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diminuzione della mia attività enzimatica, non è dovuto al fatto che l’enzima ha consumato

tutto il substrato, ma che è un enzima poco efficiente.

I substrati possono essere naturali o sintetici, ovvero posso usare il substrato per dosare

l’enzima che si trova nell’alimento, oppure posso usare un substrato analogo a quello

dell’alimento ma molto più comodo. Spesso la scelta del tipo di substrato influenza anche il tipo

di dosaggio, che può essere:

• Continuo: misuro in continuo il procedere della reazione, ovvero la formazione di

prodotto

• Discontinuo: devo arrestare la reazione per misurare il prodotto che si è formato

Il dosaggio può essere anche:

Semplice: misuro direttamente la formazione del prodotto

o Accoppiato: il prodotto che si è formato dall’enzima che mi interessa non è direttamente

o misurabile (per esempio non è colorato o fluorescente, oppure non riesco a separarlo in

maniera decente), quindi viene aggiunto nel saggio un altro enzima che trasforma il

prodotto ottenuto dalla reazione che mi interessava, in qualcosa di misurabile. In questo

caso il secondo enzima (ausiliario) deve trasformare immediatamente tutto quello che ho

prodotto in qualcosa di misurabile. Un esempio di substrato naturale molto

diffuso è rappresentato dal fatto che il NAD

(vale anche per il NADP) ha una diversa

assorbanza in funzione che il composto sia

nella forma ossidata o nella forma ridotta.

Rappresentato nello spettro di assorbanza

vediamo che il NAD ridotto (NADH o

NADPH) assorbe a 340 nanometri, mentre il

NAD ossidato non assorbe (non c’è nessuna

assorbanza). Se in un saggio enzimatico è

© Laila Pansera - 25

prevista l’ossidazione o la riduzione del NAD, ho un sistema, se uso il substrato naturale, per

misurare l’attività enzimatica. Un esempio: voglio determinare quanto glucosio-6-P è presente

nel sangue, quindi devo fare un saggio sull’attività della glucosio-6-P-deidrogenasi, ho come

substrato il glucosio-6-P e il NADP+. L’enzima trasforma il glu6P in 6-fosfogluconato e il NADP

in NADPH. Questo è il substrato naturale. Se io seguo l’attività dell’enzima per 10 minuti posso

misurare la formazione di NADPH (ridotto), quindi misuro l’assorbanza a 340 nm, ed è un

saggio continuo.

In una reazione che porta all’ossidazione del NAD osservo invece la comparsa di assorbanza a

340 nm.

Un esempio di substrato sintetico è stata fatta in laboratorio nel modulo 1 quando abbiamo

misurato la formazione di giallo nel saggio della tripsina. Il substrato era la BAPA, ovvero una

arginina legata a un composto, che era legata al composto tramite un legame simile a quello

peptidico, l’enzima rompeva il composto e si andavano a creare 2 prodotti, di cui uno era giallo.

Il vantaggio di questo substrato è che diventa immediatamente giallo.

Il saggio continuo è quello in cui abbiamo la formazione di prodotto nel tempo, senza arresto

della reazione. La formazione di prodotto a parità di enzima nel tempo, segue un andamento a

parabola: per un certo tempo, che dipende dalla quantità di enzima, la formazione di prodotto è

lineare, dopo curva, cioè la quantità di prodotto nel tempo non è più lineare col tempo stesso.

Quindi quando faccio il saggio enzimatico devo essere in una condizione lineare, ovvero in cui

la quantità di prodotto è lineare nel tempo, quindi devo essere entro pochi minuti, perché se

vado oltre questo tempo non ho più la linearità e posso commettere errori molto superiori al

5%. Lo stesso concetto vale per un dosaggio discontinuo, che a differenza del saggio continuo,

va costruito per punti.

© Laila Pansera - 26

Per quanto riguarda il saggio semplice, la reazione catalizzata dall’enzima produce

direttamente il prodotto B che posso quantificare.

Invece nel caso della reazione accoppiata, l’enzima produce un composto B, che io non posso

misurare con nessun mezzo, quindi devo trasformare con un enzima ausiliario che trasforma B

in un prodotto C che riesco a misurare. Chiaramente le condizioni in cui lavorano i 2 enzimi

sono completamente diverse, perché l’enzima ausiliario deve semplicemente trasformare

immediatamente e tutto B in C. quindi devo mettere l’enzima ausiliario in forte eccesso, in

modo tale da rendere immediata la trasformazione.

Il sistema che viene maggiormente utilizzato

all’interno di un processo è rappresentato da

quello in cui va misurato l’effetto del trattamento

sull’enzima. Parliamo di decadimento termico,

attraverso una procedura in cui misuro nel tempo

a una determinata condizione, quant’è l’attività

presente. Si prende un enzima e la si tiene ad una

certa temperatura per un determinato tempo e

poi misuro la sua attività enzimatica. Ottengo le

curve di decadimento.

Il decadimento termico è descritto da una reazione cinetica del primo ordine:

At = attività al tempo t

A0 = attività iniziale

© Laila Pansera - 27

t = tempo

k’ = costante di velocità apparente della reazione di inattivazione termica

Che in forma frazionale diventa:

La reazione di decadimento termico può essere studiata sperimentalmente trattando

termicamente un enzima ad una data temperatura per diversi tempi. Dai punti sperimentali

così trovati viene determinata la k’ della reazione di inattivazione termica a quella

temperatura. Questa ultima operazione viene facilitata dalla linearizzazione dell’equazione

cinetica del primo ordine:

Il valore della k’ viene determinato attraverso una regressione lineare.

Conoscere la k’ di un processo permette di fare studi analitici e/o predittivi sul processo stesso.

Fattori che influenzano la costante di velocità per il decadimento dell’attività enzimatica:

• temperatura: la k’ cresce al crescere della temperatura

• tipo di molecola/composto: due proteine differenti possono avere k’ differenti alla

medesima temperatura

• condizioni sperimentali: pH, forza ionica, cosoluti, ecc…

• presenza di ligandi: molecole che possono interagire con la proteina in esame

stabilizzandola o destabilizzandola.

Tempo di dimezzamento (t½ )

E’ il tempo nel quale, ad una data temperatura, si denaturano metà delle proteine presenti (es.

da 100 iniziali diventano 50). Può essere calcolato se si conosce la k’ della reazione.

© Laila Pansera - 28

L’Arrhenius plot permette di definire la dipendenza di k’ dalla temperatura:

Ea = energia di attivazione (J mole-1)

R = costante dei gas perfetti (8.314 J mole-1 K-1)

T = temperatura in Kelvin (K)

A = fattore pre-esponenziale

Costruzione del grafico di Arrhenius

Conoscendo almeno 3 valori di k’ determinati a tre differenti temperature (per lo stesso

enzima), è possibile determinare i valori di “Ea” e di “A” costruendo il grafico di Arrhenius.

Anche in questo caso l’equazione viene linearizzata:

La retta di linearità di questo grafico permette di calcolare, a una determinata temperatura, la

velocità con la quale avviene il decadimento che interessa. Un aspetto importante è che nel

caso degli enzimi il grafico non è lineare, ma molto spesso è costituito da una spezzata. Ciò vuol

dire che nel caso delle proteine, ma soprattutto degli enzimi, esiste una temperatura, definita

© Laila Pansera - 29

temperatura di transizione, alla quale cambia bruscamente la pendenza del grafico di

Arrhenius. Quindi devo stare lontano dalla temperatura di transizione durante il processo,

perché se sto vicino alla temperatura di transizione e devo inattivare un enzima, anche mezzo

grado può cambiare significativamente la velocità con cui inattivo l’enzima. Se sono lontana

dalla temperatura di transizione posso prevedere il comportamento enzimatico, mentre se

sono vicina non riesco a controllare bene il processo.

Utilizzo di un enzima per finalità analitiche

In questo caso uso l’enzima per misurare un certo composto, per vedere le concentrazioni di

un determinato analita in un alimento, per esempio voglio sapere quanto glucosio c’è in una

scatola di succo di frutta: uso un enzima, che attraverso una sua reazione, misura quanto

glucosio c’è in un alimento. Quindi l’enzima in un tempo ragionevole mi permette di misurare

la concentrazione dell’analita che voglio misurare. Qui uso l’enzima in condizioni end point,

cioè all’equilibrio, in cui l’enzima funge da catalizzatore per trasformare l’analita in

qualcosa che posso misurare.

Siamo nel caso in cui A+B viene trasformato in C+D e questa

trasformazione deve portare a 2 elementi:

• si deve formare (o consumare) una specie facilmente

rilevabile (cioè che assorbe la luce nel visibile o

nell’ultravioletto) e quindi facilmente quantificabile mediante uno spettrofotometro

• all’equilibrio deve andare a completamento: l’equilibrio chimico deve essere spostato verso

i prodotti, la quantità residua del substrato da quantificare all’equilibrio deve essere

trascurabile.

In una matrice complessa come quella alimentare posso determinare:

• Un singolo composto, ad esempio il lattosio in un prodotto. Lo posso determinare con

una reazione semplice, ovvero trasformo per esempio il lattosio in qualcosa che

o misuro

una reazione accoppiata, per esempio il lattosio viene trasformato in un prodotto B,

o il quale a sua volta attraverso un altro enzima viene trasformato in un prodotto C

misurabile.

Scelgo quale dei 2 metodi usare perché molte volte c’è solo un’alternativa possibile.

• Più composti, ad esempio voglio determinare in un alimento il saccarosio, il glucosio e il

fruttosio. Qui devo usare più enzimi in un’opportuna sequenza.

In questi casi l’enorme vantaggio è che devo solo diluire l’alimento, mettere gli enzimi in

condizioni normali e immediatamente determinare un composto.

Alcuni esempi:

Voglio determinare il glutammato in un alimento. Faccio una sospensione e determino il

glutammato utilizzando l’enzima glutammato-deidrogenasi. Questo enzima produce l’α-

chetoglutarato (che è il glutammato senza il gruppo amminico) e l’ammoniaca. È una reazione

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che avviene anche a livello metabolico. Chimicamente il glutammato è ridotto, mentre l’α-

chetoglutarato è ossidato, quindi la reazione è redox, quindi se qualcosa si ossida, c’è qualcosa

che si riduce. In questo caso a ridursi è il NAD. Quindi la quantità

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A.A. 2015-2016
114 pagine
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SSD Scienze biologiche BIO/10 Biochimica

I contenuti di questa pagina costituiscono rielaborazioni personali del Publisher panseralaila di informazioni apprese con la frequenza delle lezioni di Biochimica alimentare e studio autonomo di eventuali libri di riferimento in preparazione dell'esame finale o della tesi. Non devono intendersi come materiale ufficiale dell'università Università degli Studi di Milano o del prof Iametti Stefania.