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I limiti dell'iconologia nella contestazione del "naturalismo" caravaggesco
Non si sarebbe trattato di naturalismo ma di "realismo", cioè non di una "brutale mimesi" o di un semplice modo di guardare oggettivo, ma di un comportamento appartenente all'ordine etico, intriso fino al midollo di sensi spiritualistici e intellettuali.
E' stato osservato di recente che il quadro delle letture iconologiche del primo Caravaggio si presenta oggi non solo molto tormentato (caratterizzato da proposte opposte fra loro), ma tale che in una medesima opera, e in nome di una medesima iconologia, sembra possibile scoprire tutto e il contrario di tutto.
Mentre l'icona simbolica tende a rimanere per sua natura uguale a se stessa, passando di contesto in contesto e d'epoca in epoca, la concreta attuazione figurativa muta ogni volta. L'"icona simbolica" è un dato comune ed esterno; la concreta attuazione del
linguaggio figurativo è invece singolare e specifica, e in quanto tale costituisce il cuore del significato di un'opera d'arte. Bellori interpretò così La Maddalena [8]: "la finse per Maddalena...egli si fermava a quella invenzione di natura, senza altrimenti esercitare l'ingegno...premesso che nella vita terrena e prima di farsi santa, la Maddalena fu una ragazza non proprio morigerata, dipinse semplicemente una fanciulla che si asciuga i capelli, e solo dopo dirà che questa è la Maddalena". Si fermò all'invenzione della natura, lasciando da parte gli altri pensieri dell'arte. Nei confronti dei temi mitologici e profani; egli rappresentò senza dubbio Bacco [3] e Amor vincitore [84]: possiamo anche ammettere, per quanto sia difficile, che conoscesse il valore emblematico dell'edera o le implicazioni latinizzanti connesse con la musica e i suoi strumenti, ma l'essenziale è che,
Avendo avvertito per tempo "l'impossibilità di un recupero archeologico di soggetti tradizionali", il Caravaggio volle ripristinare tutto ciò al mondo della contingenza. Nel momento in cui il mito faceva ancora una cosa sola con la vita, e la "favola" non era stata ancora tipizzata in un'ipostasi esemplare, Bacco non poté che essere un ragazzotto ubriacone dalle unghie sporche, con il pallore verdognolo dell'itterico. Amore stesso poté essere solo un adolescente protervo ed esibizionista. Nei quadri caravaggeschi di argomento profano l'intento polemico e dissacratore è più che mai evidente. Attualizzare il mito istituendo un attrito fortissimo fra l'evidenza oggettiva e la "finzione" colta: ossia si adoprò a sbarazzarlo dalle incrostazioni di cui secoli d'intellettualismo l'avevano avvolto, per restituirlo alla sua originaria realtà di puro accadimento umano.
“Imitar bene le cose naturali”: la dichiarazione del Caravaggio e la testimonianza delle fonti.
Tanto più riusciva a liberare i temi sacri e profani dalla condizione esistenziale di base, quanto più andava al fondo di una ricerca pittorica che non possiamo non chiamare “naturalistica”, lungi dall’essere puro ricettacolo di simboli eruditi o emblemi soteriologici.
Il termine “naturalistico” usato per Caravaggio per la prima volta nel 1657, da Francesco Scannelli.
Nel 1603, durante il processo, il Caravaggio in persona affermò che in pittura è “valentuo mochi sa dipinger bene e imitare bene le cose naturali”, evento narrato da Vincenzo Mirabella nel 1613.
Il bolognese monsignor Agucchi, tra 1607 e il 1615 paragonò Caravaggio a Demetrio, perché lasciò indietro l’Idea della bellezza, disposto a seguire del tutto le similitudine.
Gerolamo Borsieri, 1619: “diligente e ingegnoso imitatore”
della natura”.Giulio Mancini: “molto osservante del vero”.Bellori: “intento a riguardar la natura...la natura per solo oggetto del suo pennello”.Anche la gnoseologia moderna insegna che l’uomo non conosce per semplicerispecchiamento, ma per astrazioni successive. In parole comuni, gli artisti non dipingono lanatura, ma solo ciò che sanno di essa e avanzano a misura che muta questo loro sapere.Emerge così il problema dell’arte caravaggesca: che cosa esattamente il maestro intendesseper “natura” e in che cosa consistesse l’”imitazione” che egli ne predicava.III. Il naturalismo del Caravaggio come “osservazione” ottica della “cosa”.La dottrina che l’arte è imitazione era vigente fin dall’antichità e non era mai stata contestata.Durante il XVI sec. il principio era stato ribadito frequentemente. L’espressione “attenersirigorosamente alla
cosa” ha a che fare con un’idea disciplinare dell’”osservanza”, intesa come ubbidienza, rispetto deferente. Rapportata al metodo della “schola” naturalistica del Caravaggio, “osservanza” diviene così sinonimo di “osservazione”. Si propone di accedere alla cosa senza intermediari. E’ queste un atteggiamento nuovo, che annuncia una componente addirittura scientifica. “Osservazione naturalistica”. Si tratta di un discorso già galileiano. L’osservanza della cosa consiste appunto, per il Caravaggio, nella reiterazione di un esperimento che non può non essere definito ottico ne senso specifico: tenere l’oggetto da dipingere esposto tanto a lungo ai propri occhi nel proprio studio, fino a raggiungerne col colore la verità. Longhi afferma che i primi quadri del Caravaggio furono “da lui nello specchio ritratti”; egli si era comportato così perché,avendo "la retina, da se sola, un campo visivo sempresfocante, svagante", "era meglio stagliarlo come ci appare nel quadro veridico dello specchioche ci dà sempre l'unità del frammento immerso nella sua luce", giungendo a scoprire, e fuquasi una scoperta scientifica, la sua personale, empirica, "camera ottica".La conclusione è che il problema centrale nell'arte caravaggesca consisté non nello stabilirecon la "natura" un rapporto di "imitazione" genericamente o passivamente rispecchiante; maun'attitudine consapevole e attiva, volta all'esplorazione e alla verifica. IV. Il quadro dei riferimenti nella cultura contemporanea (Bruno, Campanella, Galileo,Viviani).Biforcazione tra scienza definibili come "descrittive", e scienze "dimostrative". Ciò comportail divaricarsi di un tipo di osservazione puramente descrittiva, il cui fine non sidiscostadall'inventario e dalla classificazione, da un tipo di osservazione che utilizza la matematica,per esplorare la conoscenza fattuale della "costituzione del mondo".Bisogna ammettere che gli appigli giusti di cui siamo in ricerca per un serio ancoraggiostorico del Merisi no si troveranno di certo sul primo dei rami della biforcazione descritta. Ilche comporta l'accantonamento di un'altra tesi, ad opera di Eugenio Battisti, secondo cui, amonte del generale "naturalismo" caravaggesco, ci sarebbe stata l'influenza dell'illustrazionedei trattati naturalistici di fine '500.La pittura del Caravaggio non solo non ignora la figura dell'uomo, ma fa di essa un sededell'"imitar bene le cose naturali" la cui importanza è dichiaratamente uguale alle "cose diNatura".Profonda differenza tra "naturalisti" di marca Aldrovandi (per i quali la pittura deve sì essereimitazionedella cose naturali, ma poi tali cose restano inanimate) e il Caravaggio (per il quale "fiori" e "figure" si equivalgono). Tale differenza si approfondisce ulteriormente se riprendiamo il giudizio di Olmi: "l'arte per Aldrovandi non è mai una via autonoma di comprensione del reale". Cena de le ceneri: Giordano Bruno, 1584. "Altro è giocare con la geometria, altro è verificare con la natura". Il Caravaggio ebbe mai sentore di istanze come queste (il riconoscimento dell'apparenza come apparenza; il principio vitale trasportato sotto le forme, a premere sotto la pelle delle cose; l'autonomia del proprio occhio e la singolarità del rapporto vedere: che sono le vie maestre dell'assunto di Bruno prima citato)? Campanella: "Bisogna rinnovare le scienza attenendosi al mondo, come ho fatto io e come Galilei fa di continuo". Da una lettera del 25 maggio 1592 a Ferdinando I, si apprende che ilCardinale Francesco Maria Del Monte, il quale di lì a poco avrebbe accolto presso di sé il Caravaggio, s'era interessato a Campanella, e aveva anche parlato con lui. Ciò ci dice che il giovane Caravaggio, ammesso che gliene giungesse eco, avrebbe potuto sentirsi aiutato a prendere coscienza di sé.
Tramite Guidobaldo Del Monte, Galileo era entrato in rapporti diretti con Francesco Maria Del Monte; rapporti cresciuti sull'amicizia e sulla stima, toccando l'apice fra il 1611 e il 1612. Galileo fin da subito ebbe l'interesse per l'osservazione, mostrando "la tendenza a mostrare le scoperte scientifiche in principi pratici, utili all'uomo". Era questa un'"osservazione" e un'"esperienza" che presupponeva l'operatività, e quindi radicalmente diversa dalla conoscenza di un Aldrovandi.
Galileo: "gli effetti di natura devono tutti egualmente e grandemente stimarsi".
nasce che il metodo fondato sull'osservazione e sull'esperienza aveva trovato una nuova natura non più composto di forme gerarchizzate, ma di fenomeni fra loro equivalenti, determinando conciò una "revisione generale dei valori". Una revisione che, tralasciando il "ciò che è", vale a dire la trascendenza metafisica ella "Verità", per "ciò che appare", vale a dire gli aspetti sensibili e contingenti di "verità" particolari, permetteva una valorizzazione proprio dei fenomeni e delle apparenze fisiche, insomma, degli "effetti di natura". Come non ammettere che tutto ciò ha una puntuale corrispondenza con il Caravaggio? V. Ancora sul quadro dei riferimenti della cultura contemporanea (Galileo, Bacon, Huygens, Comenio). Per Galileo, il protagonista, anzi lo strumento privilegiato del conoscere per esperienza è il "senso": da anteporre al "discorso".rso in tre parti: la vista, l'udito e il tatto. La vista ci permette di percepire il mondo circostante attraverso la luce e i colori. L'udito ci consente di ascoltare i suoni e di comunicare con gli altri. Il tatto ci permette di sentire le sensazioni fisiche e di interagire con il mondo attraverso il contatto. Questi tre sensi sono fondamentali per la nostra esperienza sensoriale e ci aiutano a comprendere e interagire con il mondo che ci circonda.