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Corruzione al Palazzo di Giustizia
Simbolo di una recente trasformazione in questo senso è di José Samarago che prende le mosse da
Tutti i nomi
stereotipi riguardanti gli archivi per rovesciarli. L’archivio è il centro del racconto, un vero e proprio labirinto
di scaffalature coperte di polvere soprattutto nella sezione dell’«archivio dei morti», una sorta di doppio del
cimitero della città. Il signor Jose si dedica alla ricerca di una sconosciuta nella cui scheda anagrafica è
imbattuto casualmente e riscatta dalla condizione di cose morte e inutili gli incartamenti mostrando come
essi siano pervasi da testimonianze e tracce di vita: «conferiscono esistenza legale alla realtà dell’esistenza».
Se ne rende conto anche il capo della Conservatoria che decide di rivoluzionare la secolare distinzione morti-
vivi: doppia assurdità: dal punto di vista arch. perché è più facile cercarli dalla posizione in cui erano da vivi e
dal punto di vita mnemonico perché se non rimangono i mezzo ai vivi vengono dimenticati. Da cimitero di
carte l’archivio si trasforma in memoria viva.
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Il fascino dell’archivio
Comune a molti autori è la sottolineatura della capacità degli archivi di rinviare ad una dimensione
quotidiana del passato, di raccontare la vita delle persone comuni. Grazie al riconoscimento degli archivi
come mediatori di memoria essi perdono la patina negativa. Essi custodiscono le tracce per riportare in luce
ciò che è cancellato. La crisi e la caduta dei regimi dittatoriali che si son serviti degli archivi come strumento
di controllo di massa ha aperto strade inaspettate al riaffiorare del passato. In di Barbero la
Romanzo russo
protagonista lavora ad una tesi sulle purghe staliniane.
Oltre che memoria del passato può essere visto anche come strumento per sedimentare il presente: nella
di Coe un leader sindacale mette insieme un archivio per documentarsi.
Banda dei Brocchi
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2. Pratiche della memoria
Testimonianza del sé
Il leader sindacale dunque vuole mettere insieme un’immagine di sé tramite l’archivio.
I fondi di persona sono diventati un fenomeno rilevante a partire dall’Ottocento. La loro diffusione coincide
con l’affermarsi del principio di individualità romantico e poi liberale e con l’avvento della famiglia borghese
mononucleare.
Nella seconda metà del Novecento, in linea con il crescente interesse della storiografia per le scienze umane e
la dimensione privata degli individui, le strategie conservative hanno incluso materiali più personali, fino a
considerare gli archivi di persona come una sorta di rappresentazione dei loro soggetti produttori. La stessa
organizzazione di questi archivi riflette il soggetto produttore, per esempio nella presenza/assenza o ordine/
disordine di alcuni elementi. Il nesso tra la documentazione accumulata, selezionata e tramandata e l’identità
del soggetto produttore s’è configurato così come fondamento dello statuto dell’archivio di persona. Uno
«specchio di carta» attraverso cui il produttore riflette la sua immagine.
La massiccia diffusione di tecnologie di riproduzione nel Novecento ha fatto sì che quasi tutti mettano
insieme un proprio archivio personale.
Kerouac scrive alla curatrice della sua corrispondenza: il suo archivio legato all’immagine di sé come mito
letterario. Kipling invece attuò un’accurata politica di distruzione affinché non restassero manoscritti non
autorizzati.
Altre volte si vuole lasciare una precisa immagine di sé da trasmettere al futuro come ha fatto Licio Gelli
affidando le proprie carte all’archivio di Stato di Pistoia. Un ritratto diverso dalla figura di cospiratore contro
le istituzioni democratiche: letterato e poeta, candidato al premio Nobel da un’oscura accademia russa.
Tendenza recente agli archivi di donne come riparazione storica: Archivio per la scrittura e memoria delle
donne di Firenze: archivio come luogo di identità.
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Alla ricerca di radici
Negli ultimi anni il pubblico degli archivi è cresciuto e s’è allargato diversificandosi. Le ragioni per cui oggi si
ricorre ad archivi sono molto diversificate. Negli archivi britannici nel 2001 l’83% degli utenti faceva ricerche
per hobby e il 71% faceva ricerche relative alla propria famiglia. I genealogisti hanno una posizione di
preminenza in GB. A Firenze le ricerche sulla propria famiglia o sul proprio borgo sono superate solo da
quelle storico-artistiche (ovvio per FI). Confermano però la sostanza di un pubblico nuovo animato dal
desiderio di coltivare memorie individuali, familiari, di gruppo di avere un rapporto immediato con il passato
non filtrato da storici.
La ricerca genealogista possiede anche dei tratti inquietanti: l’attenzione alle ascendenze familiari e alla
documentazione del proprio albero genealogico è infatti tipica del periodo nazista: dopo la pubblicazione
delle leggi di Norimberga nel 35 la distinzione tra ebrei e ariani fece crescere l’interesse e l’esigenza di
testimoniare la propria genealogia. Durante lo sterminio degli ebrei la documentazione archivistica era una
questione di vita o di morte. Oggi la popolarità della ricerca genealogica è ascritta al bisogno di radici di una
società deterritorializzata per l’accelerazione dell’esodo rurale.
Sotto la generica categoria di genealogisti però si nascondono realtà molto diverse: il movente immediato è in
genere la costruzione di una memoria familiare radicata al passato capace di aiutare a comprendere il
proprio percorso esistenziale. Ma c’è anche il puro piacere intellettuale della ricerca di storie di persone
comuni.
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Gli archivi della chiesa
Nel corso del pontificato di Giovanni Paolo II la Chiesta ha porto particolare attenzione ai propri archivi
facendo propria la categoria di ‘beni culturali’. Le iniziative in campo archivistico sono state parallele a quelle
messe in atto nel mondo laico. L’alone di segretezza degli arch. ecc. s’è attenuato e molti archivi sono stati
aperti agli storici. Agli archivi è attribuito il significato di luoghi della memoria delle comunità cristiane
tramite cui far crescere l’appartenenza ecclesiale. Sono veicolo di trasmissione della tradizione
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3.Intrecci e distinzioni di correnti
Molteplici declinazioni della memoria
Memoria e archivi formano un binomio inscindibile. A prima vista può sembrare un’associazione ovvia, ma
in realtà le cose sono più complesse perché questo accostamento in tempi recenti s’è modificato. Ampio
spettro semantico della parola ‘memoria’. L’archivio è innanzitutto una tecnologia della memoria: uno dei
molti esiti dell’esteriorizzazione della memoria (Gourhan) che ha visto nel corso dei secoli affiancare e
sostituire alla memoria umana un numero crescente di supporti.
Resa possibile dall’invenzione della scrittura con il cui avvento coincide, la comparsa di archivi nelle prime
società urbane e la loro ricomparsa nell’Alto Medioevo, è risposta ad emergenze di tipo pratico di gestione,
controllo amministrativo, attestazione giuridica, a costruire l’ontologia degli oggetti sociali. Maurizio Ferraris
sostiene che queste «registrazioni», cioè i documenti archivistici, svolgono un ruolo fondamentale nelle
transazioni di natura giuridica e sono «registrazioni idiomatiche dotate di valore sociale», capaci di
trasformare degli «atti» in «oggetti sociali» che costituiscono il tessuto delle nostre società.
L’archivio è da questo punto di vista un sistema di memoria-registrazione che grazie alle caratteristiche della
tecnologia di registrazione rende stabili e inalterati i documenti. Derrida: «L’archivio ha luogo nel luogo di
debolezza originaria e strutturale della memoria». Il termine inglese infatti deriva dal latino
record recordare.
Proverbio toscano: «karta si face, perch’omo è fallace».
Quando gli archivi perdono la loro relazione viva con il presente, confluiscono nella categoria di memoria-
deposito: cumulo dei ricordi non utilizzati. La memoria funzionale è invece una memoria struttura da un
processo di scelta e costruzione del senso ed è costituita da elementi del passato che sono riattualizzati nel
circuito dello scambio culturale. Mentre la memoria-deposito si limita ad accumulare documenti, la memoria
funzionale è selettiva perché richiama solo una parte dei loro contenuti. La memoria-deposito forma una
sorta di retroterra della memoria funzionale.
I rapporti tra memoria deposito e memoria funzionale non sono quindi lineari ma circolari.
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Memoria-identità
Questo binomio definisce una concezione della memoria che le attribuisce un ruolo cruciale nel marcare le
identità individuali e collettive e nel sostenere i sentimenti di appartenenza dei singoli gruppi sociali.
L’idea ha cominciato a farsi strada dal di Locke (1649): il compito di garantire la continuità
Saggio sull’intelletto
dell’esistenza individuale nel tempo è affidato alla coscienza dell’esperienza vissuta, alla coincidenza
dell’esperienza vissuta con la coscienza. Il fondamento dell’identità personale è costituito dall dalla continuità
della memoria. L’attenzione alla dimensione collettiva della memoria è emersa in Halbwachs (sociologo
francese): gli individui appartenenti ad uno stesso gruppo sociale, attraverso l’elaborazione comune dei
ricordi, finiscono per condividere una stessa memoria.
La memoria collettiva tende a coagularsi in rappresentazioni che trascendono i singoli individui. Anche la
memoria-identità è selettiva e ricostruttiva. Dalla sterminata massa di accadimenti passati si salvano solo
quelli che si ritiene abbiano una connessione col presente. Questa forma di memoria è quindi caratterizzata
da attributi diversi dalla memoria-registrazione e dalla memoria-deposito. Queste infatti costituiscono un
tentativo di dare stabilità e consistenza a ciò che deve essere ricordato: sono un processo di oggettivazione e
dovrebbero consentire il recupero indifferenziato di ciò che è stato a loro affidato; mentre la memoria-identità
è dinamica e carica di forte soggettività ed è molto più selettiva.
Differenza storia-memoria: la storia, forma di conoscenza critica del passato, valuta e analizza quelle tracce
per tentare di stabilire alcune verità sul passato, mentre la memoria non ha bisogno di provare alcunché: la
memoria va sotto il segno della fedeltà, la storia sotto quello della verità.
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4. Gli imperativi