Scarica il documento per vederlo tutto.
Scarica il documento per vederlo tutto.
Scarica il documento per vederlo tutto.
Scarica il documento per vederlo tutto.
Scarica il documento per vederlo tutto.
Scarica il documento per vederlo tutto.
vuoi
o PayPal
tutte le volte che vuoi
OBBLIGAZIONI DA QUASI DELITTI
Citati nelle Istituzioni di Giustiniano, non corrispondono ad illeciti assolutamente nuovi, in quanto
si trattava di fatti o atti che già il pretore giurisprudenziale aveva considerato antigiuridici e
punibili. Però per lo ius civile
non avevano rilevanza, con intuibili iniquità alle quali ovviò il pretore
concedendo alla vittima sia azioni che eccezioni tramite le quali venivano annullati gli effetti di atti
viziati. I quasi delitti sono:
Violenza morale ( vis): minaccia di un male che avrebbe colpito un soggetto se egli non avesse
• compiuto un certo atto giuridicamente rilevante; tale quasi delitto era quindi idoneo a limitare la
libertà personale della vittima;
Dolo: era, secondo una definizione di Servio, “l’astuzia posta in essere al fine di ingannare una
• persona” che per questo cadesse in errore e concludesse un contratto che non avrebbe concluso
senza l’inganno.
Giudice che abbia mal giudicato (
litem suam fecerit);
• Lancio e caduta di oggetti dall’alto della casa;
• Danneggiamento, truffa, furto subiti da clienti nella nave, nell’albergo, nella locanda ad opera del
• personale di servizio e imputati all’armatore, all’albergatore o all’oste.
27
I quasi delitti introdussero così la responsabilità senza colpa, con la sanzione irrogata solo
accertando il nesso causale tra il fatto e la sua conseguenza.
ACTIONES
Nelle Istituzioni gaiane non c’è una definizione di
actiones e solo Giustiniano le definisce come: “il
diritto di cercare di ottenere in giudizio ciò che è dovuto a chi agisce”. Da ciò è possibile evincere:
L’actio processuale è intesa quale diritto, dunque quale potere da far valere
o immediatamente verso quei rappresentanti della comunità ai quali competa
istituzionalmente la funzione di rendere giustizia;
L’actio e il processo sono meri strumenti per la realizzazione di un’istanza di giustizia: vi è
o quindi una visione “minimalista” del processo, con l’implicazione che la procedura non
debba mai essere sopravvalutata.
Questa definizione è valida sia in riguardo alle azioni da noi denominate di “cognizione” (si vuole
che il giudice accerti il torto subito e condanni di conseguenza il responsabile), che di “esecuzione”
(si vuole che il giudice assicuri l’attuazione di una precedente).
Inoltre risulta valida per le tre diverse forme di processo civile che in successione di tempo, i
Romani ebbero:
Legis actiones
• Consistevano in riti composti dalla recitazione di determinate parole e dal compimento di
determinati gesti funzionali alla rappresentazione delle pretese dei litiganti. Fu in uso dagli esordi
e per tutta l’età repubblicana e il suo superamento fu causato dalla loro inattitudine tutelare
giuridicamente i rapporti nuovi, la sua applicabilità solo a cittadini romani, e l’odium serbato dai
cittadini verso questa forma in quanto il minimo errore nel compimento del rito implicava la
perdita della causa.
Fin dall’età delle XII Tavole era composto da una fase in iure davanti al pretore, il cui compito era
semplicemente quello di verificare che l’actio fosse esperita secondo il rituale, fase che si
chiudeva con la
litis contestatio nella quale i litiganti chiamavano ciascuno i propri testimoni a
prendere atto del rito compiuto per poterne rendere testimonianza in futuro, mancando uno
scritto apposito; e dalla fase
apud iudicem davanti ad un giudice privato cittadino al quale era
demandata la pronuncia della sentenza da parte del magistrato.
Furono le legis actiones più importanti ( legi actio sacramenti
e legis actio per manus iniectionem)
a stabilire la distinzione tra
actiones in rem
e actiones in personam e tra cognizione ed
esecuzione, quest’ultima avente ancora in età alto repubblicana ad oggetto la persona del
condannato (vedi nota p238).
Processo formulare
• Cominciarono ad essere praticati intorno alla metà del III secolo a.C. in concorrenza al processo
legis actio e fu in uso fino al III secolo d.C.. In questo tipo di processo cambia radicalmente il ruolo
del pretore che “diceva il diritto” (
ius dicit) e che qui esprimeva l’essenza del potere
giurisprudenziale: aveva così il compito di redigere la “formula”, testo scritto che costituiva il
programma vincolante di giudizio per il giudice. Questa formula veniva redatta durante la
litis
contestio, fase culminante della fase in iure
che esprimeva l’accordo dei litiganti sul testo della
28
formula e dopo la quale l’azione non si sarebbe potuta nuovamente potuta esperire (effetto
preclusivo) e che non sarebbe stata modificata da nessun nuovo elemento (effetto conservativo).
La nuova importanza conferita al pretore era diretta conseguenza della necessità di dare tutela
giuridica ai nuovi rapporti derivanti dal moltiplicarsi dei traffici mercantili.
E’ inoltre importante sottolineare come intorno al 242 a.C. il pretore urbano, con potere solo in
riguardo ai cittadini romani, fu affiancato da un pretore peregrin