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ARTERIOPATIA OBLITERANTE DEGLI ARTI INFERIORI
Le manifestazioni (patologiche) del piede a livello vascolare sono legate alla circolazione arteriosa
del piede stesso o del distretto. Le malattie venose sono più comuni anche se meno critiche di
quelle arteriose. L’ arteriopatia obliterante degli arti inferiori è l’arteriosclerosi del distretto che va
dalla biforcazione dall’aorta in iliaca comune destra e sinistra, fino al circolo del piede. Sono
manifestazioni aterosclerotiche che possono creare occlusioni e/o stenosi a livello arterioso,
interrompendo il distretto aorto-iliaco-femoro-popliteo-tibiale, riducendo così la perfusione dei
distretti a valle, con il rischio di ischemia tissutale, aggravata dalla presenza di calzature. Questa è
la situazione tipica che si verifica in un piede diabetico, poiché proprio a causa della concomitanza
di una neuropatia, il diabetico grave con arteriopatia non sente il dolore della frizione della scarpa,
arriva fino alla ulcera e non sente nulla. Ai pazienti che manifestano queste distrofie, che poi 2
diventano escare e poi ulcere, si consiglia di usare scarpe scoperte, tanto che a volte usano calzini
con calzature tipo saldali, proprio per limitare la frizione continua a livello digitale. Non è tanto la
scarpa che nuoce al piede, ma piuttosto sono i tessuti con poca irrorazione che sono più soggetti a
distrofia e dunque a lesioni. L’entità della malattia si basa sullo studio di Flamming:
La claudicatio, caratterizzata da dolore di tipo crampiforme dei muscoli della gamba durante
la deambulazione che regredisce a riposo spontaneamente. Quanto più è alta la stenosi,
quanto più è alta il punto colpito da dolore, ma è comunque sempre più basso della stenosi.
Ogni anno è colpito lo 0,26% m e lo 0.13% f;
E’ 5 volte più frequente nel diabete, infatti il diabete è uno dei Fattori di Rischio
dell’aterosclerosi. Il paziente diabetico è un paziente polidistrettuale a livello arterioso
(cardiopatia ischemica e arteropatia obliterante).
Diffusione in base all’età e sesso e malattie dismetaboliche.
La presenza di arteropatia periferica cresce con l’ età e le donne, poiché avendo aspettativa di vita
maggiore dopo una certa età sono più esposte. Un paziente con claudicatio nel 50% dei casi dopo
un follow up di 5 anni si stabilizza una volta a riposo, ma si può avere anche un miglioramento. Il
16% dei casi peggiora, il 25% va incontro ad interventi chirurgici e circa il 4% va incontro ad
amputazioni. La claudicatio causa dolore non nella zona della placca ma nella zona
immediatamente successiva, ovvero il distretto ipoperfuso, poiché non giunge ossigeno ad annessi
e muscoli per l’arteriopatia. Può riguardare diversi distretti del corpo, a seconda dell’arteria
interessata. L’asse vascolare funziona come un modello
idraulico. Nel soggetto normale, le arterie
modulano il loro diametro, vasodilatandosi o
vasocostringendosi, per garantire la giusta
quantità di sangue a tutti i distretti, sia a riposo
che in movimento, mentre le resistenze
periferiche sono date dagli sfinteri capillari delle
venule. Se invece subentra una placca che
restringe il lume del vaso, si possono avere
alterazioni.
Nel soggetto normale, a riposo, si ha una certa
resistenza perché c’è bisogno di una certa
quantità di sangue, mentre sotto sforzo questa
quantità di sangue deve essere maggiore perché
ci deve essere più ossigenazione dei muscoli.
Questa resistenza, che è data dalle arterie (le
resistenze sono date dalle arterie di tipo
muscolare), deve diminuire: perciò le arterie si
vasodilatano per favorire un maggiore flusso di
sangue. In caso di sforzo, quindi, il letto capillare
viene inondato di sangue grazie alla riduzione
delle resistenze da parte delle arteriole, che si dilatano. La placca riduce quindi la capacità
dell’arteria di vasodilatarsi. 3
L’aterosclerosi che crea alterazione al vaso e danni all’endotelio riduce la capacità di
vasodilatazione di quel vaso. Nel soggetto normale, con vasodilatazione, il flusso può passare da
300 cm³ al min a 1500 cm³ al minuto. Nei capillari aumenta il flusso perché i muscoli hanno
bisogno (può succedere in tutti gli organi; per es non si dovrebbe fare il bagno dopo aver mangiato
perché con l’acqua fredda il sangue è orientato a riscaldare il corpo, poi nuotando il sangue va ai
muscoli e in quel momento l’organismo vorrebbe più sangue al tratto digerente, tutto ciò comporta
il rischio di una congestione). In caso si formi una placca che porta a parziale stenosi, rispetto alla
situazione normale, la resistenza dell’arteria a valle diminuisce perché con la placca, per
mantenere il flusso a riposo, devo un po’ vaso dilatare a valle per compensare la diminuzione di
flusso dato da essa: a riposo sto bene. Se sottoponiamo questa zona a sforzo, bisogna vedere se
c’è riserva di vasodilatazione, se la placca non è serrata, da riposo a sforzo rimane ancora
possibilità di vaso dilatare. In ogni caso si va al massimo della vasodilatazione, che non equivale
alla situazione di arteria sana. Il compenso c’è ma non è un flusso normale, completo per lo sforzo.
Siamo in una situazione di ISCHEMIA RELATIVA ( stenosi inizierà ad essere significativa) perché
tutto sommato l’arto sta bene, ma c’è un’ischemia relativa allo sforzo. Ischemia si avverte con
dolore! L’ISCHEMIA CRITICA si presenta già a riposo,
in condizioni basali, poiché la stenosi è tale che,
per mantenere un flusso basso, è già stato
raggiunta la massima vasodilatazione e non
basta ad avere un buon flusso a riposo. Sotto
sforzo avremo una situazione critica poiché il
vaso non si può dilatare più di quanto non faccia
già. Questi esempi sono diversi dalla situazione
anatomica normale, grazie all’ esistenza dei
circoli collaterali che spesso mascherano il fatto
che i circoli principali si stanno occludendo,
quindi le arterie attraverso altre arterie parallele portano più sangue a valle del distretto che
presenta stenosi, in cui, senza un circuito collaterale, avremo una situazione di ischemia più grave.
Dunque, anche in condizioni anatomiche che presupporrebbero una ischemia critica, grazie ai
circoli collaterali può tramutarsi in ischemia relativa.
L’ipoperfusione in questi pazienti è data da una placca (o da molteplici placche). L’estensione del
danno dipende dalla sede: un’ischemia alla a. poplitea è grave perché è l’unica arteria che porta
sangue alla gamba, mentre se avviene alla tibiale, possono essere sfruttate la peroniera e l’altra
tibiale, perciò avremo per lo meno una parte del distretto arterioso funzionante. In più il circolo
plantare ha buona possibilità di sviluppo di circuiti collaterali e dunque di bilanciamento del flusso
sanguigno. Circoli collaterali molto importanti possono ridurre la ipoperfusione e ridurre il gradiente
di pressione fra valle e monte. La rapidità è importante, poiché lo sviluppo di occlusione o
restringimento può cambiare il livello di ipoperfusione: più l’occlusione è veloce e più l’arteriopatia
è grave perché ci sarà meno tempo di compensare la mancanza di flusso sanguigno a valle. La
patologia è data da una lesione più o meno costruttiva ed è caratterizzata dalla presenza della
stenosi, entità di essa e presenza di circoli collaterali. Tutti questi fattori causano ischemia e i segni
li avrò quando ormai il vaso sarà già chiuso. La diagnosi si effettua tramite:
ANAMNESI. Familiarità e fattori di rischio sono importantissimi, soprattutto capire l’entità dei
F.R. cioè età, sesso, diab etc.
SINTOMI. Sono la claudicatio e il dolore a riposo, che identificano una ischemia relativa o una
critica. La Claudicatio rappresenta un dolore crampiforme per anaerobiosi, cambia 4
metabolismo. È importante chiedere al paziente se ha dolore, se è a riposo e dopo quanto
passa. È importante perchè gli interventi derivano dal livello di criticità del pz e quindi subentra
la necessità d classificarlo.
ESAME OBIETTIVO. Fase molto importante che comprende l’Ispezione, ovvero il colore cute,
lesioni e annessi cutanei saranno assenti perchè vanno via i bulbi piliferi, la Palpazione –
polsi femorale nel triangolo di scarpa – popliteo, tibiale posteriore, pedidio, Fremiti ovvero la
turbolenza del sangue per aumento del flusso, confronto arti e Termotatto ovvero lo scalino
termico (più a valle del punto di ostruzione).
Valutazione del sensorio, cioè maggior o minor sensibilità al tatto. Sensibilità al tatto è
abbastanza tipica degli arteriopatici, soprattutto per quanto riguarda la frizione con la
calzatura, cioè avvertono dolore al contatto con scarpa.
La classificazione di Fontaine classifica le arteriopatie obliteranti secondo i sintomi in 4 stadi:
I stadio: asintomatico. Il paziente è asintomatico con sporadici sintomi di freddo e o
parestesie, maggiore con cambiamento climatico e ingiustificato, ma sono assenti segni
evidenti.
II stadio: claudicatio, sintomo descritto dal paziente. I sintomi ricordano la situazione di
ischemia relativa, parestesie, freddo e claudicatio durante la deambulazione. La claudicatio
cambia a seconda dell’indipendenza nel cammino del paziente, poiché dipende dalla riserva di
vasodilatazione. Può essere di prima o seconda classe, e per distinguerle ci si basa
sull’autonomia di marcia: per la prima classe maggiore di 200m, per la seconda minore di 200
m. I segni sono soffi vascolari, iposfigmia (alla palpazione polso meno ampio) periferica e cute
fredda (ipotermia cutanea lieve).
III stadio: dolore a riposo. Sintomi: Il paziente ha sensazione di freddo e dolore a riposo, in
particolare alle dita di notte per posizione a letto supina e iniziale alleviamento in posizione
seduta, poiché per la pressione idrostatica il sangue scende. Arteropatie obliteranti degli arti
inferiori: meno dolore con le gambe abbassate. Pz spesso dormono sulla sedia o in poltrona. I
segni sono soffi, ipotermia cutanea, l’edema declive e l’assenza di polsi periferici. Iniziano
inoltre ad essere presenti le distrofie cutanee. Il ritorno venoso viene ridotto dal fatti che la
persona preferisce stare con le gambe giù, aumenta così la pressione idrostatica, la
fuoriuscita di liquidi e si avranno le gambe gonfie.
IV stadio: alterazioni trofiche. Dolore persiste