti di
ebollizione non troppo diversi, perché in caso contrario
si avrebbe una vaporizzazione non omogenea e il
bloccaggio della frazione altobollente nella camera di
vaporizzazione .
Il sistema difetta per la riproducibilità che viene migliorata
adottando setti in vetro che riducono anche drasticamente la
discriminazione dei composti altobollenti .
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INIETTORI PER CAPILLARI A TECNICA SPLITLESS
Questa tipologia di iniettori per colonne capillari si distingue per le seguenti
caratteristiche:
1. La miscela è contenuta in un solvente con un punto di ebollizione di 20-25 °C più
basso di quello del componente più volatile .
2. La testa della colonna è mantenuta ad una temperatura inferiore a quella di
ebollizione del solvente, che così condensa subito ed intrappola le sostanze nella
miscela .
Negli iniettori splitless il gas carrier può scorrere sotto il setto (al fine di mantenerlo
pulito), attraverso la valvola di split, e dentro la colonna .
Appena prima dell’iniezione lo spurgo viene chiuso e il flusso del carrier è diretto solo
verso la colonna . Fino a che lo split rimane chiuso si ha ingresso in colonna
prevalentemente della miscela con solo una porzione del solvente che, essendo il più
facilmente volatilizzabile, tende a disperdersi in tutto lo spazio disponibile, e condensare in
testa alla colonna concentrandovi la miscela . Al termine dell’iniezione lo splitter viene
riaperto e il solvente viene in buona parte eliminato .
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RIVELATORI PER GC
In maniera molto generale, un rivelatore è un dispositivo in grado di generare un segnale
elettrico (espresso quindi in mV o mA) la cui ampiezza sia funzione della concentrazione (o
della massa), qualora sia presente una sostanza all’interno di una soluzione .
Ovviamente un rivelatore posto subito dopo l’apparato cromatografico ha il semplice scopo
di generare un segnale, che risulterà come un picco sul cromatogramma, per ogni porzione
di eluato analizzata .
Ogni rivelatore ha un caratteristico rumore di fondo, visualizzabile (nel caso della
gascromatografia) quando nel gas carrier non sia presente alcun’altra sostanza .
Ogni detector ha un limite di rivelabilità, che sarebbe la concentrazione di sostanza in
grado di fornire un segnale uguale ad almeno il doppio del rumore di fondo .
Per giudicare la bontà di un rivelatore vanno valutati i seguenti parametri :
1. Sensibilità : capacità di rivelare tutte o in parte le sostanze separate
2. Selettività :
a. Universali, in grado di individuare tutti i componenti in una miscela
b. Selettivi, in grado di rivelare solo alcune categorie di composti
3. Risposta lineare : intervallo di concentrazione in cui la risposta è costante
4. Stabilità tale da contenere una deriva del segnale
5. Risposta uniforme per i diversi analiti (o comunque prevedibile e più o meno
selettiva)
6. Tempo di risposta accettabile
7. Limite di rivelabilità come minino segnale distinguibile dal rumore
8. Rumore di fondo minimo al passare del solo carrier
Un grosso vantaggio della gascromatografia è per essa sono disponibili un numero davvero
alto di rivelatori, di cui alcuni specifici (AED, NPD, ASD) ed altri di uso generale (FID e
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TCD) . Interessante è anche che alcuni rivelatori sono distruttivi mentre altri no, e ciò
permette, nel caso non siano distruttivi, di disporli in serie (ad es. TCD e MS) .
In buona sostanza i rivelatori oggi disponibili per la gascromatografia sono quelli in
tabella. TCD a conducibilità termica FID a ionizzazione di fiamma
ECD a cattura di elettroni ELCD a conducibilità elettrolitica
ASD amperometrico per lo zolfo NPD (o TID) termoionico
FPD fotometrico a fiamma PID a fotoionizzazione
AED ad emissione atomica a chemiluminescenza
MS spettrometria di massa
RIVELATORE A CONDUCIBILITA’ TERMICA (TCD)
Il rivelatore a conducibilità termica, TCD o anche HWD (hot wire detector), è stato uno dei
primi rivelatori ad essere utilizzati nella gascromatografia . Esso si basa sulla differente
conducibilità termica di un gas puro, rispetto allo stesso gas frammisto alle molecole di
analita . Tutte le sostanze provocano una variazione di conducibilità termica del carrier,
per cui il TCD non è selettivo e neppure
distruttivo . ) e di
Le conducibilità termiche di idrogeno (H 2
elio (He) sono all’incirca da sei a dieci volte
maggiori di quelle della maggior parte dei
composti organici . Pertanto la presenza di
quantità di specie organiche anche piccole, causa
una diminuzione relativamente grande nella
conducibilità termica dell’effluente dalla colonna .
Ne consegue che il rivelatore va incontro ad un
sensibile aumento della temperatura .
Poiché le conducibilità termiche di altri gas sono
più prossime a quelle dei composti organici, un
rivelatore a conducibilità termica richiede espressamente l’impiego di idrogeno oppure di
elio .
L’elemento sensore del TCD è una resistenza elettrica attraversata da una potenza
costante, quindi riscaldata elettricamente, la cui temperatura dipende dalla conducibilità
termica del gas che la circonda (infatti la resistenza sarà raffreddata dal gas, quanto più sia
alta la conducibilità termica dello stesso) .
Nelle applicazioni cromatografiche si impiega
generalmente un doppio sistema di rivelazione, in cui
un elemento è situato nel flusso di gas prima della
camera di iniezione del campione (quindi gas puro) e
l’altro immediatamente dopo la colonna . Quindi
quando le resistenze sono lambite da gas con
conducibilità termiche differenti (l’uno puro, l’altro
contenente l’analita), sono raffreddata in maniera
diversa, e la diversa temperatura delle medesime genera uno sbilanciamento elettrico .
Per valutare l’entità di tale sbilanciamento elettrico, le due resistenze sono generalmente
confrontate incorporandoli in due rami di un semplice circuito a ponte di Wheatstone .
La sensibilità del rivelatore TCD è una delle peggiori, infatti il limite di rivelabilità è di
a 10 .
1 ppm, e l’intervallo di linearità va da 10 4 6
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RIVELATORE A
IONIZZAZIONE DI FIAMMA
(FID)
Il rivelatore a ionizzazione di fiamma (FID) è
probabilmente il più diffuso ed utilizzato nella
pratica gascromatografica . Esso è un rivelatore
universale (è in grado cioè di individuare tutti i
componenti della miscela), che presenta tuttavia
lo svantaggio di essere distruttivo .
Tramite l’uso di un bruciatore, l’effluente
proveniente dalla colonna viene miscelato con
idrogeno e aria, e quindi bruciato per via elettrica
. La maggior parte dei composti organici quando
viene pirolizzata alla temperatura di una fiamma
idrogeno/aria, produce ioni ed elettroni che
conducono l’elettricità attraverso la fiamma, e
che quindi aumentano la conducibilità elettrica
della fiamma stessa .
Viene applicato tra l’ugello del bruciatore e un
elettrodo collettore sistemato sopra la fiamma,
un potenziale di circa 300 V , che è sufficiente a
ionizzare la maggior parte delle sostanze, tranne
quelle in forma già ossidata .
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Tra gli elettrodi si manifesta un passaggio di corrente elettrica, la cui intensità risulta
proporzionale alla quantità delle sostanze bruciate. Tale corrente viene amplificata e
trasformata in segnale di tensione di alcuni mV .
Quando &egra