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4. ALTRI SPERIMENTALISMI: IL CASO DI ZANZOTTO
L’estremismo della neoavanguardia provocò non solo proseliti ma anche oppositori, tra cui
Pasolini, Raboni, Fortini etc. ma nonostante questo la pressione sperimentale ha contribuito a
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modificare le abitudini linguistiche anche di autori della neoavanguardia molto distanti e addirittura
quelle dei suoi oppositori diretti, come nel caso di Pasolini e di Zanzotto; a partire da IX Ecloghe
(’62), e poi soprattutto con La beltà (’68) e Pasque (’73), la poesia di Zanzotto conosce una svolta
radicale. Il monolinguismo di matrice ermetico-simbolista dei libri precedenti cede a un
poliglottismo esasperato: interpolazioni di lingue, lessico settoriale e gerghi; la sintassi risponde ad
impulsi psichici e nervosi slegati da un ordine razionale del discorso, sfrutta la paratassi, i
procedimenti iterativi e procede per associazioni foniche o giochi di parola. È uno sperimentalismo
per non pochi tratti sovrapponibile a quello della neoavanguardia, ma le divergenze sono nette e
irriducibili; de la neoavanguardia è tutta orientata ad enfatizzare la parte negativa, distruttiva o
distrutta del linguaggio, in Zanzotto pars destruens e pars construens, cioè speranza di una nuova
autenticità, sono inscindibili. Da qui la presenza di temi ed elementi linguistici di indubitabile liricità,
il tema del paesaggio naturale, la valorizzazione del dialetto materno e della dimensione aulico-
letteraria + proliferazione nei testi degli elementi secondari della lingua, ma trattati come portatori
di significato autonomo.
5. POESIA VERSO LA PROSA. LA SVOLTA DI LUZI E SERENI
Anche al di fuori del seminato di progetti programmaticamente sperimentali, la poesia negli anni
Sessanta sancisce la crisi definitiva dei paradigmi precedenti. La compromissione con il reale
contemporaneo è in proporzione diretta con una lingua sempre più inclusiva di tutto, sempre più
spuria tra prosa e poesia; è un fenomeno diffuso, cioè non legato all’iniziativa di singoli scrittori o di
gruppi di scrittori, che intercetta i grandi mutamenti della storia extraletteraria: quelli socio-
economici, linguistici etc. Per i poeti trattati stimoli e modelli per un cambiamento si individuano
anche all’interno della storia poetica pregressa o coeva, come i neoavanguardisti, l’influenza della
poesia anglosassone e in particolare Pound, Eliot, Williams etc., le proposte stilistiche offerte dalle
traduzioni italiane dei poeti suddetti. Un vero e proprio processo contro i fondamenti gnoseologici e
linguistici della vecchia produzione ermetica è istruito da Luzi da Nel magma (’63); la parola
magma sintetizza l’avvenuta e tutta nuova immersione della propria storia privata, esistenziale e
intellettuale, nella storia contemporanea. Da qui un diverso sistema poetico, che rovescia e
sostituisce quanto era al centro dell’ermetismo: il regime plurale di personaggi anagraficamente
determinati e reali, la città contemporanea, del boom economico, ricca di hotel, uffici, bar,
appartamenti etc; mutando le persone e le coordinate spazio-temporali cambia anche la lingua,
che diventa più ‘reale’ e va verso la prosa e il parlato. La lirica luziana si apre ad altri generi
testuali, più compromessi con la prosa del mondo e con la pluralità di registri, ovvero il romanzo e
il teatro. Crollano i latinismi o i forestierismi di lusso e di marca letteraria, a favore di forestierismi di
massa legati alle tendenze della società (infatti sono più anglisimi che francesisimi); in tale
contesto di respiro internazionale, il libro luziano riflette anche la crisi del primato linguistico
toscano-fiorentino. Ma più che nel lessico il timbro inconfondibile del nuovo Luzi è nella sintassi e
nella costruzione testuale che assorbe modi di provenienza narrativo-teatrale; sono soprattutto due
a formare la spina dorsale di quasi ogni poesia: il ‘monologo interiore’ che spesso sfuma e si
sdoppia in un dialogo tra sé e sé, e il dialogo tout court, a più voci, diretto o riportato. Quelli di Nel
magma sono testi impegnativi, concettualmente densi ed enigmatici, ma nulla resta delle tecniche
ermetiche; a tale libertà sintattica si accompagna quella metrica: all’endecasillabo subentra
l’informale metrico, con versi-riga molto lunghi e non così distanti da quelli di Sanguineti e nei due
libri successivi, Sui fondamenti invisibili (1971) e Nel fuoco della controversia (1978) il processo di
inclusione dei linguaggi della contemporaneità si conferma e si rafforza, anche in ragione di
un’apertura ulteriore e più diretta agli eventi e alle cronache della storia più recente.
Uscito nel 1965 è il terzo libro di Vittorio Sereni, Gli strumenti umani, in cui l’angolo lirico-
soggettivo si allarga per comprendere l’intero panorama contemporaneo: la città metropolitana,
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luoghi e figure del neocapitalismo, il mondo del lavoro, temi politico-ideologici e culturali etc.;
quanto agli aspetti linguistici e stilistici nel loro complesso, il nuovo libro segna a sua volta la “crisi
del codice lirico”. Sereni pensava infatti a una poesia che potesse nascere dal bisogno di figure, di
elementi narrativi, in cui appunto poesia e narrativa si toccassero. L’aspetto lessicale, come in
Luzi, è solo parzialmente importante, il vocabolario può vantare la massima apertura angolare, pur
senza gli eccessi plurilinguistici di un espressionista o di un manierista; si ritrovano allora parole
come sirene (delle fabbriche), tunnel, cavalcavia, grattacieli, smog etc., molti toponimi e nomi
propri sempre definiti ed individuabili. È un linguaggio non lirico che si scioglie chimicamente nella
dimensione lirica. Ciò che è fondamentale non è dunque la parola singola e nemmeno una singola
tecnica, ma l’insieme: dunque la sintassi, la retorica e le varie forme della testualità. Molti testi si
aprono infatti su spezzoni di dialogo, ma si tenga presente che a scrivere parlando –o registrando
il parlato di altri- è un poeta, un uomo intriso di cultura umanistica il quale investe nel suo discorso
tutto sé stesso, il suo vissuto esistenziale di uomo in crisi. Il parlato degli Strumenti umani non è
mai dunque sciatto o banale, fine a sé stesso, ma è capace di integrare non soltanto elementi di un
lessico di altra provenienza ma cadenze, esitazioni e pause tipiche di quel ceto o genere. Il
risultato è un teso polifonico, dove si fondono con naturalezza i più vari registri, le più varie
intonazioni e pronunce delle voci dell’io. C’è il parlato intimo-familiare, scherzoso e quasi
civettuolo, quello polemico, quello che include una descrizione che può essere lirica oppure più
secca e ‘veloce’; ci sono anche momenti di parlato in cui si crea un cortocircuito tra un memorabile
verso di Leopardi e la colloquialità prosaica del testo. In tale regime di variazione e polifonia
(comunque sotto controllo) ci sono anche casi di parlato trasandato e al limite della correttezza
grammaticale (uso del lombardismo roba o concordanze sbagliate).
Ci sono una serie di tratti linguistici che mimano il parlato, e di espedienti che la fonologia chiama
“variazioni di chiave”, usati per dinamizzare e segmentare la linea discorsiva: a. molti ma e altri
segni avversativi e correttivi; b. molti incisi e parentesi, che talvolta correggono o contraddicono il
già detto; c. frequenti cambi di progetto sintattico; d. una varietà di segni grafici come le virgolette,
il corsivo, i puntini sospensivi per restituire nello scritto i silenzi, le pause etc.; e. le ‘dislocazioni’,
che sono le più varie e tutto il repertorio delle tecniche di ripetizione, che è il fenomeno stilistico
fondamentale del libro.
6. BREVE REPERTORIO DELLA POESIA DEGLI ANNI SESSANTA
Il nuovo Luzi e il nuovo Sereni sono le teste di serie di una linea importante della poesia italiana,
estranea ma non indifferente, ai principi di ‘scuola’ sia sperimentale che ermetica; è una linea che
ha il suo unto di avvio attorno agli anni Sessanta e che interseca la produzione tanto di esordienti
di spicco quanto di autori dalla carriera già avviata, tra cui: Caproni, Giudici, Raboni, Fortini, Erba,
Risi, Orelli e anche il nuovo Montale di Satura (per i titoli delle opere cfr. pag 11); oltre questi si
possono annoverare anche poeti dialettali come Franco Loi o Raffaello Baldini nei quali la protesa
frontale contro i meccanismi repressivi della società contemporanea – e contro il relativo
livellamento antidialettale- non esclude l’inclusione di modi e tecniche della nuova poesia in lingua.
L’elenco andrà completato con gli sviluppi della neoavanguardia, in primis quelli di Sanguineti, che
dopo gli eccessi degli inizi prosegue con la poesia molto quotidiana di Reiserbilder (1972), e inoltre
non pochi poeti della generazione del ’45. Questi nomi non consentono di parlare né di movimento,
nè di gruppo più o meno coeso, e nemmeno di usare fino in fondo la categoria più larga di koinè;
ogni progetto individuale fa infatti, per la sua gran parte, storia a sé. Ma nello steso tempo è
possibile isolare dei nuclei comuni e non marginali, e si tratta di ingredienti linguistici particolari che
‘fanno sistema’, ma anche di questioni di metodo relative al come pensare e fare poesia in tempi di
crisi, e di crisi della poesia. Nel concreto ciascuno intreccia la propria biografia privata alle vicende
storiche e sociali e realizza quella trasfusione del collettivo nell’individuale; Mengaldo l’ha chiamata
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“poesia esistenziale” o “esperienziale”, perché si accontenta di partecipare un’esperienza senza
ricorrere- o riducendoli al massimo- a schemi lirici astratti o oracolari e orfico-ermetici. Da un punto
di vista formale questa poesia va verso la prosa del mondo e verso la lingua della prosa, verso
l’oralità o verso il romanzo e il teatro, creando continui intrecci tra lingua lirica e prosastica; quanto
alle fonti della tradizione poetica l’influsso del monolinguismo di matrice petrarchesca è assente o
saltuario e a prevalere è Dante, l’espressionismo, il dimesso crepuscolare fino a provocatorie
riesumazioni. Per la ricchezza delle soluzioni formali, per lo spessore intellettuale e per il valore
documentario esistenziale e sociale, si tratta di un momento della storia poetica italiana tra i più alti
e significativi. Le novità formali tra le più ricorrenti e condivise nelle scritture dei poeti suddetti sono
in prima istanza le tendenze relative alle scelte testuali e sintattiche, che sono primarie in una
poesia che accentua i valori sintattici piuttosto che quelli lessicali. Si veda allora la tensione verso
la prosa, evidente nella simpat