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Il sistema diventa più complesso se consideriamo gli antiossidanti e quello che
succede dopo. Come agiscono gli antiossidanti? Sono donatori di H e
vanno a competere con l’acido linoleico trasformato in radicale, restaurandolo,
proteggendo cosi l’olio dall’ossidazione, perciò c’è quella prima fase di induzione. Se
abbiamo un grasso senza antiossidanti, l’andamento del grafico è diverso, idem se
abbiamo un olio con molti antiossidanti, il tempo di induzione si allunga e la curva si
sposta (come in figura).
Gli idroperossidi non sono i prodotti finali della reazione, bensì sono quelli iniziali
perché risultano essere molto instabili, si decompongono e possono dare origine a
composti volatili e composti non volatili.
Come possiamo misurare l’ossidazione se questa avviene in 2 step?
Dobbiamo avere almeno 2 analisi, misure o indici: una che ci dice la quantità di
perossidi presenti nel sistema, però devo avere anche una misura dei composti di
decomposizione dei perossidi e quindi poter misurare la RANCIDITÀ. Al numero dei
perossidi posso affiancare il numero dei Dieni Coniugati effettuata per
spettrofotometria; alla misura delle sostanze secondarie dell’ossidazione ci arrivo solo
con l’analisi sensoriale, cioè con un Panel addestrato che mi misura la rancidità.
Posso utilizzare anche la misura delle sostanze volatili. Se voglio avere una misura più
sensibile, analizzo le sostanze volatili che derivano dalla decomposizione dei perossidi
o altri indici che vedremo poi.
Il concetto da fissare è che l’autossidazione finché c’è substrato, cioè l’acido
polinsaturo ed O, va avanti, gli antiossidanti agiscono bloccando la reazione
sottraendo radicali al sistema. Per misurare
l’ossidazione c’è bisogno di almeno 2 analisi che mi indichino 2 misure: una per
monitorare la quantità di perossidi presenti, un’altra per conoscere la quantità dei
materiali di decomposizione. Questo perché noi potremmo avere un olio con
un basso numero di perossidi, fresco perché è buono e non si è ossidato, ma
potremmo avere un olio con un basso numero di perossidi perché fritto, in cui i
perossidi sono stati trasformati in altro dal trattamento termico.
L’antiossidante ha un anello che delocalizza l’elettrone spaiato del radicale e per
risonanza, nel secondo rigo (ossi-radicale) notiamo come il radicale libero si
distribuisce su tutti e 6 i C dell’anello. Siccome il moto dell’elettrone è un moto di
un’onda e l’energia di quest’onda è legata alla sua frequenza, secondo la Legge di
(E=h*v
Planck ), se il nostro elettrone delocalizzandosi, allunga la sua lunghezza
d’onda e riduce la sua frequenza, si riduce l’energia associata ad esso e per questo
motivo il radicale diventa stabile, cioè sottrae elettroni, ma non reagisce; addirittura
può ossidarsi ulteriormente e dare origine in Chinone.
Tenuto conto della struttura del nostro acido grasso, possiamo da ogni acido grasso
andare a specificare quale tipo di perossido si forma. Nella figura sottostante, abbiamo
il C9 e il C10, se togliamo l’H, il radicale si forma nelle 2 posizioni indicate. A seconda
di dove togliamo l’H, l’elettrone spaiato si va a coniugare con il doppio legame
presente, quindi se lo togliamo in posizione 8, si determina una nuvola elettronica tra
il C8-C9-C10.
Qual è la cosa che osserviamo nella figura in basso? E’ che il doppio legame si sposta,
si coniuga con l’altro doppio legame che rimane fermo, perché in realtà, anche se il
radicale libero si va a formare nella posizione centrale, i due C estremi sono quelli che
danno origine all’idroperossido 9 e 13, ma siccome ogni C più di quattro legami non
può fare, il doppio legame è costretto a farlo scivolare sul C10. Quindi, sugli acidi
grassi polinsaturi, insieme alla produzione del perossido osserviamo questo altro
effetto, cioè la formazione di un sistema di 2 doppi legami coniugati, che si chiamano
Dieni Coniugati e che possiamo specificamente misurare con la spettrofotometria
dell’ultravioletto.
Negli acidi grassi polinsaturi, il sistema pentadienilico, comprende il C centrale in cui si
è formato il radicale e i quattro C dei doppi legami, quindi praticamente l’elettrone si
delocalizza lungo questi 5 atomi di C e si forma questo sistema in cui l’O si può
attaccare da ambo gli estremi. A seconda di dove si attacca, si forma il perossido 9 o il
Perossi-Diene
perossido 13. Questo perossido è un , perché avendo il C dove
attacca l’O ci sono 4 possibilità di legame, ed è costretto a far slittare il doppio legame
nel C successivo. Dunque sia il Perossido 9 che il 13 contiene un diene
coniugato. Questo tipo di diene ha la capacità di assorbire la luce UV, mentre un diene
isolato non è capace.
Questo sistema coniugato (DIENI) assorbe a 232 nm. Lo spettro è un grafico in cui
riporto un’intensità (in questo caso l’Assorbanza) ed un lunghezza d’onda o frequenza
(espressa in nm). Se prendo il mio diene in purezza e
faccio lo spettro, cioè faccio variare la lunghezza d’onda (ƛ) posso ottenere uno spettro
in cui vedo che il mio diene coniugato ha un assorbimento a 232nm.
A questo punto posso costruire una retta di calibrazione, attraverso la quale posso
individuare la quantità di un campione, la cui quantità non è nota. I Trieni, invece,
assorbono a 270.
Per K si intende il coefficiente di estinzione specifico .
K=E 1cm1%
Formazione e Decomposizione dei Perossidi
Se io ho una giara, un vecchio otre di terracotta con il tappo di legno poggiato e l’olio
che si sta conservando, oppure un recipiente di acciaio inox chiuso, oppure una
bottiglia piena a metà e chiusa, oppure una bottiglia sigillata, oppure una piastra Petri
con uno strato sottile di olio, che metto in stufa a 40°C perché voglio accelerare il
processo ossidativo e voglio studiare come si ossida, in queste situazioni noi avremo
cinetiche diverse. Possiamo immaginare che l’evoluzione del numero di perossidi, nel
tempo, varia anche per altri fattori.
3 esempi, 3 curve, 3 casi: l’olio conservato a casa (che apriamo e chiudiamo), l’olio
conservato in bottiglia chiusa (che sono i casi estremi) e l’olio di frittura. Tra i 2 estremi
posso avere una serie di intermedi.
E’ chiaro che dobbiamo associare alla misura dei perossidi un altro valore, e qui sorge
un problema perché la decomposizione dei perossidi non è l’unica reazione e non da
un solo risultato; dalla degradazione ossidativa di un singolo acido grasso si formano
decine di molecole, che sono sostanze volatili, se contassimo anche le sostanze non
volatili arriviamo facilmente ad oltre 100 sostanze.
La dimerizzazione o polimerizzazione, non avviene a T° ambiente, ma avviene ad alta
T° e quindi durante la frittura. Perché? I moti molecolari dell’olio sono tali che la
probabilità che i due acidi grassi si tocchino è alta, l’ossidazione va molto avanti,
accelerata dalla T°, e quindi durante la frittura si aumenta la quantità di dimeri e
polimeri dei trigliceridi ossidati che non sono presenti normalmente e questo
fenomeno rende l’olio più concreto, cambiandone la viscosità. Ed infatti come indice
IUPAC per la misura degli oli termo-ossidati vi sono anche i dimeri e i polimeri dei
trigliceridi, oltre ad un’altra misura che è quella relativa ai composti polari totali. La
luce è un altro fattore che dovremo considerare.
Foto-Ossidazione
Che cosa succede quando l’ossidazione avviene per effetto della luce? In
realtà anche qui, la luce non ha azione diretta sull’O e acidi grassi, ma c’è bisogno che
vi siano dei cosiddetti foto-sensibilizzatori, che hanno una configurazione elettronica
tale da essere eccitati dalla luce (anello porfirinico della clorofilla) possono reagire con
l’energia luminosa ed insieme all’acido insaturo, formare un brevissimo intermedio,
cioè una molecola in cui viene attivato il radicale dell’acido linoleico, attraverso il
contatto o un legame labile con il foto-sensibilizzatore, su cui l’O può attaccare
rapidamente: si forma cosi l’idroperossido con il sensibilizzatore, in uno stato non
eccitato, ma allo stato di riposo. Questo è il meccanismo di attivazione della luce per
formare i perossidi. Si forma in questo caso un radicale libero, ma la vita del radicale
libero è brevissima, perché si è formato, attraverso l’intermedio, in presenza di O, il
perossido. Su questo radicale libero, gli antiossidanti possono
avere un effetto, anche se non cosi marcato come nell’auto-ossidazione; perché c’è un
discorso di brevità della vita di questo radicale e della sua capacità di azione.
I sensibilizzatori di tipo 2, come la clorofilla, reagiscono direttamente con l’O, disciolto
nell’olio o a contatto con la superficie libera, e formano un intermedio in cui il
sensibilizzatore viene ridotto, l’O, citato come Ossigeno Singoletto, si lega
direttamente all’acido polinsaturo senza nessun intermedio radicalico.
I radicali liberi che si formano, con i foto-sensibilizzatori di tipo 1, sono gli stessi
radicali liberi che si formano con l’auto-ossidazione, ma nel caso di questa seconda
azione, il foto-sensibilizzatore (in figura “Sens”) eccita l’O, utilizzando la radiazione
luminosa e questo Ossigeno Singoletto va direttamente a reagire con l’acido
polinsaturo provocando la formazione del perossido.
Rispetto a quello che avviene nell’auto-ossidazione, in questo processo, l’O singoletto
non attacca il C-allilico o di-allilico, ma attacca direttamente i C del
doppio legame. Questo cosa significa? Significa che dall’acido oleico si formano il
perossido 9 o 10, dall’acido linoleico si formano il perossido 9 e 10 o 12 e 13,
contrariamente all’auto-ossidazione, in cui sono 4 per l’oleico e 2 per il linoleico.
Che importanza ha, questa cosa, dal punto di vista della possibilità di andare
a tracciare il nostro sistema? Un olio tenuto al buio, nelle stesse condizioni, si
conserva per un anno ed anche più, ma se lo mettiamo alla luce diffusa (non per forza
diretta) in vetro chiaro, in poco meno di 2 mesi diventa rancido. La radiazione
luminosa accelera straordinariamente tutto il processo ossidativo ed i composti che si
formano sono completamente diversi, tra auto-ossidazione e foto-ossidazione, perché
si formano perossidi diversi, si formano composti di decomposizione diversi, e quindi
trovo composti come l’esanale per l’auto-ossidazio