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"I PRINCIPI DEI DIRITTI UMANI E DELLA GIUSTIZIA SOCIALE SONO
• FONDAMENTALI PER IL LAVORO SOCIALE" (L'ONU definisce i diritti umani
come quei diritti che sono collegati alla natura stessa di essere umano,
senza i quali non si potrebbe vivere in quanto esseri umani. L'IFSW
ricollegandosi a tale definizione afferma che il principio cardine del lavoro
sociale è il valore intrinseco di ciascun essere umano e fra i suoi obiettivi
principali c'è quello di promuovere strutture sociali eque che possano
garantire sicurezza e sviluppo delle persone, salvaguardandone la
dignità. Il focus della professione si è sempre concentrato sulla possibilità
di garantire a tutti, ma specialmente alle persone oppresse, la
soddisfazione dei bisogni di base. A ciò si ricollega il concetto di giustizia
sociale: condizione ideale in cui tutti i membri di una società hanno gli
stessi basilari diritti, sono ugualmente protetti, hanno le stesse
opportunità, gli stessi obblighi e gli stessi vantaggi sociali (molti uomini
che si sono battuti per essa in Paesi con regimi autoritari hanno
conosciuto anche il carcere: Mandela, Joseph, Hart, Kuzwayo, Patel). Due
concetti importanti legati alla giustizia sociale sono la solidarietà (non
solo provare comprensione ed empatia per le sofferenze altrui, ma
identificarsi con i sofferenti e prendere posizione per loro esprimendo la
propria solidarietà con gesti e parole di fronte alla negazione di ogni
diritto) ed inclusione sociale (contrario di esclusione sociale, definito da
Leontina Kanyowa come la limitazione dell'accesso di alcuni gruppi sociali
alle risorse o posizioni dominanti che li relega allo status di emarginati
sociali; una definizione elaborata durante il Summit mondiale sullo
sviluppo sociale di Copenaghen del '95, che però rimane controversa,
data l'esclusione dei paesi a sud del mondo dalla comunità globale per
via della povertà di massa).
6. A cosa ci si riferisce con le espressioni caring e curing?
Nel linguaggio anglosassone specializzato, vengono utilizzati due differenti
termini per riferirsi al concetto di cura, a seconda che si parli di cura sanitaria o
di cura sociale. Nel primo caso si utilizza il termine curing, che si riferisce al
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curare con l'intenzione di guarire. Nel secondo caso si usa il termine caring,
ovvero curare con l'intenzione di migliorare la qualità della vita,
indipendentemente dall'esistenza o meno di una determinata patologia.
7. Definisci il concetto di benessere e indicane alcune possibili dimensioni
Concetto fondamentale della definizione è anche quello di aumento del
ben-essere umano, anche citato come obiettivo primario del lavoro sociale
secondo il codice deontologico del 1966 dell'Associazione degli Assistenti
Sociali. Secondo una pubblicazione dell'UNESCO, il ben-essere consiste in uno
stato di performance positiva attraverso il corso della vita comprendente
funzioni fisiche, cognitive, socio-emozionali, che da luogo ad attività produttive
ritenute significative dalla propria comunità culturale, a relazioni sociali
soddisfacenti e alla capacità di superare problemi psicosociali e ambientali di
media entità. Il benessere ha anche una dimensione soggettiva (intesa come
soddisfazione derivante dalla realizzazione del proprio potenziale).
8. In che senso, nella costruzione del benessere, l'utente è co-operatore e
l'operatore è co-utente?
Partendo dal presupposto che oggetto del lavoro sociale è una rete plurale di
soggetti interagenti, si da per scontato che gli "utenti" in quanto tali non
esistano, ma che invece siano essi stessi insieme alle persone che con loro si
trovano in relazione e con il professionista, dei co-operatori nella costruzione
del proprio benessere. Allo stesso modo, il professionista è co-utente in quanto
necessità di integrazioni esterne alla propria capacità di azione, sempre
inadatta a perseguire scopi e progetti per via autoreferenziale. Quando c'è di
mezzo il benessere intersoggettivo, infatti, scopi e progetti non possono
coincidere solo con le idee di un singolo individuo, benché in posizione di
potere, ma devono essere condivisi fra tutti i partecipanti attraverso un'equa
distribuzione dell'empowerment.
Capitolo 2. L'etica professionale: valori e principi
dell'assistente sociale
10. Indica i principali sviluppi nei valori del servizio sociale dagli Sessanta agli
Novanta del secolo scorso.
Negli anni '60 e '70 la letteratura relativa ai valori del servizio sociale si
focalizzava sui diritti/interessi del singolo utente. L'enfasi era posta
maggiormente sulla relazione assistente sociale utente (quindi sul modo in cui
il primo avrebbe dovuto rapportarsi con il secondo) astratta dall'ente e dal
contesto societario in cui questa era iscritta, i quali venivano visti piuttosto
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come elementi di costrizione rispetto ai principi chiave dei diritto del singolo al
rispetto della propria privacy. Tali principi riguardavano il rispetto dell'utente in
quanto persona in grado di compiere le proprie scelte, il non giudicare l'utente,
l'accettazione, il rispetto della segretezza delle informazioni rivelate. Al cuore di
questo set di valori stavano le nozioni di individualità e libertà.
Negli anni '70 e '80 si diffuse una certa consapevolezza fra gli as britannici, che
trattare ciascun utente come un individuo e considerare il suo problema come
un problema personale avrebbe finito per colpevolizzarlo per le ineguaglianze
strutturali della società. Quindi era necessario un tipo di servizio sociale volto a
consapevolizzare le persone con cui si lavorava, a promuovere l'azione
collettiva verso il cambiamento e le alleanze con la classe lavoratrice e i
sindacati. Questo tipo di letteratura teneva poco in conto la dimensione etica,
anche per il fatto di basarsi sulla prospettiva marxista, che considerava la
morale stessa come un'illusione borghese promossa dalla classe dominante per
controllare ed imporre. Altro elemento chiave di quella che può definirsi
letteratura del servizio sociale radicale era poi quello di prassi (azione
ineluttabile), ossia la necessità di vedere valori, teoria e prassi come elementi
uniti insieme. Nonostante questo tipo di letteratura non avesse inizialmente
influito sulla stessa dell'epoca relativa all'etica ed ai valori, il diffondersi della
consapevolezza dell'oppressione grazie anche ai movimenti antirazzisti e
femministi degli anni '80 ha trovato spazio nelle liste di principi più recenti,
come quella prodotta dal Council of Training and Education in SW nel 1989 e
divisa in due parti (parte 1: l'assistente sociale deve rispettare il valore e la
dignità degli individui, la loro privacy, il loro diritto di scelta e quello delle loro
famiglie, le risorse delle comunità locali, il diritto di essere protetti dai rischi di
violenze/sfruttamento; parte 2: l'assistente sociale deve essere consapevole
dei processi di interrelazione tra oppressione strutturale, di razza, di genere, di
classe, combattere l'impatto dello stigma e della discriminazione, essere
consapevole del razzismo individuale ed istituzionale e dei modi di
combatterlo, comprendere gli aspetti di genere e dimostrare la pratica
dell'antisessismo nel servizio sociale, promuovere politiche e pratiche
antioppressive e non discriminatorie). Jordan rilevò da subito le contraddizioni
tra la prima e la seconda parte di valori, in quanto la libertà individuale che gli
as dovrebbero promuovere è connessa alle disuguaglianze sociali verso le quali
esiste un analogo dovere di attenzione. I valori liberali del primo set di principi
sarebbero per Jordan il fondamento delle difese intellettuali dei privilegi dei
ricchi, maschi e bianchi su cui si posano le differenze strutturali. Quindi
l'agenda del cambiamento strutturale stride con le premesse individualiste del
servizio sociale. Solo attraverso l'adozione di un approccio daltonico è possibile
veramente adottare politiche di pari opportunità e sostenere il proprio
antirazzismo. Gli slogan che sostengono che tutti dovrebbero essere trattati
ugualmente indipendentemente dalla razza, sesso, ecc.. non tengono contro
delle discriminazioni istituzionali e strutturali esistenti e quindi non riconoscono
il bisogno di una spinta al cambiamento. In Gran Bretagna, la professione è
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andata oltre l'approccio daltonico riconoscendo il razzismo istituzionale ed
impegnandosi a combatterlo. Solo adottando una posizione veramente
riformista che punti alla modifica delle leggi, delle decisioni politiche e della
loro implementazione per modificare le cose, si tiene in conto sia l'individuo
che la sua posizione in società e ci si può muovere per una maggiore equità
nella distribuzione di vantaggi e svantaggi.
Tra gli anni '80 e '90, parallelamente all'aumento della consapevolezza
relativamente all'oppressione strutturale, si è anche diffuso il movimento dei
nuovi diritti tanto nella legislazione quanto nelle politiche di pubblico settore,
legato all'ideologia neoliberale e di forte impatto in molte situazioni pratiche
(crescita degli appalti dei servizi al settore privato, minor potere ai gruppi
professionali ed al welfare state, maggior enfasi sul potere di scelta in contesti
di mercato dell'individuo/consumatore, accentuazione dei diritti dei cittadini e
maggiore responsabilità di essi di far valere i propri diritti e di occuparsi
direttamente della propria famiglia). Tutto ciò non ha intaccato granché il
sistema valoriale del servizio sociale, un po’ perché generalmente esso tende
ad essere separato dalla pratica di servizio sociale e poi perché alcuni aspetti
dei nuovi diritti possono sembrare almeno superficialmente congrui con il
nucleo della professione. Tuttavia il movimento liberista dei nuovi diritti non
considera l'utente nel suo complesso di cui deve essere riconosciuto il proprio
diritto all'autodeterminazione, ma solo il suo ruolo di consumatore di servizi, i
cui diritti sono dati da uno standard predefinito di servizio, un certo tipo di
trattamento, un certo standard di beni. Inoltre il parallelismo tra utente e
consumatore nasconde un'azione controllante da parte dell'as in quanto viene
reintrodotta una definizione di utente in quanto pericoloso, deviante ed
emarginato. Tale aspetto è ovviamente contrario ai principi cardine della
professione perché si assiste al riemergere della distinzione vittoriana tra
poveri meritevoli ed immeritevoli, il desiderio di controllare chi è ai margini
della società e si ritrova nella legislazione più recente in materia di tutela
dell'infanz