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il passaggio di elettroni; in serie si ha anche la resistenza dell’elettrodo ed il potenziale di semicella
rispetto all’elettrodo idrogenato (R ). La presenza di R genera un potenziale addizionale
tot F
(potenziale di polarizzazione) che varia il potenziale dell’elettrodo, la corrente nell’elettrodo è
somma della corrente accumulata nel condensatore che ne aumenta la carica e della corrente
faradica che comporta il passaggio di elettroni (di intensità minore). La presenza del condensatore
fa sì che il circuito abbia un comportamento che varia con la frequenza del segnale che si
acquisisce (ad alte frequenze il sistema vede solo R ): per avere un buon elettrodo si cerca un
tot
valore di R più basso possibile. La capacità del doppio strato varia al variare delle caratteristiche
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dell’elettrodo come dimensioni e distanza dalla cute, mentre la resistenza faradica si ricava
dall’equazione di Nernst. La risposta in frequenza non è costante, dalla curva in frequenza si
possono ricavare i valori delle resistenze e della capacità.
Un elettrodo ideale non polarizzabile ha R =0, quindi nulla si oppone al passaggio di corrente
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all’interfaccia; un elettrodo perfettamente polarizzabile ha R infinita ed impedisce il passaggio di
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corrente continua. Nella realtà si ha un comportamento intermedio: metalli nobili come platino ed
oro sono quasi perfettamente polarizzabili e si usano per prelievi invasivi perché sono
biocompatibili anche se la qualità del prelievo è minore, mentre per prelievo dalla cute si usano
elettrodi di Ag/AgCl quasi perfettamente non polarizzabili, che danno prestazioni migliori per il
basso potenziale di semicella, la stabilità, il basso rumore intrinseco e la bassa impedenza
all’interfaccia.
La pelle si interpone tra sorgente ed elettrodo di prelievo, lo strato più esterno è l’epidermide, che
fa da barriera contro l’ambiente esterno ed è divisa in strato corneo (non conduttivi, ci sono
cellule con elevato ricambio) e strati inferiori (conduttivi, hanno alta percentuale di acqua). Il
derma è più spesso, ha alta conduttività grazie anche alla presenza di vasi sanguigni, follicoli dei
peli e ghiandole. Lo strato sottocutaneo è relativamente conduttivo ed isotropo.
Lo strato corneo non è conduttivo, fa da dielettrico con capacità C (varia con l’area dell’elettrodo
SP
e lo spessore di strato corneo e varia a seconda della zona del corpo) e in parallelo ha una
resistenza R che permette un passaggio di ioni attraverso follicoli dei peli, ghiandole sebacee… (è
SP
più basso dove c’è maggiore densità di pori e varia nell’arco della giornata). I tessuti più profondi si
comportano come una resistenza R . Considerando il circuito equivalente di elettrodo, gel e
tissue
pelle, l’impedenza più elevata è quella dovuta allo strato più esterno della cute.
L’artefatto da movimento è un problema nel confronto tra elettrodi, si minimizza con l’uso di
elettrodo non polarizzabili ed abrasione meccanica della pelle. I gel elettrolitici sono utilizzati per
assicurare un buon contatto elettrico tra elettrodo e pelle, per facilitare lo scambio di cariche
all’interfaccia e per ridurre l’impedenza dello strato corneo, ma possono causare irritazione. I gel
“wet”, composti da acqua ed elettroliti, garantiscono conduttività, riducono l’impedenza e
massimizzano l’area di contatto: consentono di ridurre l’impedenza elettrodo-cute per la migliore
interfaccia con due costanti di tempo. Gli hydrogel sono gel solidi che causano meno irritazione,
danno adesione più duratura e minore sensibilità ad artefatti da movimento, ma R fluttua con
SP
l’attività delle ghiandole sudoripare.
Quando si usano gli elettrodi, ci si deve assicurare che la parti di elettrodo che toccano l’elettrolita
siano fatte dello stesso materiale, per misure differenziali si devono usare elettrodi dello stesso
materialr, si devono minimizzare le forze esercitate per evitare il distacco, si deve fare attenzione
al legame tra elettrodo e cavo conduttivo (deve anche essere sufficientemente isolato da non
causare rumore) e l’amplificatore deve avere impedenza d’ingresso molto più grande di quella
dell’elettrodo.
4 – Attuatori
Trasformano l’energia elettrica, idraulica, chimica o termica in energia meccanica: motori elettrici,
idraulici, pneumatici e muscoli artificiali.
4.1 – Motori elettrici
I motori elettrici convertono l’energia elettrica in meccanica, i più usati sono i motori DC, passo
passo e lineari.
4.1.1 – Motori elettrici DC brushed
All’esterno c’è lo statore (magnete permanente), all’interno c’è il rotore, su cui ci sono
avvolgimenti che creano un campo elettromagnetico; le spazzole creano il contatto tra la batteria
DC ed il motore per l’azione di un commutatore. Nel caso più semplice si ha un spira rigida
percorsa da corrente che cambia verso in modo da permettere una rotazione continua (è
all’interno di un campo magnetico permanente): in un motore DC questo avviene grazie al
commutatore ed alla spirale. Dato che sui due lati opposti della spira si hanno forze opposte, si
genera una coppia che tende a diminuire durante la rotazione, fino a quando a 90° continua a
ruotare per inerzia ed il commutatore inverte la polarità, in modo da cambiare il verso della
corrente e consentire una rotazione continua.
Un motore DC a magnete permanente bidirezionale si può controllare con un H-bridge, un circuito
con il motore e 4 switch presente in circuiti integrati; per variare la velocità si fa un controllo
PWM: gli switch sono aperti e chiusi con diversa velocità (diverso duty cicle) per modulare la
velocità del motore. Chiudendo due switch si può bloccare il motore, con tutti aperti non si genera
coppia. I motori unidirezionali si possono controllare con un half H-bridge, che ha due soli bridge.
Il motore DC brushed è semplice, ha basso costo ed è semplice controllare velocità e coppia, ma a
causa delle spazzole c’è rumore elettromagnetico, bassa efficienza, genera scintille ed usura
meccanica: i motori brushless evitano il contatto meccanico tra spazzola e commutatore.
La velocità del motore dipende dalla tensione, mentre la coppia dalla corrente: senza coppia
resistente il motore gira a velocità massima, alla coppia di stallo il motore si blocca.
4.1.2 – Motori elettrici DC brushless
Sono senza spazzole, il rotore interno è un magnete permanente e lo statore esterno è formato da
elettromagneti, attivati applicando tensione ai capi di solenoidi: si deve complicare l’elettronica di
controllo, che ha sensori per riconoscere la posizione del rotore senza contatti metallici e pilotare
la polarità degli elettromagneti. All’esterno del rotore ci sono elettromagneti sfasati di un certo
numero di gradi, che si attivano in modo alterno facendo scorrere corrente, in modo da generare
forze attrattive e repulsive che fanno ruotare il rotore. Un motore con sei coppie di elettromagneti
si può pilotare con sei switch, da aprire e chiudere a seconda delle coppie da attivare; in un
motore brushless la commutazione è fatta elettronicamente, attivando e disattivando gli
elettromagneti.
Ha alta efficienza ed affidabilità, non genera rumore elettromagnetico, ha durata più alta,
maggiore controllo della velocità e non ha problemi di contatto meccanico, però ha costi più
elevati, circuiteria più complessa e richiede un controllore.
4.1.3 – Motori passo-passo
Il motore si muove per step, c’è un controllo completo della posizione e si può bloccare dove so
vuole: la sequenza degli impulsi di tensione è correlata alla direzione di rotazione, la frequenza alla
velocità, il numero di impulsi a quanto si fa ruotare. La coppia è inversamente proporzionale alla
velocità, mentre la corrente è proporzionale alla coppia, quindi serve un sistema di controllo per
non avere una coppia troppo elevata, che può danneggiare il motore, oltre ad un feedback sulla
posizione per evitare che il motore oscilli per problemi di risonanza.
Solitamente c’è un rotore interno con tanti denti (ognuno dei quali è un magnete permanente) ed
uno statore esterno con denti (ognuno dei quali è un elettromagnete, polarizzati e depolarizzati in
sequenza per muovere il rotore di uno step). In un motore full step, gli elettromagneti dello
statore sono attivati con coppie di poli opposte in sequenza, con un ritardo che dipende dalla
velocità di rotazione voluta, controllando la rotazione da un dente al successivo; il numero di step
è 360°/numero dei denti. In un motore half step si controlla metà del passo combinando
l’attivazione degli elettromagneti: si combinano effetto attrattivo e repulsivo attivando la seconda
coppia di denti prima che la prima sia spenta, ha risoluzione doppia a parità di struttura
meccanica; il numero di step è 180°/numero dei denti.
Il motore passo-passo usa treni di impulsi ad onde quadre da un controllore per ottenere impulsi
elettrici che muovono il motore, quindi si può vedere come un motore digitale. Gli elettromagneti
possono essere realizzati in configurazione unipolare (due avvolgimenti per una coppia di
elettromagneti) o bipolari (c’è un unico avvolgimento, danno coppia più elevata ma richiedono
circuiti più complessi). La risoluzione, cioè il numero di gradi a cui si ruota ad ogni step, è pari a
360°/(numero di poli del rotore)(numero di fasi= numero di elettromagneti dello statore).
Il motore passo-passo si usa quando è richiesto un controllo con un angolo di rotazione, velocità,
posizione e sincronismo. Hanno elettronica semplice, è semplice tenere una certa posizione, ma
hanno bassa efficienza ed alti costi di produzione.
4.1.4 – Controllo di motori elettrici
Un encoder traduce qualsiasi grandezza fisica in codice binario, si può usare per la misura di
spostamenti e velocità angolari; ha alta risoluzione, alta accuratezza, elettronica digitale semplice,
bassi costi ed alta affidabilità.
Negli encoder ottici c’è un disco opaco con finestre trasparenti alla luce: da un lato ci sono LED,
dall’altro fotosensori. L’output è dato da una serie di impulsi di tensione che danno informazione
su velocità e spostamento angolare. Esistono anche encoder a contatto strisciante, in cui il disco è
un materiale elettricamente isolante e le finestre sono conduttive, hanno basso costo e buona
sensibilità ma i problemi de